Verso un’antropologia cattolica rinnovata sulla sessualità
Recensione di Barbara Hilkert Andolsen al libro The Sexual Person di Todd A. Salzman e Michael G. Lawler, pubblicata sul periodico Conversations in Religion & Theology (Stati Uniti) nel maggio 2010, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Nel loro libro The Sexual Person: Toward a Renewed Catholic Anthropology, Todd Salzman e Michael Lawler disegnano un’antropologia che possa servire da fondamento a un’etica sessuale coerente con il tessuto personalista presente nel documento del Vaticano II Gaudium et spes, vale a dire coerente con lo sviluppo integrale della persona umana [1].
Gli autori insistono sul fatto che la base migliore su cui elaborare un’etica sessuale sia un’adeguata comprensione della persona umana (“una rinnovata antropologia cattolica”) e non una ristretta interpretazione della “natura” dell’atto genitale e potenzialmente fertile di una coppia eterosessuale; insistono inoltre sul fatto che la dinamica morale fondamentale di una coppia responsabile e sessualmente attiva sia la formazione e il mantenimento di una relazione impegnata, creata e approfondita attraverso il rapporto sessuale e altre forme di intimità. Perciò gli autori sottolineano la dimensione unitiva, non quella procreativa, della relazione sessuale, che sia eterosessuale o omosessuale.
Come introduzione alla loro proposta costruttiva, Salzman e Lawler offrono una panoramica dell’odierna etica sessuale cattolica che tratta seriamente sia i proponenti della “nuova teoria della legge naturale” sia l’opera dei “riformisti”, come le teologhe femministe. È un libro che cerca fortemente il dialogo ma che, senza volerlo, dimostra quanto il dialogo sia difficile tra chi sostiene affermazioni di base del tutto diverse. Per esempio, gli autori immaginano un dialogo che verte sull’etica sessuale con il Magistero gerarchico come se fosse un dialogo tra uguali (pagina 4), ma i tradizionalisti sottolineerebbero che il Papa e i vescovi hanno speciali grazie e responsabilità, in quanto sono i guardiani, divinamente incaricati, della verità morale. Perciò, da un punto di vista cattolico tradizionale, i teologi morali non saranno mai sullo stesso piano dei vescovi e del Papa.
Il libro traccia un parallelo, sempre più diffuso, tra l’approccio etico alle questioni sessuali tenuto dalla gerarchia e l’approccio alle questioni di etica sociale. Nel primo caso, la Chiesa ufficiale deriva le sue norme morali assolute da una concezione statica della biologia riproduttiva, in cui il maschio e la femmina formano una coppia eterosessuale; nel campo dell’etica sociale, invece, la Chiesa riconosce determinate norme morali fondamentali, come la giustizia; tuttavia, riconosce anche esplicitamente il bisogno di esercitare un prudente discernimento nell’applicare tali norme di giustizia sociale nei vari contesti socioculturali, oggetto di continua evoluzione.
Poiché la gerarchia riconosce più esplicitamente, nel campo dell’etica sociale, il bisogno di interpretare correttamente le varie situazioni sociali al fine di proporre indicazioni giuste, essa è più aperta a prendere in considerazione la saggezza del laicato e persino delle autorità non cattoliche nel campo delle scienze sociali, prima di affermare in che modo una norma (come la giustizia) vada applicata in una situazione specifica. Salzman e Lawler affermano quindi che, dato che le scelte sessuali coinvolgono l’intera personalità, si dovrebbe riconoscere che l’etica sessuale richiede un attento giudizio fatto da una coscienza formata, ancora di più di quanto l’etica sociale richieda una cosciente decisione individuale. Il libro sottolinea l’importanza delle intuizioni etiche sui temi della sessualità e dell’attività sessuale sviluppate attraverso la ragione umana, che inevitabilmente portano con sé interpretazioni dell’esperienza umana derivate dallo sforzo di comprendere la sessualità all’interno di un determinato ambiente sociale e storico.
