Voglio dire alla mia chiesa: “sono un suo figlio, sono gay e sono prete”
Articolo di Michelle Boorstein pubblicato sul The Washington Post il 31 gennaio 2016, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
“Dio, cosa mi dici di fare qui?”, pregò il prete, “devo rivelarmi o stare nascosto?”. Dopo ventitré anni (di ministero) nelle parrocchie cattoliche di Chicago, la sua domanda è venuta a galla. Ha pesato con attenzione le sue alternative. Ha pensato ai suoi parrocchiani. Molti, lo sapevano, accettavano le persone omosessuali ed anche il matrimonio gay, ma altre no. È cresciuto in una numerosa famiglia cattolica; ha capito cosa significava per la loro fede popolare. Non aveva intenzione di ferire il suo gregge o la Chiesa cattolica.
Pensava che sarebbe potuto essere penalizzato nel suo impegno. E, per la verità ha considerato il suo status. Sapeva che molti cattolici hanno una visione romantica dell’essere prete: i preti devono essere puri, al di sopra del mondo della sessualità, disinteressatamente disposti a rinunciare a crearsi una propria famiglia per servire Dio. (Fare coming out) avrebbe significato scendere dal piedistallo.
Poi, ha pesato questi fattori e riflettuto sull’impatto che il suo coming-out avrebbe avuto sulla vita dei giovani gay che avevano avuto problemi di dipendenze o che avevano tentato il suicidio, sui genitori e i nonni che sentivano di dover scegliere tra il loro familiare gay e la loro chiesa. Per qualcuno, sentiva, sapere che il suo prete era gay – e in pace – poteva essere salutare.
Pensò alla complessità dei suoi sentimenti. Non aveva niente da rimproverarsi e lui non era un avvocato. Dettò le regole in via preliminare: non voleva essere riconosciuto in questo articolo. Ma alla fine della prima chiacchierata disse: “sto pensando di usare il mio vero nome”.
In un periodo in cui la parola “coming-out” sta iniziando a suonare alquanto abusata, il clero cattolico potrebbe essere uno pochi gruppi rimasti (dove nascondersi) perchè omossessuali, ed è anche uno molto numeroso. Le persone che studiano il clero omosessuale ne teorizzano una percentuale significativa tra i 40.000 preti ordinati negli Stati Uniti, alcuni credono che questi possano essere addirittura la maggioranza. Nel frattempo chi ha fatto coming-out tra loro è un numero davvero esiguo.
La Chiesa cattolica soffre le doglie in un periodo storico in cui si dibatte sull’omosessualità. Tra la famosa linea di papa Francesco: “Chi sono io per giudicare?” e i due Sinodi che ha convocato lo scorso anno per parlare di sessualità e di famiglia, non c’è forse mai stato così tanto dialogo tra i cattolici su come estendere il benvenuto alle persone omosessuali.
Si aspetta che papa Francesco, nei prossimi due mesi, renda pubbliche le sue conclusioni su quei due incontri. Entrambe le parti hanno sostenuto di aver in una certa qual misura vinto quando, due settimane fa, il Papa ha detto che “non ci può essere confusione” tra la famiglia voluta da Dio e altri tipi di unione. Per alcuni è un segno che Francesco darà una direttiva dottrinale; altri lo vedono come una evidenza che non osteggerà le unioni civili.
I preti gay sono invisibili nel dibattito; la Chiesa non vuole parlarne. Comunque le interviste, con dozzine di preti, di ex-seminaristi gay e con esperti di preti gay, rivelano (oggi) un gruppo di uomini maggiormente a loro agio con la propria sessualità. Molti non esprimono l’urgenza che la Chiesa gli accetti. Alcuni comunque dicono che fare il prete rimane sessualmente repressivo; uno afferma che tra i preti c’è un “muro invisibile” sull’argomento .
Parlano con forza del duro lavoro che hanno dovuto fare per accettare la loro sessualità e di come sia una parte importante di quello che sono. Ma la loro accettazione spesso rimanda a uno stato precedente. È in parte, dicono, perché come preti hanno fatto voto di mettere il servizio a Dio sopra ogni cosa.
