Triangoli rosa, una persecuzione a lungo negata e rimossa
Articolo tratto dal sito Mémoire juive et éducation (Francia), liberamente tradotto da Dino
“Se ammettiamo che ci sono da 1 a 2 milioni di omosessuali, ciò significa che dal 7 all’8 o al 10% degli uomini sono omosessuali. E se la situazione non cambia, ciò significa che il nostro popolo sarà annientato da questa malattia contagiosa. A lungo termine, nessun popolo potrebbe resistere ad una tale perturbazione della sua vita e del suo equilibrio sessuale… Un popolo di razza nobile, ma che ha pochissimi figli, è come se possedesse un biglietto per l’aldilà: nel giro di cinquanta o cento anni non avrà più alcuna importanza, e in duecento o cinquecento anni sarà morto…
L’omosessualità fa naufragare ogni rendimento, ogni sistema basato sul rendimento, distrugge lo Stato nelle sue fondamenta. A ciò si aggiunge il fatto che l’omosessuale è un uomo radicalmente malato sul piano psichico. È debole e si dimostra vigliacco in tutte le situazioni decisive… Dobbiamo comprendere che se in Germania questo vizio continuerà ad espandersi senza che possiamo combatterlo, per la Germania sarà la fine, la fine del mondo tedesco” (Discorso del gerarca nazista Himmler sull’omosessualità, pronunciato il 18 febbraio 1937). “Bisogna abbattere con la morte questa peste” (Altro discorso di Himmler, 16 novembre 1940)
Decine di migliaia di omosessuali furono deportati dai nazisti. L’organizzazione di questa deportazione non fu tuttavia sistematica e i deportati omosessuali non venivano sterminati subito al loro arrivo nei campi, a differenza degli Ebrei e degli Zingari. In Germania, dal XIX secolo, l’articolo 175 del codice penale puniva l’omosessualità. Questo articolo venne applicato in modo particolare dopo l’ascesa al potere del nazismo e ancor più marcatamente dopo il 1938. Gli omosessuali arrestati erano del resto soprannominati nei campi gli “Hundert-fünf-und-siebzig”, cioè i 175.
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In Francia
In Francia furono arrestati poco più di 200 omosessuali, soprattutto nell’est della Francia, nell’Alsazia e nella Mosella diventate provincie tedesche. Questi arresti furono effettuati grazie agli schedari realizzati dalla polizia francese dell’anteguerra. Non ci furono deportazioni di omosessuali provenienti dal resto della Francia, tranne qualche eccezione: si conoscono quattro casi di operai dello STO (Servizio di lavoro obbligatorio) che vennero arrestati in Germania per omosessualità e furono deportati. Il numero di 210 francesi deportati per omosessualità è certamente sottostimato: non sono stati ritrovati tutti i dossier e, dopo la guerra, pochi omosessuali resero nota la motivazione della loro deportazione.
Nei campi gli omosessuali dovevano sottostare alle stesse privazioni, alle brutalità, ai lavori forzati, agli esperimenti medici, ma il triangolo rosa che portavano li esponeva al disprezzo e alle vessazioni più gravi. Alcuni vennero fatti sbranare dai cani delle S.S. davanti agli altri deportati. (Testimonianza di Pierre Seel a proposito del campo di Schirmeck).
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A Dachau
Ecco ad esempio il numero dei deportati che portavano il triangolo rosa nel campo di Dachau. Senza dubbio non corrisponde al numero totale degli omosessuali deportati. Alcuni ebbero la fortuna di portare il triangolo verde dei deportati di diritto comune: arrestati per “oltraggio al buoncostume”, vennero considerati come delinquenti e non come omosessuali.
1934 4
1935 30
1936 44
1937 54
1938 36
1939 31
1940 50
1941 37
1942 113
1943 81
1944 84
1945 19
24 aprile 1945 (giorno di liberazione del campo) 109
Totale 583
Dati tratti dai lavori fatti da Albert Knoll, archivista del Memoriale di Dachau, basati sugli elenchi del campo e sulle richieste di indennizzo dopo la guerra.
A Dachau questi omosessuali erano oggetto di maltrattamenti, crudeltà e sarcasmo da parte delle S.S. Costituiscono un gruppo isolato, emarginato anche dai compagni di detenzione. Molti tra di essi vennero castrati. In tutti i campi si ritrova questa situazione.
