Un dono o una merce? Musk, il Vaticano e il genere: chi decide chi siamo
Articolo di Kate Ward* pubblicato sul sito della rete Catholic Theological Ethics in the World Church (Etica Teologica Cattolica nella Chiesa Mondiale, CTEWC, Stati Uniti) il 1 luglio 2025. Liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata
Elon Musk, imprenditore nato in Sudafrica e figura costante nei media statunitensi per la sua immensa ricchezza e la sua vicinanza politica all’ex presidente Donald Trump, ha condiviso pubblicamente molte informazioni sui suoi numerosi figli, nati da donne diverse, spesso grazie alla fecondazione in vitro (FIV, una tecnica di procreazione medicalmente assistita in cui l’ovulo e lo spermatozoo vengono uniti fuori dal corpo umano) e/o alla maternità surrogata.
Una di queste figlie, Vivian Jenna Wilson, oggi ventunenne, ha acquisito una certa visibilità per il suo impegno a favore dei diritti delle persone transgender e per aver denunciato pubblicamente il comportamento del padre, sia come genitore che come persona. Musk, da parte sua, ha parlato di lei in termini sprezzanti.
Nel 2025, Vivian ha dichiarato che i suoi genitori avevano fatto ricorso alla fecondazione in vitro con selezione del sesso, desiderando espressamente un figlio maschio. Ecco cosa ha scritto:
“Il sesso che mi è stato assegnato alla nascita era una merce, comprata e pagata. Così, quando da bambina ho mostrato atteggiamenti femminili e poi sono risultata essere transgender, stavo andando contro il ‘prodotto’ acquistato. Quell’aspettativa di mascolinità contro cui ho dovuto lottare per tutta la vita era frutto di una transazione economica. Una transazione economica. UNA TRANSAZIONE ECONOMICA.”
Propongo di leggere questa vicenda familiare – per quanto dolorosa – come un vero e proprio “caso morale”. Non è necessario che ogni dettaglio raccontato da Vivian venga verificato per riflettere su ciò che questa storia ci rivela: le sue parole mettono in luce sia i limiti che le possibilità contenute nella visione culturale e cattolica dell’antropologia (cioè dell’idea di essere umano), della creazione e del genere.
Il magistero della Chiesa cattolica – cioè l’insegnamento ufficiale della Chiesa – considera sbagliate sia la fecondazione in vitro (che prevede l’unione di ovulo e spermatozoo al di fuori del corpo umano), sia l’identità transgender, cioè il vivere un genere diverso da quello assegnato alla nascita. Nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia, papa Francesco arriva persino ad associare queste due realtà, definendole entrambe come “ideologie che cercano di separare ciò che è inseparabile nella realtà” (Amoris Laetitia, paragrafo 56).
Tuttavia, la storia di Vivian mette in crisi queste posizioni. Non si può liquidare la questione dicendo semplicemente che sia Musk sia la figlia hanno sbagliato, seppur in modi diversi. L’insegnamento attuale della Chiesa sul genere condivide infatti, almeno in parte, la logica dello stesso Musk: entrambe le visioni finiscono per trattare il genere come qualcosa di programmabile, controllabile, acquistabile. E questo contraddice un principio fondamentale dell’antropologia cristiana, secondo cui ogni persona è un dono, non un oggetto, e la nostra identità non può essere ridotta a qualcosa di prodotto o comprato.
Ma proprio dentro questa antropologia cattolica ci sono anche spazi – spesso poco esplorati – che permetterebbero di riconoscere sia la realtà dell’esperienza transgender, sia la piena dignità delle persone trans, senza per questo abbandonare gli elementi più ricchi e teologicamente profondi dell’attuale visione cristiana sul genere.
Per l’insegnamento della Chiesa, il genere corrisponde sempre e senza eccezioni al corpo sessuato: se una persona vive un’identità di genere diversa dal sesso assegnato alla nascita, ciò è visto come il frutto di un’ideologia, non come un’esperienza reale (Amoris Laetitia, 56). Essendo il genere considerato “determinato biologicamente”, viene inteso come un dono di Dio da accogliere con gratitudine. Cercare invece di autodeterminarsi è visto come una forma di ribellione a Dio, come “la tentazione di farsi Dio” (Dignitas Infinita, paragrafo 57). In questa visione, il genere funziona come un’equazione meccanica: il sesso biologico (maschile o femminile) determina in modo strutturale la propria identità.
Questo modo di ragionare ricorda da vicino – pur venendo da contesti opposti – quello che secondo Vivian avrebbe usato suo padre, quando considerava inaccettabile che una persona nata da un embrione XY (maschile) potesse esprimersi in modo femminile.
L’insegnamento della Chiesa si oppone anche alla fecondazione in vitro per diversi motivi: separa la procreazione dall’atto sessuale all’interno del matrimonio; comporta spesso la distruzione di embrioni; e introduce un controllo umano in un processo – quello della vita – che, secondo la dottrina cattolica, appartiene solo a Dio (Donum Vitae, documento del 1987). Inoltre, secondo lo stesso testo, scegliere il sesso del nascituro tramite la FIV è un atto che “viola la dignità e l’identità della persona umana”.