Il reverendo Warren Hall ha deciso di unirsi al piccolo numero di preti allontanati, dopo essere stato licenziato come cappellano dal campus della Seton Hall University, lo scorso maggio. I dirigenti dell’università hanno scopero che aveva dato il suo appoggio ad un gruppo su Facebook che sosteneva lesbiche, gay, bisessuali e transgender che chiedevano giustizia razziale.
Ma mentre Hall da allora stato esplicito sulla necessità di un dialogo più aperto e tollerante sulla sessualità umana, ha affermato anche di capire perché i preti gay non fanno coming-out – o di far propria la causa dei diritti gay. “I preti vogliono essere buoni preti, vogliono portare avanti il loro ministero” ha detto Hall, che è stato riassegnato ad una parrocchia di Hoboken, nel New Jersey. “Molti sacerdoti sono giustamente più preoccupati per i senzatetto, piuttosto che trovarsi implicati in qualcosa sulla sessualità. Dovremmo essere più preoccupati per questi problemi [come la questione dei senzatetto] che hanno un grande impatto sulle persone.”
Ma alcuni temono anche le conseguenze dei coming out nella Chiesa cattolica, la cui gerarchia dipinge la vita gay come una stortura rispetto all’ideale di Dio. Parte dell’insegnamento della Chiesa afferma che essere gay è “intrinsecamente disordinato.”
Un prete di Chicago ricorda di aver voluto parlare dal pulpito del matrimonio gay, diventato legale in California nel 2008. Ma alla fine non ne fece nulla. “Ho pensato: ‘Cavolo, se ne parlo, penseranno che sono gay”. E’ lacerato (dentro) mentre osserva le diocesi licenziare gli impiegati che sposano qualcuno del proprio sesso. Ma il suo istinto è quello di rimettere ogni decisione alla Chiesa.
“Ci sono sempre cose che non si sanno quando le persone vengono licenziate“, afferma. “Ma dove tirare la linea? Ci persone non in linea su un certo tipo di moralità“. I preti che hanno fatto coming-out – in alcuni casi citando il bisogno di affrontare la discriminazione anti-LGBT – hanno trovato scarso supporto presso gli altri preti.
“I parrocchiani sono stati molto comprensivi, cosi come le religiose. Un gruppo che è rimasto in silenzio è stato quello dei miei fratelli preti. Tanto quelli gay, quanto quelli etero”, ha affermato il reverendo Fred Daley di Syracuse (New York), un prete che ha fatto coming-out nel 2004, dopo essere stato irritato da chi aveva incolpato i preti gay per la crisi mondiale degli abusi sessuali nel clero. “In un certo senso era come se rompessi le regole del club clericale.”
La miscela di fedeltà a Dio e alla Chiesa e la preoccupazione di danneggiare i parrocchiani, o la loro posizione come sacerdoti, ha portato alcuni preti gay a valutare ogni situazione prima di aprirsi.
Un prete newyorkese afferma che fa coming-out solo in rare circostanze private, quando si trova a consigliare qualcuno che lotta per accettare la propria omosessualità. “Mi sono trovato in molte situazioni nelle quali mi è stato detto: ‘Sono un pezzo di m…’ . E io gli dico: ‘Ti sembro un pezzo di m…? Dio ha fatto così anche me”.
Un prete della Pennsylvania dice di essere “quietamente sovversivo” parlando rassegnato delle persone gay, ma non con chiunque. Anche il confessionale non è un posto veramente sicuro, per lui, per dire a chi è gay che non è una cosa brutta. “Abbiamo troppo da perdere. Ho investito la mia vita in questo mio ministero”.
