“Come te stesso!” (Rm 13,9) Una visione protestante e inclusiva dell’amore omosessuale
Riflessione di Jean-Marie de Bourqueney e Raphaël Picon tratta dalla rivista Évangile et Liberté (Francia), del febbraio 2013, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Il dibattito al quale assistiamo oggi sul matrimonio omosessuale agita molte passioni e risveglia senza dubbio un conservatorismo molto radicato da una parte, e delle facili invettive dall’altra. In quanto protestanti, e protestanti liberali, abbiamo una prospettiva che merita di essere esposta.
Essere liberali significa rifiutare di accontentarsi di ripetere una verità già pronta e di rinunciare alla riflessione, ma anche accettare di evolvere a partire da idee diverse.
In nome di questo principio evolutivo e di apertura noi possiamo comprendere la nostra identità rifiutandoci di rinchiuderla in un determinismo totale. Questo è l’atteggiamento che avremo in questa sede.
Il matrimonio non è una questione religiosa. Se Gesù partecipa alle nozze di Cana è perché decide di essere presente a una festa sociale e famigliare. Il controllo del matrimonio da parte della religione è senza dubbio un’evoluzione e una deviazione della storia. In greco esistono diverse parole e verbi per parlare dell’amore.
Sia nel “comandamento d’amore” (amerai il tuo Dio e il tuo prossimo come te stesso) che nel bellissimo testo di 1 Corinzi 13 (letto e riletto in occasione dei matrimoni…) non si tratta mai di “eros” ma di “agape”, in altre parole l’amore che è la conseguenza della grazia, l’amore che devo portare a ogni essere umano, compreso me stesso. Non si tratta dell’amore “erotico” della vita di coppia.
Il matrimonio non riguarda quindi la grazia o i comandamenti ma l’intimità umana che si organizza socialmente. Ricordiamo qui che i protestanti celebrano delle “benedizioni del matrimonio” e non dei matrimoni, che non hanno del resto la qualifica di sacramento, a differenza della concezione cattolica romana, per la quale il solo autentico matrimonio è il sacramento del matrimonio religioso. Per i protestanti la Chiesa cura l’aspetto spirituale che la coppia vuole conferire alla sua scelta matrimoniale.
Quando la coppia entra in un tempio per tale celebrazione [in Francia n.d.t.] è già sposata, sposata in tutto e per tutto. La conseguenza è che, se il matrimonio è prima di tutto una questione civile, in quanto cittadini noi possiamo avere un’opinione. In nessun caso un pronunciamento della Chiesa può essere autoritativo sulla questione.
Esso è un’opinione tra le altre, ma la Chiesa non ha delle competenze specifiche in questo campo. I protestanti dovrebbero far sentire di più la loro voce! Precisamente per dire che la questione del diritto al matrimonio li riguarda prima di tutto in quanto cittadini e non in quanto cristiani e membri della Chiesa.
Noi siamo credenti e di conseguenza abbiamo una certa visione dell’essere umano, della sua identità, del suo valore, della sua evoluzione. Nel cristianesimo, come nella Bibbia, non esistono solo una, ma diverse antropologie, alcune di tipo “naturale” e altre di tipo “relazionale”. Questo ha delle conseguenze sulla nostra comprensione personale dell’omosessualità e del matrimonio. Ciascuna di queste antropologie risponde in maniera diversa a queste tre domande:
Qual è la finalità del matrimonio? Se l’alterità che esiste tra due persone è il motore possibile della coppia, qui di quale alterità parliamo? In che modo essere genitori per favorire la strutturazione del bambino, futuro adulto?
Diverse antropologie
Le principali voci religiose che si sono espresse, protestanti compresi, partono da una antropologia “naturale” che definisce l’essere umano attraverso la sua presunta natura e la funzione di cui sarebbe stato da essa dotato. In questo contesto l’alterità che deve fondare una coppia non può che essere idealmente l’alterità uomo/donna. Andando più oltre, ed è il caso del dogma cattolico a partire dal concilio di Trento, il fine ultimo del matrimonio è la riproduzione.