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Una deportazione a lungo negata
Per molto tempo la deportazione degli omosessuali è stata negata, nascosta o sottostimata. Alla fine degli anni ’90 alcune organizzazioni di omosessuali tentarono di partecipare alle cerimonie di commemorazione e deposero dei mazzi di fiori col triangolo rosa. Questo gesto venne considerato una provocazione da molte delle organizzazioni tradizionali della Resistenza. Le associazioni che rappresentavano gli omosessuali in Francia e alcuni siti Internet a volte hanno avuto la tendenza a sovrastimare il numero di omosessuali deportati e alcuni arrivarono a parlare di “genocidio” degli omosessuali e a paragonare la deportazione omosessuale alla Shoah. Da parte loro, alcune associazioni di resistenti o di deportati hanno negato la deportazione omosessuale e hanno respinto anche con una certa violenza, perlomeno verbale, gli omosessuali dalle cerimonie di commemorazione, come riferisce il giornale Têtu, riportando gli incidenti avvenuti il 28 aprile 2002 a Lione: “È una vergogna, uno scandalo, è deplorevole!”.
Hervé Morel, presidente dell’associazione Aris, è rosso di collera. “Chiederemo spiegazioni al prefetto”. A Lione, le associazioni omosessuali sono indignate, sono state semplicemente escluse dalla cerimonia ufficiale organizzata in piazza Bellecour in occasione della Giornata Nazionale della Deportazione. Tutto era iniziato bene. La Banda de la Région Terre Sud Est interpreta il “Chant du Marais”. A Lione, capitale della resistenza, la popolazione venuta a partecipare è più numerosa del solito, preoccupata per il risvegliarsi dei vecchi demoni dell’estrema destra.
I portabandiera delle associazioni di ex combattenti, resistenti e deportati rimangono muti alla lettura dei nomi dei sinistri campi di concentramento. Alla fine della cerimonia, verso mezzogiorno, le personalità civili e militari depongono i loro cesti di fiori alla memoria dei deportati davanti al Custode di Pietra (monumento ai deportati di Lione). Prima che la cerimonia si concluda, le associazioni omosessuali, rimaste dietro le barriere insieme al pubblico, tentano di avvicinarsi al monumento. Ma le forze d’ordine fanno barriera.
I miilitanti LGBT, oltre un centinaio, col triangolo rosa sul petto, dovranno aspettare che le autorità ufficiali abbiano lasciato il luogo, che la folla se ne sia andata e che la bandiera tricolore sia stata ritirata prima di poter deporre i loro due mazzi di fiori alla memoria dei deportati omosessuali. Dopo un minuto di silenzio, Hervé Morel prende la parola per denunciare questo vergognoso comportamento emarginante. William Fize, presidente di Moove, ha le lacrime agli occhi. Sul mazzo ha scritto di suo pugno: “Troppo giovani per esserci, non abbastanza ingenui per non sapere”. Jean-Yves Sécheresse, presidente del gruppo socialista nel consiglio municipale, chiede al sindaco di intervenire presso il prefetto. Questo incidente sprona gli omosessuali a mostrarsi sempre più vigili. (Da tetu.com)
Le cose cominciano a migliorare: attualmente gli omosessuali sono più accettati nelle commemorazioni e alcune associazioni di ex partigiani o di deportati riservano per loro un posto nei loro comunicati, come ha fatto ad esempio la FNDIRP (Federazione Nazionale dei Deportati ed Internati, Resistenti e Patrioti), nel marzo 2005, dopo un incontro e una “discussione franca e cordiale” con le associazioni di omosessuali.
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Alcune precisazioni riguardo alle affermazioni omofobe del deputato UMP Christian Vanneste
Nel febbraio 2012 il deputato UMP Christian Vanneste afferma che la deportazione degli omosessuali è “una leggenda”. Non è la prima sbandata omofoba di questo deputato di destra. Un’intervista del giornale Libération del 16 febbraio 2012 mette le cose in chiaro. Eccola riportata qui di seguito.
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Affare Vanneste: La deportazione omosessuale è “una leggenda”? (Libération, 16 febbraio 2012)
La polemica sulle affermazioni di Christian Vanneste, secondo le quali la deportazione omosessuale è “una leggenda” ci ha spinti ad interrogare a questo proposito Régis Schlagdenhauffen, autore del libro “Triangolo Rosa. La persecuzione nazista degli omosessuali e la sua memoria”, pubblicato nelle edizioni Audrement. Quest’opera ha ricevuto il premio 2010 della Fondazione Auschwitz.