Il punto di vista dei preti rispetto a come la Chiesa tratta l’omosessualità non è uniforme. Alcuni biasimano il cattolicesimo per i decenni che ci hanno messo nell’accettarsi. Altri contano sulla loro educazione, sull’aiuto degli altri preti e sulla loro conoscenza di sé, dicendo che il problema è l’omofobia nella cultura laica. Anche se la dottrina che bandisce le relazioni omosessuali non è cambiata, la Chiesa ha cambiato invece la sua enfasi e il messaggio che dà sull’argomento.
La più recente e autorevole dichiarazione l’ha detta, nel 2005, Papa Benedetto XVI che cercando di chiarire la dottrina, dopo i cambiamenti radicali sotto il Concilio Vaticano II, ha scritto che essere gay è “intinsecamente disordinato”. La Chiesa “mentre rispetta profondamente le persone in questione, non può ammettere in seminario o negli ordini sacri chi pratica l’omosessualità, ha radicate tendenze omosessuali o supporta la cosiddetta ‘cultura gay’” ha affermato Benedetto.
Il messaggio sembra chiaro, dicono molti preti e parecchie persone che fanno formazione nei seminari. Molti che avevano considerato l’idea di fare coming-out hanno immediatamente deciso diversamente. Eppure l’intento dietro le parole di Benedetto è stato discusso. Alcuni dicono che non ha mai avuto l’intenzione di escludere gli uomini che vivono il celibato. Altri affermano che intendeva escludere gli uomini che si sentono fortemente definiti dalla loro sessualità e forse sarebbero stati provocati dal celibato.
Comunque, non c’è dubbio che negli ultimi anni i leader della Chiesa abbiano enfatizzato questo aspetto, molto più di quanto il cattolicesimo si occupi dell’accoglienza delle persone gay – è la relazione sessuale o il matrimonio che costituiscono il problema. Il famoso commento di Francesco “Chi sono io per giudicare?” è stato fatto dopo una domanda sui preti gay.
La scorsa primavere, un gesuita – della comunità di Francesco – ha scritto in un post nel suo blog di essere gay, probabilmente è la prima volta che un gesuita fa coming-out con l’esplicito permesso dei suoi superiori. Padre Damian Torres-Botello ha declinato le richieste per essere intervistato per quest’articolo. In certe comunità, in particolar modo nei gesuiti, i preti gay possono uscire allo scoperto – fino ad un certo punto dicono i preti intervistati.
Altri dicono che le parole di Benedetto hanno portato ad un gelo duraturo per gli uomini gay e che le condizioni oggi sono molto più severe. “Se ci fosse un seminarista gay, il mio consiglio sarebbe: non dirlo a nessuno” afferma padre Hall.
Monsignor Stephen Rossetti, un prete-psicologo che aiuta i seminari a predisporre materiale per discutere di salute sessuale, ha detto che oggi c’è un’esitazione ad ammettere le persone gay e che la percentuale di preti gay è precipitata. Ma tutti gli altri preti intervistati non sono d’accordo. “(I seminaristi) sono più conservatori, ma non meno gay”, ha affermato un prete della Pennsylvania sulla giovane generazione di preti che si sta formando.
Un prete di Chicago non ignora l’insegnamento della Chiesa sulla sessualità, ma cerca di sottolineare che è un’espressione del divino ed incoraggia le persone a pregare per discernere qual è il loro posto. Il suo posto, dice, è quello di un uomo che non capiva che era gay quando si fece prete e ora vede la sua sessualità come un dono per il suo ministero.
“C’è un livello di testimonianza che per me è importante fare. La fede cristiana ha molto da dire sui perdenti, gli emarginati, i lebbrosi, i ciechi, gli zoppi, le prostitute ostracizzate, le vedove e i più piccoli”. “Vorrei essere uno di quei preti che, con grande rispetto per l’insegnamento della Chiesa, può dire: sono un essere umano. Sono un figlio – uno di sei – , sono gay e sono un prete, punto”.
La preghiera lo ha portato a credere che questo articolo è parte di quella testimonianza. Ecco perchè padre Michael Shanahan ha deciso che vuole essere conosciuto col suo vero nome.
Testo originale: ‘I’m gay and I’m a priest, period.’