La Chiesa mette in guardia contro l’idea di “produrre” un figlio come fosse un oggetto da desiderare secondo criteri tecnici ed efficienti. Scrive:
“Chi viene concepito… non può essere considerato il prodotto di una tecnica… Nessuno può subordinare la nascita di un figlio a criteri di controllo e dominio… Un figlio non è un oggetto di cui si ha diritto, né può essere considerato come una proprietà.”
Se un genitore decide di scegliere in anticipo il sesso del figlio, si comporta esattamente come descritto: impone un controllo su qualcosa che dovrebbe essere accolto come dono. Secondo il racconto di Vivian, Musk ha agito proprio così, credendo che il genere si potesse determinare con certezza tramite la tecnologia. Lo ha considerato una cosa “comprata e pagata”.
Ma anche la visione cattolica attuale, pur nella sua contrapposizione a quella di Musk, parte dalla stessa idea: che il genere corrisponde al sesso biologico e non può essere messo in discussione. E così, paradossalmente, finisce per legittimare, senza volerlo, l’idea che il genere sia una “cosa” su cui si può intervenire tecnicamente.
Come possiamo dire davvero che il genere è un dono di Dio e non un prodotto umano, se lo definiamo unicamente in base a caratteristiche biologiche che oggi possono essere facilmente manipolate? Se colleghiamo in modo automatico il genere ai gameti (ovuli e spermatozoi), rischiamo di limitare la stessa creatività di Dio, escludendo la possibilità che Egli possa donarci il genere in modi diversi.
Se ascoltiamo le esperienze delle persone transgender, possiamo conservare ciò che di più profondo e teologico c’è nella visione cattolica: l’idea che il genere sia un dono, che non siamo noi a crearlo, che sia legato al nostro corpo e ci orienti verso gli altri. Ma possiamo anche superare quell’equivalenza rigida tra genere e gameti, che apre la porta a considerare il genere una proprietà, una merce.
L’insegnamento della Chiesa ha spesso costruito un nemico chiamato “ideologia del genere”, che viene accusata di voler cancellare la differenza tra i sessi (vedi Laudato Si’, paragrafo 155). Ma questa costruzione – una sorta di “bersaglio fittizio” – non tiene conto del fatto che, per molte persone trans, la differenza di genere è reale e significativa. Anzi, per chi vive in un gruppo così piccolo e visibile, che rappresenta meno dell’1% della popolazione, è quasi impossibile non percepire il genere come qualcosa di profondamente concreto e incarnato.
La transizione fisica – presente in molte, ma non tutte, le esperienze trans – parte proprio da questo: dalla convinzione che il proprio corpo non rispecchi il proprio vissuto profondo. Maxwell Kuzma, ad esempio, descrive la sua transizione così:
“Ho vissuto una profonda esperienza di incarnazione. Mi sembrava di essere finalmente tornato a casa nel mio corpo umano.”
Molte persone trans sentono inoltre che il proprio genere non è qualcosa che hanno scelto, ma qualcosa che hanno ricevuto. Come racconta Magdalene Visaggio:
“Non ho mai chiesto di essere così. Ho lottato con tutte le mie forze contro questa cosa.”
La visione cattolica – secondo cui il genere è un dono e non qualcosa che si crea da soli; che è legato al corpo; che ci aiuta a entrare in relazione con chi è simile e chi è diverso – ha spazio sufficiente per riconoscere l’esperienza trans come autentica.
Nella tradizione cristiana veneriamo molti santi la cui percezione del proprio corpo sessuato non corrispondeva a ciò che la società o la famiglia si aspettavano. Giovanna d’Arco e Joseph di Schönau, ad esempio, hanno sfidato i ruoli di genere assegnati al loro corpo.
Anche la scelta del celibato – fatta da molti santi, spesso contro la pressione culturale al matrimonio – è una forma di discernimento sul significato del proprio corpo. Quando la Chiesa riconosce che il celibato di Casimiro o di Caterina da Siena è stata una risposta a una vocazione, e non un gesto arbitrario, sta già riconoscendo che il significato del nostro corpo può essere un dono da scoprire, anche quando ciò va contro le aspettative sociali.
Se riconosciamo che è sbagliato trattare il genere come qualcosa da “comprare e vendere”, possiamo anche riconoscere che è sbagliato imporre agli altri un significato sul loro corpo. In fondo, chi fa questo si pone al posto di Dio.
Possiamo allora aprirci alla possibilità che Dio, nella sua libertà, possa donarci il nostro genere in modi diversi. I gameti possono far parte della storia, ma non sono tutta la storia.
*Kate Ward è una teologa morale statunitense e professoressa associata presso la Marquette University. Si occupa di etica cristiana, giustizia sociale e virtù, con particolare attenzione alle disuguaglianze economiche e alla dignità umana. Ha pubblicato numerosi studi su riviste accademiche ed è autrice del volume Wealth, Virtue and Moral Luck (Ricchezza, virtù e fortuna morale), pubblicato da Georgetown University Press nel 2021.
Testo originale: Is Gender a Gift or a Thing? A U.S. Case Study