Gli autori sviluppano un’antropologia teologica che sottolinea gli aspetti personalisti e relazionali della sessualità umana. Offrendo il loro contributo costruttivo, forniscono un quadro integrato della sessualità umana nelle sue dimensioni fisiche, emotive, psicologiche, relazionali e spirituali. È un’etica dell’aspirazione che propone un alto ideale per le relazioni sessuali; infatti, gli autori fanno un parallelo teologico con la Trinità, scrivendo che “la relazione fra le tre persone della Trinità costituisce il modello di ogni genuina relazione umana” (p. 135). Nonostante si riferiscano occasionalmente al danno o alla “rottura” causati da attività o relazioni sessuali irresponsabili, i due autori danno poco spazio al ruolo del peccato nella distorsione di tutte le relazioni umane, incluse le relazioni sessuali.
Può una relazione sessuale a lungo termine, amorevole, giusta ed egualitaria, che si sviluppi nel migliore dei modi, servire da modello per la antropologia teologica appropriata per lo sviluppo delle norme di etica sessuale, oppure abbiamo bisogno di un’antropologia teologica che comprenda maggiormente le verità spicciole della vita? Salzman e Lawler ne fanno cenno di tanto in tanto, ma non vi si soffermano, nel capitolo chiave Morale sessuale unitiva: rivedere i principî e l’antropologia fondativi. Prendo nota di dichiarazioni come l’astuta dichiarazione “Qualsiasi coppia sposata di una certa esperienza potrà dirvi che l’ideale della totale autodonazione in ogni singolo atto sessuale semplicemente non corrisponde alla realtà” (p. 155); tuttavia, a mio avviso, l’antropologia teologica proposta dal libro nel suo complesso si basa su uno standard irragionevolmente alto ed è vulnerabile alle critiche, proprio come la posizione della Chiesa criticata nella citazione precedente.
Un aspetto che gli autori condividono sia con gli studiosi di etica più tradizionalisti che con alcuni riformisti è l’apprezzamento per un approccio alle questioni sessuali basato su un’etica della virtù come cosa utile. Fra i tradizionalisti, Salzman e Lawler prestano particolare attenzione al pensiero di Martin Rhonheimer, che considera le virtù un aspetto centrale di una concezione genuinamente tomistica della legge naturale (pp. 75–84). Secondo Rhonheimer le virtù sono “l’habitus di scegliere cosa è buono per l’uomo a livello concreto”. Per quanto riguarda il nostro argomento, la virtù che riceve speciale attenzione da Rhonheimer è la castità. È curioso che gli autori di questo libro postulino l’esistenza di possibili tensioni tra le virtù, per esempio tra la giustizia e la castità; nel sistema di Rhonheimer, invece, le virtù sono in armonia perché sono tutte radicate in una legge naturale universale. Attingendo dai lavori di Anne Patrick e James Keenan, gli autori analizzano anche il contributo femminista e revisionista alle virtù, in particolare alla castità, in particolare la sottolineatura revisionista dell’integrazione della castità con altre virtù centrali per il cristianesimo, come la giustizia, l’amore e la cura di sé.
Dal mio punto di vista, è poco felice il fatto che Salzman e Lawler abbiano deciso di presentare la loro visione olistica della persona sessuale e delle relazioni sessuali utilizzando il termine “complementarietà”. Gli autori esplicitano il fatto di stare tentando di ridefinire la versione patriarcale della complementarietà essenzialista ed eterosessuale, che descrivono come uno sviluppo recente della teologia morale cattolica. È vero che una concezione più pienamente sviluppata della complementarietà ha segnato le riflessioni teologiche sul genere e la sessualità di Giovanni Paolo II; tuttavia il concetto di complementarietà, se non la parola stessa, è stata molto presente nei documenti ufficiali della Chiesa Cattolica per tutto il XX secolo. Inoltre, gli storiografi europei hanno dimostrato come una versione della complementarietà di genere, simile a quella cattolica più recente, fosse parte dell’ideologia di genere della famiglia borghese fin dal XVII o XVIII secolo. Considerato quanto questa parola sia macchiata dal suo utilizzo per giustificare l’ineguaglianza di genere, non apprezzo questa strategia intellettuale che tenta di utilizzarla in un altro senso, nel costruire una posizione che gli autori chiamano “complementarietà dell’orientamento sessuale”.
