Vivere alla giornata in famiglia e nella comunità cristiana
Riflessioni del pastore battista Massimo Aprile pubblicate sul sito del settimanale evangelico Riforma il 30 marzo 2016
«Se mi viene impedito di fare un reale progetto per il mio futuro, a causa della grande incertezza economica e lavorativa, non mi resta altro che imparare a vivere alla giornata». È il modo di argomentare di molti giovani. E come dar loro torto?
Il fatto è che una precarietà se ne porta appresso un’altra. L’instabilità economica e la grande difficoltà a programmare in qualche modo il futuro scoraggia anche giovani coppie a mettere al mondo dei figli. E così sempre più spesso si tende a sostituire a solenni impegni di amore imperituro, più modeste promesse di relazioni affettive, «finché dura».
Attenzione però a dare giudizi morali troppo frettolosi su una intera generazione che spesso decide di non sposarsi o di non procreare, o a tranciare giudizi sommari sulla frequenza di separazioni e divorzi anche tra giovani coppie.
La impossibilità a realizzare, per cause molteplici, una vita affettiva stabile fa sentire spesso inadeguati e genera sensi di colpa, diffondendo solitudini e malessere anche spirituale che rischiano infine di sfociare in veri e propri disturbi nel corpo e nella psiche.
Il recente dibattito, a tratti aspro, sulla legge per il riconoscimento delle unioni civili, purtroppo, non è servito a mettere a fuoco le vere cause della fragilità della famiglia in modo da poter elaborare strategie condivise. Si è preferito esasperare lo scontro ideologico sulla famiglia tradizionale, individuando nelle nuove famiglie una minaccia da sventare. E si è sorvolato sugli aspetti economici e sociali del neoliberismo spinto e della cultura della efficienza a ogni costo, che nel nostro tempo incidono in maniera profonda sulla buona salute delle famiglie e delle relazioni affettive e umane più in generale.
Quando l’apostolo Paolo chiama ogni persona della chiesa di Corinto, senza riguardo ad appartenenza di genere, sociale o etnica, a riconoscersi membro di un corpo che, nelle sue articolazioni e interconnessioni, è il corpo stesso di Cristo presente nel mondo, ci invita a socializzare anche il nostro disagio e le nostre fragilità affettive e familiari attraverso l’ascolto, il reciproco sostegno, la solidarietà e la preghiera. Quel modello di comunità come corpo vivo di Cristo ci esorta a non isolarci, a non cedere alla tristezza, ma a continuare il nostro cammino insieme verso una liberazione che comprenda la società e l’economia, le singole persone e le loro famiglie. Essere così famiglia tutti insieme, perché pur nella precarietà del presente non si viva più alla giornata e non da soli, ma si recuperi la dimensione comunitaria della speranza. Partiamo quindi dalla Resurrezione di Cristo, che è principio della nuova creazione, inizio di un Regno di giustizia e di pace che verrà e che ci chiama dal futuro e per questo ci indica la direzione della Vita.