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Come le è venuta l’idea di scrivere questo libro? In primo luogo c’è una storia di famiglia dietro questo libro… L’Alsazia, di cui sono originario, è stata annessa dai nazisti alla Germania. Molti gruppi sociali e religiosi sono stati perseguitati dai nazisti in Alsazia, tra cui gli omosessuali: torture, carcere, campi di rieducazione, di concentramento, ecc. Questa persecuzione rientrava nell’ambito dei “segreti di famiglia” ed è soltanto in seguito che ho saputo che uno dei miei nonni era stato perseguitato durante la guerra a causa della sua omosessualità. Grazie al mio lavoro ho capito che esistevano centinaia, forse migliaia di storie di questo tipo.
Storie di famiglia delle quali si è preferito “dimenticare” certi passaggi per reinventare il passato. Questo libro ha anche delle motivazioni universitarie, dato che è la versione rimaneggiata di una tesi di dottorato. Quando ho iniziato le mie ricerche su questo argomento avevamo a disposizione soltanto poche opere, scritte per la maggior parte da giornalisti o da militanti della memoria, le cui fonti lasciavano un po’ a desiderare. Infine, dato che mi piace fare confronti, desideravo realizzare uno studio comparativo. Questa decisione mi ha consentito di mostrare come la medesima questione venga trattata in tre modo diversi, in tre paesi dell’Europa: la Francia, la Germania e i Paesi Bassi. Con questo libro spero di offrire ai lettori e alle lettrici un lavoro universitario di elevata qualità, ma anche alla portata di tutti.
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Quanti omosessuali in totale sono stati perseguitati dai nazisti? Questa domanda è piuttosto difficile, secondo cosa si intende per persecuzione e cosa si intende per omosessuale. Infatti un buon numero di vittime omosessuali del nazismo erano persone che non si consideravano tali, in altre parole persone che non avevano un’identità omosessuale, ma unicamente relazioni omosessuali. È importante sottolinearlo, perché oggi si sovrappone troppo facilmente identità e pratica concreta. Comunque, oltre il 60% delle persone arrestate per omosessualità sono state denunciate alla polizia nazista… E per queste persone un arresto significa in primo luogo che la famiglia, il datore di lavoro e tutto l’entourage della vittima vengono subito messi al corrente dei suoi comportamenti.
Per tornare alla domanda che mi è stata posta, la maggior parte delle vittime omosessuali del nazismo sono uomini, stabilitisi in Germania, che sono stati arrestati, torturati, imprigionati e poi internati in campo di concentramento tra il 1935 e il 1940. Possiamo contare qualche vittima in Francia, qualche centinaio in Alsazia e in altri territori annessi. Si dice che tra le 5.000 e le 10.000 persone siano state “deportate” in campo di concentramento a causa delle loro pratiche omosessuali, vere o supposte. Questi numeri sono veri, ma si deve sapere che almeno 50.000 uomini sono stati condannati per omosessualità da tribunali nazisti… Una quantità di omosessuali è così stata messa in carcere, condannata ai lavori forzati o ancora internata in ospedali psichiatrici per un periodo indeterminato.
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E in Francia? Possiamo affermare che nessun omosessuale sia stato deportato, come sostiene Christian Vanneste? È difficile rispondere a questa domanda sulla persecuzione degli omosessuali in Francia. L’Alsazia e la Mosella di fatto sono state annesse alla Germania dal regime nazista in seguito all’armistizio del 1940. In questi territori gli omosessuali sono stati perseguitati, vale a dire arrestati, internati e deportati a causa dell’omosessualità in base al paragrafo 175 del codice penale tedesco.
Nel resto della Francia sono stati ritrovati negli archivi solo alcuni casi di omosessuali. Così è stato possibile ricostruire, per ora, il percorso di sei uomini. Tra questi sei uomini arrestati per omosessualità (dei quali tre a Parigi), cinque sono stati in seguito deportati nel campo di Buchenwald in un convoglio di deportati politici. Dunque, per concludere su questo punto, Christian Vanneste non può affermare che dalla Francia non è stato deportato nessun omosessuale.