Salzman e Lawler mettono in discussione il concetto essenzialista di genere e propongono chiaramente la piena uguaglianza per le donne. Secondo loro “ogni atto sessuale compiuto attraverso l’ineguaglianza (per esempio di potere, di status socioeconomico o di livello di maturità) sarebbe ipso facto non pienamente umano” (p. 158). Forse i due autori dovrebbero moderare un poco il linguaggio, dato che, in un mondo ancora infestato da una miriade di forme di ineguaglianza di genere, pochissime donne hanno il medesimo potere o il medesimo status sociale, culturale o economico dei loro mariti. Esiste infatti al giorno d’oggi una certa tensione morale, poco riconosciuta ed esplorata, nelle relazioni eterosessuali a lungo termine, creata dalle diseguaglianze sociali e culturali che perseguitano anche quelle relazioni eterosessuali fortemente impegnate a mettere in pratica l’uguaglianza di genere.
L’espressione “complementarietà dell’orientamento sessuale” sottolinea il fatto che l’orientamento sessuale è un aspetto centrale della personalità nella sua totalità, mettendo così in discussione l’assunto degli studiosi di etica tradizionalisti e revisionisti, per i quali l’eterosessualità è la norma dell’antropologia sessuale e del giudizio morale degli atti sessuali. Punto forte del libro è la tesi secondo cui i partner omosessuali, come quelli eterosessuali, possono “completare” la personalità e la vita dell’altro o dell’altra in una varietà di modi. La tesi tradizionalista, secondo la quale solo in una coppia eterosessuale due esseri umani possono trovare completo appagamento, in quanto solo in essa le essenziali differenze di genere possono unirsi in modo da rispecchiare la primordiale diversità umana (ovvero il maschile e il femminile), è messa in discussione in modo diretto attraverso l’idea di complementarietà dell’orientamento. Le discussioni riguardanti la moralità del contatto omogenitale nel contesto di una relazione a lungo termine, giusta e amorevole portano alla luce divisioni profondissime sui temi di etica sessuale tra i teologi morali cattolici.
Nel libro viene indicato più volte quanto l’origine dell’orientamento sessuale sia complessa: essa comprende fattori genetici e biologici, l’ambiente famigliare e infantile e influenze socioculturali; tuttavia, gli autori fanno spesso riferimento all’evidenza empirica secondo la quale l’omosessualità è molto spesso determinata geneticamente. Trattando dei fattori biologici prenatali che determinano l’orientamento sessuale, viene ripetuto più volte che non si sceglie di essere omosessuali. Almeno una volta gli autori affermano che l’omosessualità “è inalterabile, perché voluta dalla ‘natura’ e dal disegno di Dio” (p. 168). Questa posizione conduce gli autori a chiedersi se sia moralmente appropriato richiedere a chi scopre di avere un orientamento omosessuale (non scelto da lui/lei) di seguire una disciplina celibataria per tutta la vita.
Molti dubbi potrebbero essere sollevati sugli studi scientifici che parlano della componente genetica dell’orientamento omosessuale quando si cerca di stabilire la moralità degli atti e delle relazioni omosessuali. Per prima cosa, dovremmo chiederci se tali studi siano metodologicamente ed intellettualmente validi; per esempio Edward Stein in The Mismeasure of Desire (Misurare male il desiderio) oppone molte critiche alla letteratura scientifica sull’argomento.
In secondo luogo, gli autori non prendono in considerazione il fatto che gran parte della letteratura scientifica sul ruolo della genetica è costituita da studi sui maschi omosessuali; pochi studi sono stati compiuti sulle lesbiche e per ora ci sono poche prove scientifiche su un forte ruolo della genetica nello sviluppo di un orientamento lesbico.
In terzo luogo, anche eventuali persuasive prove scientifiche che una caratteristica o condizione umana sia geneticamente determinata non risolvono la questione del valore o disvalore morale di tale caratteristica o condizione. Una persona può nascere con una predisposizione genetica all’obesità, tuttavia questo non la solleva dalla responsabilità morale di curare la sua salute con una dieta sana e regolare esercizio. Riconoscere che una persona è geneticamente predisposta al desiderio omosessuale e, al tempo stesso, giudicare gli atti omosessuali moralmente malvagi, data la natura moralmente vincolante della proibizione scritturale, sarebbe una posizione intellettualmente coerente.
