Undicesima Stazione: appeso alla Croce
Riflessioni del reverendo David Eck* tratte dal blog “Jesuslovesgays” (Stati Uniti) del 22 marzo 2013, liberamente tradotte da Adriano
Quando furono giunti al luogo detto «il Teschio», vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». (Lc. 23 33-34)
Gesù venne sottoposto ad una tortura a morte, una lenta esecuzione agonizzante che aveva lo scopo di spaventare i sudditi romani per ridurli alla sottomissione obbediente. I Romani consideravano la croce come un simbolo delle conseguenze causate a coloro che sfidavano il potere dell’impero. Ma Gesù ha trasformato questo simbolo, morendo sulla croce.
I primi cristiani capirono ciò che significava: l’impero romano mostrava la sua debolezza attraverso la croce. I Cristiani hanno trasformato la croce in un simbolo dell’impotenza di Roma.
Ogni volta che viene commesso un crimine di odio contro una persona LGBT+, questo brutale atto di violenza è voluto per bloccare il dialogo, per arrestare il movimento: Stonewall, Harvey Milk, Matthew Shepard. Questi sono solo alcuni che mi vengono in mente. Tuttavia, ognuno di questi è diventato alla fine una fonte di ispirazione che ha dato vita a qualcosa di positivo e potente.
Quando ci soffermiamo in questa undicesima stazione, ci dobbiamo chiedere “Quali sono le croci che sono spuntate e come sono state trasformate da strumenti di tortura in segni di liberazione? Cosa stiamo facendo per continuare ciò che Gesù ha iniziato, capovolgendo il mondo, trasformandolo da un simbolo del potere statale in un simbolo di potere divino e umano?”.
* Il reverendo David Eck, di Asheville nel North Carolina (USA) è un pastore della Chiesa Evangelica Luterana d’America (ELCA). Oggi può raccontarsi, senza nascondersi, nel suo blog jesuslovesgays.blogspot.it
Testo originale: “Station Eleven: Jesus is Nailed to the Cross”