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Quale fu la situazione delle lesbiche in questa persecuzione generalizzata? La situazione delle lesbiche è diversa, in quanto in Germania era impossibile perseguirle legalmente per omosessualità. Infatti l’articolo di legge che condannava l’omosessualità riguardava soltanto gli uomini. Lo Stato nazista voleva essere un Männerstaat, uno Stato virile, e tutto ciò che riguardava le donne era un po’ in secondo piano sotto il nazismo… dal momento che le donne rimanevano subordinate agli uomini. È però necessario notare un’eccezione, l’Austria, nel cui codice penale c’era un articolo di legge che condannava sia l’omosessualità maschile che quella femminile. Inoltre, anche alcune lesbiche tedesche furono internate nel campo di concentramento di Ravensbruck.
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Il riconoscimento di queste persecuzioni è stato un cammino lungo e difficile... Sì, è proprio il caso di dirlo, per molte ragioni, a cominciare dal fatto che l’articolo di legge in questione, il famoso paragrafo 175, è rimasto applicato nella sua versione nazista fino al 1969 in Germania Occidentale, mentre nella tanto screditata Germania dell’Est era scomparso fin dal 1949. All’indomani della Liberazione, il fatto di confessare la propria omosessualità significava rendersi sospetti ed eventualmente vedersi nuovamente condannati dalla giustizia.
Alcuni omosessuali usciti dai campi nazisti sono dovuti rientrare nelle prigioni della Germania “liberata”. A questo proposito, un superstite della Shoah prende atto che negli anni ’60 è ormai protetto da ogni condanna di legge in quanto ebreo, ma non in quanto omosessuale. Si deve ben comprendere che tra il 1945 e il 1969 la situazione rimaneva delicata in Germania Ovest, tanto più che la “denazificazione” del sistema giudiziario tedesco-occidentale lasciava in parte a desiderare. In altri termini, molti dei giudici che sotto il nazismo avevano condannato gli omosessuali erano ancora in carica nel dopoguerra. Ma questa è un altra storia.
Per tornare al 1969, a partire da questa data alcuni militanti si sono dovuti impegnare a far riconoscere ai politici, e in modo più ampio alla popolazione generale, che l’articolo 175 era un articolo omofobo e che le persone condannate lo erano state ingiustamente. Oltre a ciò, un certo numero di associazioni di ex deportati non vedevano di buon occhio che gli omosessuali reclamassero il riconoscimento del loro status di vittime. E del resto è proprio dalla bocca di alcuni ex deportati che sono state dette le cose più terribili contro gli omosessuali.
Ma queste incognite hanno permesso di rendere pubblica questa discussione. In molti paesi, tra i quali la Germania e i Paesi Bassi, lo Stato si è visto costretto a stabilire, a riconoscere che l’ingiusta persecuzione nazista degli omosessuali dava a queste vittime il diritto di ottenere riparazione ai danni subiti, allo stesso modo delle altre vittime del nazismo e della deportazione. D’altra parte, dal 2005 il Consiglio d’Europa chiede a tutti gli Stati membri di riconoscere la persecuzione nazista degli omosessuali. Per quanto ne so, la Francia non ha ancora stabilito niente a proposito… Comunque sia, il riconoscimento di queste persecuzioni non ha ancora avuto dovunque un esito positivo.
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Com’è stato accolto il suo libro? Mi sembra che il libro abbia avuto una buona accoglienza. Le critiche sono piuttosto buone. Sembra che ci fosse un’attesa del pubblico riguardo a questa faccenda che era rimasta dimenticata per tutta una serie di ragioni. Non mi piace l’idea dello scienziato chiuso nella sua torre d’avorio. Dall’uscita del libro vengo regolarmente interpellato, ed è piuttosto incoraggiante.
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Dopo questo libro, quali percorsi di ricerca? Quali sono i suoi nuovi progetti? Mi piacerebbe molto approfondire la questione delle persecuzioni naziste in Alsazia. Molti aspetti avrebbero ancora bisogno di essere chiariti. E mi piacerebbe anche far uscire l’Alsazia da una posizione di vittimismo che fa sì che gli Alsaziani e le Alsaziane non si assumano in modo completo la loro parte di responsabilità attraverso la Storia. A parte questo, ho anche altri progetti di ricerca che non sono focalizzati sull’Alsazia e nemmeno sugli omosessuali.
Conclusione
L’origine di questa deportazione è il razzismo: per i nazisti l’omosessualità era un delitto perché impediva la riproduzione della pretesa “razza tedesca”. La volontà sociale di combattere oggi l’omofobia incontra fortunatamente il rinascere della memoria di una deportazione dimenticata.
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Testo originale: La déportation de milliers d’homosexuels par les nazis