Salzman e Lawler in effetti mettono in discussione le interpretazioni tradizionaliste dei passi biblici che parlano degli atti omosessuali; tali proibizioni, peraltro, il più delle volte proibiscono ai maschi di assumere il ruolo passivo (vale a dire, femminile) nel rapporto anale. L’unico passo biblico che disapprova l’attività sessuale tra donne è Romani 1:26, ma quel passo evoca chiaramente delle donne eterosessuali che scelgono di praticare sesso con altre donne. È importante notare come gli autori insistano sul fatto che nessuno degli autori biblici contempli la concezione contemporanea dell’omosessualità come “condizione psicosessuale della persona prodotta da un mix di ‘carichi’ genetici, psicologici e sociali” (p. 216).
Esiste un collegamento tra l’idea secondo la quale le relazioni eterosessuali non dovrebbero più essere considerate antropologicamente normative e l’idea distinta che la procreazione non dovrebbe essere considerata il fine morale primario delle relazioni sessuali, e nemmeno essenziale perché queste ultime siano moralmente buone. Lawler e Salzman riconoscono esplicitamente il fatto biologico che la maggior parte dei rapporti sessuali da parte delle coppie eterosessuali fertili non possono essere propriamente definite “aperte alla trasmissione della vita”, dato che la donna non si trova nel suo breve periodo fertile mensile: perciò “non solo i due significati procreativi dell’atto sessuale, quello unitivo e quello materiale, sono separabili […] ma il significato unitivo è ora quello primario” (p. 246). Il fine primario del rapporto sessuale diventa così la sua funzione unitiva, che nutre “la vita [intesa in senso lato] della coppia, il loro legame, la loro famiglia e la comunità in cui vivono” (p. 127). Gli autori propongono uno standard per l’etica sessuale che si basa sulla qualità morale delle relazioni sessuali più che sullo statuto morale di determinati atti sessuali; le relazioni sessuali, che siano eterosessuali oppure omosessuali, sono moralmente accettabili quando sono sincere, giuste, su un piano di uguaglianza, amorevoli, se implicano un serio impegno.
Gli autori danno valore alla procreazione quando essa è la scelta responsabile di una coppia con queste caratteristiche; perciò le pratiche contraccettive trovano la loro giustificazione come mezzi per controllare la procreazione per il benessere della coppia, della famiglia e della comunità. Curiosamente, gli autori ripetono ciò che è stato detto di recente dai sostenitori della pianificazione familiare naturale (PFN), approvata dal Magistero, vale a dire che la scelta di questo metodo richiede che vi sia un’uguaglianza di genere nella coppia, ma nello stesso tempo ne facilita l’espressione (p. 104); Salzman e Lawler fanno notare come oggi, in molte culture, le donne all’interno del loro matrimonio non godono del potere e del rispetto necessari perché la PFN possa essere un’opzione valida.
Il saggio non sostiene l’idea secondo la quale la PFN dia accesso all’uguaglianza di genere. Tale idea sostiene che la PFN promuova una maggiore conoscenza, da parte della donna, dei ritmi naturali del corpo femminile, che di conseguenza verranno apprezzati maggiormente anche dal marito; dato che è la donna a sapere quando si sta avvicinando il suo periodo fertile e quando di conseguenza la coppia dovrebbe astenersi dai rapporti sessuali, si può dire che questo metodo dia alla donna un maggiore controllo sull’attività sessuale. Confrontata con altri metodi, come i contraccettivi a base di ormoni artificiali, la PFN è meno rischiosa dal punto di vista medico per la donna.