Questa coerenza spiega anche il rifiuto da parte del Vaticano della contraccezione, dell’interruzione volontaria di gravidanza o della procreazione medicalmente assistita. La natura è il luogo della creazione. Rispettare la natura equivale a rispettare la Creazione. In questo schema di pensiero anche la genitorialità è di tipo “naturale”, ben strutturata con un uomo (padre) e un donna (madre).
Tutto è come inscritto in una ipotetica origine in cui si cela una sorta di ordine simbolico che funziona in molti spiriti come la norma assoluta e in modo inconsapevole e non criticabile di ciò che è bene e ciò che è male, di ciò che salva l’individuo e la società dal disordine.
Di fronte a questo modello noi possiamo difendere un’altra antropologia, non più naturale ma “relazionale”. La nostra identità non si definisce in maniera fissa, immutabile e naturale, ma all’interno di un percorso di vita.
La nostra identità è evolutiva e non smette di essere trasformata e influenzata; non è forse in gran parte determinata dalle nostre relazioni, come da tutto ciò che ci accade? Il Gesù dei vangeli non ha cessato di spezzare le matrici identitarie che rinchiudono l’essere umano in una funzione definita una volta per tutte: il cieco, il peccatore, la Samaritana, il posseduto. “Va’, la tua fede ti ha salvata” può essere inteso come l’affermazione di una identità evolutiva: “Tu non sei quella che sei: tu sei destinata a un divenire”. Cambiando così di paradigma noi ripensiamo la nostra identità e le nostre scelte di vita in modo completamente diverso.
Riprendiamo le nostre tre domande.
L’amore di una coppia ha per fine lo sviluppo (il “divenire”) di ciascuno e della coppia. I figli possono essere il frutto (felice!) di questo amore, ma non ne costituiscono la finalità prima. Bisogna condannare le coppie che fanno la scelta di non avere figli? Una coppia che non ha figli è una coppia a metà?
Alla questione dell’alterità che esiste nella coppia questo modello antropologico risponde che l’alterità non è necessariamente “naturale” e sessuata. Esistono anche altre alterità che possono essere generative e feconde.
Per quanto riguarda infine la genitorialità, la psicanalisi ci parla della necessità del padre e della madre per la strutturazione del bambino. Qui si tratta di “funzioni” e non di stati naturali predefiniti. Quante madri nubili devono al giorno d’oggi ottemperare alle due funzioni, un atto di coraggio mai abbastanza riconosciuto? Già oggi la legge francese prevede la possibilità, per una persona non sposata, quale che sia il suo orientamento sessuale, di adottare un bambino.
Quali condizioni per ricevere la benedizione di Dio?
Questo dibattito comporta il grosso rischio di distoglierci dall’essenziale in nome delle nostre personali reticenze. La fede non ci detta una legge morale ma ci invita a denunciare ciò che sfigura l’uomo. Ora, non è certo il matrimonio omosessuale che lo mette maggiormente a rischio oggi… Su un altro piano, i vecchi fantasmi puritani di morale sessuale non finiscono per disincarnare l’Evangelo e renderlo inascoltabile ai nostri contemporanei?
Infine bisogna ricordare ancora che la preferenza sessuale non è affatto una condizione per ricevere la benedizione di Dio. Le nostre celebrazioni di “benedizione del matrimonio” non costituiscono un giudizio sulla coppia né una ratifica della loro scelta.
Chi siamo noi per determinare le condizioni di accesso alla benedizione di un progetto matrimoniale? Abbiamo dimenticato la nostra teologia della grazia? Bisogna soddisfare un certo numero di condizioni per accedere alla benedizione di tale progetto, fondato sull’evoluzione (e quindi il rispetto) di due persone create a immagine di Dio?
Le nostre celebrazioni sono fortemente evolute da cinquant’anni a questa parte. Oggi sono “personalizzate”, vale a dire pensate, preparate. Il rituale ha lasciato il posto a una parola personale, per ciascuna e ciascuno. Dovremmo gioire di queste occasioni di accompagnamento umano e spirituale.
Coltiviamo anche l’agape oltre all’eros! Questa visione antropologica si nutre di una forte convinzione teologica: il dinamismo creatore di Dio permette a ogni “cosa”, e quindi all’essere umano, di evolvere: “Ecco io faccio nuove tutte le cose” (Atti 21,5).
Testo originale: Il matrimonio omosessuale: cambiare paradigma