“You Don’t Own Me”. Il canto di Lesley Gore, lesbica e femminista in anticipo sui tempi
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Articolo di Amy Salitsky* pubblicato sul sito femminista ebraico Alma (Stati Uniti) il 23 novembre 2017, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Il Brill Building, appena a nord di Times Square, a Manhattan (New York) è famoso per essere stato il luogo in cui sono state scritte alcune delle canzoni più amate della pop music americana. Considerata la sede dell’industria musicale americana all’inizio degli anni ‘60, questo luogo ci ha fatto conoscere i cantautori più famosi, tra cui Paul Simon, Carole King, Burt Bacharach e Phil Spector.
Un altro nome che merita di essere menzionato e conosciuto anche oggi è quello di Lesley Gore.
Sono cresciuta con la musica di Lesley Gore grazie a mia madre, che era da poco adulta quando le canzoni di Lesley erano nella classifica di Billboard. Anch’io usavo, come mia madre da adolescente, le sue canzoni come meccanismo di difesa. Grazie a loro mi sentvo più vicina a lei; mi diedero anche una grande consapevolezza di come il mondo fosse una volta.
Nata Lesley Sue Goldstein (la sua famiglia cambiò in Gore il proprio cognome poco dopo la sua nascita), crebbe in una famiglia ebrea di Brooklyn con il sogno di fare la cantante. La sua occasione si presentò quando, al terzo anno di liceo, il suo insegnante di musica registrò il demo di una sua canzone al pianoforte, che finì nelle mani del produttore Quincy Jones, che stava lavorando nella sezione giovani della Mercury Records. Presto Jones diventò il suo produttore, e fu per lei anche un mentore ed un amico. Noto soprattutto per aver prodotto Michael Jackson, diventò una star proprio grazie a Lesley Gore.
Lesley Gore fu prima in classifica prima di compiere diciott’anni, con il singolo “It’s My Party (And I’ll Cry If I Want To)”, che sicuramente, da allora in poi, le cantarono ironicamente ad ogni festa di compleanno. Dopo il successo del loro primo singolo insieme, Jones diventò il primo vicepresidente afroamericano della Mercury Records e incise molte canzoni con Gore, che vendettero più di un milione di copie ciascuna.
In quelle canzoni si percepiva una Lesley Gore empatica, che attirava il suo pubblico (femminile) confortandolo quando si sentiva giù, o quando il fidanzato scappava con un’altra. Recitava bene il ruolo, angosciata, lamentosa e affranta. Era un idolo delle adolescenti: erano nella sua stessa barca.
Nel 1964 uscì con una canzone che presentava un altro lato di se stessa, “You Don’t Own Me”. La canzone, scritta da John Madara e David White, cambiò il modo in cui veniva considerata: non era più un’adolescente ingenua, avvertiva della sua indipendenza chiunque cercasse di tenerla legata a sé. Era un inno di autostima, che ha contribuito a inaugurare la seconda ondata del movimento femminista e ha ispirato le donne a capire che non dovevano essere messe in vetrina. La canzone era una dichiarazione di indipendenza, e dava un po’ di tregua in un mondo dominato dai maschi. Quando uscì, era un’affermazione assolutamente rivoluzionaria.
In un’intervista registrata nel 1991 per Fresh Air, Gore ha detto “Ho sempre odiato le donne deboli. Non le ho mai capite. Così, quando ho sentito per la prima volta questo materiale, ho capito subito che avrei voluto inciderlo”. Le piaceva la forza della canzone, e che capì che era quella giusta per lei. Nel 2010, Gore disse al Minneapolis Star-Tribune: “Man mano che invecchiavo, il femminismo diventava sempre più parte della mia vita, e parte della nostra coscienza collettiva, e posso capire perché la gente usò quella canzone come inno femminista”.
Al massimo della sua popolarità, Gore permise a se stessa di essere sia una teenager impertinente che una donna forte ed assertiva. Offrì al suo pubblico una canzone per innamorate cotte: “Sunshine, Lollipops and Rainbows”, e una per cercare vendetta: “Judy’s Turn To Cry”. Per tutto il tempo, comunque, non rese mai nota pubblicamente la sua identità sessuale.