I sostenitori della PFN glissano però sulla sua inefficacia, di fronte a metodi più affidabili di controllo delle nascite. Secondo molte femministe, i metodi affidabili di controllo delle nascite sono cruciali per l’uguaglianza di genere e giocano un ruolo molto importante nel promuovere la salute e il benessere delle donne e dei loro figli. Senza una vera possibilità di decidere il numero e la distanza delle gravidanze, poche donne (estremamente energiche e impegnate e, molto spesso, con significative risorse finanziarie) avranno davvero l’opportunità di partecipare alla pari con gli uomini negli ambiti della cultura, dell’economia e della politica. I due autori dovrebbero analizzare bene le potenzialità della PFN se vogliono sostenere più efficacemente la piena uguaglianza di genere.
Nel discutere la contraccezione e le tecnologie riproduttive artificiali (TRA), Salzman e Lawler contestano la gerarchia e i teologi tradizionalisti, i quali, a chi ricorre ai metodi contraccettivi, ascrivono solamente intenzioni moralmente malvagie, come anche a chi utilizza alcune TRA. È certamente vero che molte persone utilizzano i contraccettivi artificiali solamente per sfruttare edonisticamente le proprie partner sessuali, come certamente non tutte le persone che fanno ricorso ai più controversi trattamenti medici per l’infertilità agiscono come se considerassero i figli che ne risultano delle merci di consumo appositamente progettate. A mio avviso, tuttavia, quando si predice la mercificazione dei bambini come conseguenza delle TRA, si intende parlare delle possibili, negative e non volute conseguenze sociali della diffusione di tali tecnologie più che descrivere tendenziosamente le intenzioni coscienti di determinate coppie sterili.
Il libro include un capitolo sulla moralità dei rapporti sessuali prematrimoniali, limitandosi però alle coppie che hanno già programmato di sposarsi. Tale visuale sulle convivenze prematrimoniali è coerente con la norma secondo cui le relazioni sessuali dovrebbero essere di lunga durata. Gli autori hanno certamente la capacità di delineare con cura le problematiche di cui parlano; tuttavia, nella nostra era contemporanea, in cui esiste un lungo periodo tra la pubertà e l’età in cui ci si può accollare prudentemente le responsabilità del matrimonio e un grande numero di adulti è single, divorziato o vedovo, l’assenza di indicazioni sull’attività sessuale tra due partner che non intendono sposarsi è una grossa mancanza. Gli autori asseriscono chiaramente che la dimensione unitiva del rapporto sessuale ha una priorità morale sulla dimensione procreativa e sono aperti all’utilizzo di contraccettivi efficaci da parte di coppie eterosessuali che hanno preso un serio impegno tra loro perché possano controllare il loro potenziale procreativo in maniera responsabile. Avrei voluto che dicessero di più sul perché un impegno a lungo termine sia un elemento necessario per una relazione sessuale moralmente accettabile. Salzman e Lawler affermano che la lunga durata della relazione è necessaria perché si sviluppi un amore maturo che possa beneficiare i due partner e la comunità in cui vivono (pp. 158–159). Forse che la mancata maturità dell’amore costituisce un difetto morale nelle relazioni sessuali più a breve termine, anche se tali relazioni sono sincere, giuste, amorevoli e contrassegnate dall’uguaglianza?
Non posso non menzionare, in chiusura, le note a pie’ di pagina eccezionalmente complete di quest’opera, che offrono agli studenti di livello avanzato un’esauriente introduzione allo stato attuale del dibattito sull’etica sessuale, con un occhio di riguardo alla tradizione cattolica romana. Anche i miei colleghi nel campo dell’etica vi troveranno probabilmente delle gemme che ancora non avevano scoperto. Dovremmo ringraziare gli autori per averci fornito una risorsa eccezionalmente ricca a servizio di un dialogo sull’etica sessuale tra gruppi, diversi fra loro, di esperti di etica che cercano di articolare in maniera più fruttuosa la vita sessuale che i cristiani e le cristiane sono chiamati a creare nel mondo contemporaneo.
[1] Salzman e Lawler interpretano la Gaudium et spes attraverso l’opera di Louis Janssens, in particolare il suo saggio Artificial Insemination: Ethical Considerations. Secondo Janssens, il criterio chiave per il giudizio morale è “la persona umana, adeguatamente considerata nella sua integrità”.
Testo originale: The Sexual Person: Toward a Renewed Catholic Anthropology – By Todd A. Salzman & Michael G. Lawler