Anche se cantava canzoni sugli uomini, Gore era lesbica, in un periodo in cui era tabù non avere uno stile di vita eteronormato. Nel 2005, durante un’intervista al programma televisivo Ellen DeGeneres, disse che aveva saputo di essere lesbica quando aveva più di vent’anni, ma, sebbene l’industria musicale fosse “assolutamente omofoba”, non aveva mai ricevuto pressioni per far finta di essere etero.
Aveva avuto relazioni sia con uomini che con donne, ma la sua prima relazione seria le diede la certezza sulle sue preferenze. Suggerì che chi la conosceva bene sapesse già del suo orientamento, ma fece ufficialmente coming out quando ospitò una serie sui problemi di gay e lesbiche sulla PBS, nella serie iniziata nel 2004 e intitolata In the Life.
Questa “dolce ragazza ebrea” ha sovvertito il sistema, permettendosi di passare da popstar ad attivista. Nonostante la sua fama musicale, la tradizionale enfasi ebraica sull’educazione fu chiara quando Gore decise, all’apice della sua carriera, di frequentare il Sarah Lawrence College, spiegando che “Sarebbe da pazza lasciare la scuola per entrare a tempo pieno in un campo così imprevedibile”.
Questa si rivelò una mossa intelligente. Ebbe infatti l’opportunità di perseguire altri interessi, incluso l’attivismo politico, sostenendo la campagna presidenziale di Robert Kennedy. Lavorò anche con suo fratello Michael al brano “Out Here on My Own”, nominato all’Academy Award per la migliore canzone originale, e apparso nella colonna sonora del film Fame.
Anche se la sua popolarità calò a causa dei cambiamenti della pop music alla fine degli anni ‘60, le sue canzoni sono attuali ancora oggi, specialmente “You Don’t Own Me”. Negli anni ‘90, la canzone fu utilizzata nel film Il club delle prime mogli, e nel 2012 una nuova interpretazione, autorizzata da Gore, fu usata in una “pubblicità progresso” che incoraggiava le donne a votare per la pianificazione delle gravidanze, il matrimonio egualitario e l’uguaglianza dei salari, ed era cantata da Alex Chung, Tavi Gevinson, Lena Dunham, e da altre voci femminili di spicco.
Molti, in anni recenti, hanno ricantato “You Don’t Know Me” e “It’s My Party”, ma forse la cover più ispirata di “You Don’t Own Me” è stata fatta nel 2015, un mese dopo la morte di Lesley Gore per cancro ai polmoni. La canzone è stata aggiornata per le nuove generazioni, interpretata dalla cantante australiana Grace e dal rapper G-Eazy e, come la versione originale, è stata prodotta da Quincy Jones.
Quando il manager di Grace suggerì che lei e Jones registrassero di nuovo uno dei suoi successi, Jones scelse “You Don’t Own Me” perché Grace aveva esattamente la stessa età di quando Lesley Gore aveva inciso la canzone per la prima volta. La canzone ispirò Grace, che sperava di poter rendere giustizia all’originale, e dichiarò “È molto importante seguire i propri sogni, essere forti. La generazione di Lesley ci ha spianato la strada, così penso che questo sia un modo per ringraziarla e continuare a mantenerne lo slancio”.
Le sue canzoni sono state una parte importante della mia infanzia, e ancora oggi mi risuonano dentro. Anche se Lesley Gore è scomparsa, continua a vivere nell’avanzamento dei diritti LGBT e nelle nuove declinazioni del femminismo (e alcune sono molto dirette) della pop music. Spero che trovi un nuovo pubblico da ispirare, come ha ispirato me e mia madre.
* Amy Salitsky è una scrittrice che vive a Brooklyn, New York. Ama gli Welsh Corgi e i matcha latte, e fa delle playlist bellissime. Seguitela su Instagram.
Testo originale: Lesley Gore: The Jewish Feminist Lesbian Pop Star Ahead of Her Time