Amati senza condizioni. Il messaggio per le persone LGBT+ racchiuso nel Vangelo dell’adultera (Gv 8, 1-11)
Riflessioni di padre Gregory Greiten* pubblicate su New Ways Ministry (Stati Uniti) il 6 aprile 2025. Liberamente tradotte dai volontari del Progetto Gionata
Ricordo ancora con straordinaria chiarezza un incontro che ha segnato profondamente la mia vita: era il marzo del 1992, e partecipavo al Terzo Simposio Nazionale di New Ways Ministry su Chiesa cattolica e persone LGBT+. In quell’occasione ascoltai il vescovo Kenneth Untener, allora pastore della diocesi di Saginaw, nel Michigan (Stati uniti). Parlava del Vangelo dell’adultera – proprio il brano proclamato nella quinta domenica di Quaresima – con una lucidità e una forza che non ho mai dimenticato.
Lo ricordo dire: «Gesù non è mai stato troppo prudente nel distribuire la sua misericordia. È stato criticato per la sua misericordia “sconsiderata” verso i peccatori che non la meritavano». Quelle parole si sono radicate dentro di me, specialmente mentre cercavo il coraggio di abbracciare pienamente e pubblicamente chi sono: un sacerdote gay nella Chiesa cattolica romana.
Il vescovo Untener parlava di inclusione, ma più ancora sottolineava ciò che lui stesso considerava il cuore del giudizio di Dio: «Da teologo, non lo dico alla leggera, ma credo davvero che alla fine della vita l’unica cosa che conterà sarà come ci siamo trattati gli uni con gli altri». Così semplice, eppure così profondo. Così difficile, ma anche profondamente liberante.
Il Vangelo della donna adultera, è un racconto di compassione disarmante. Gesù si rivela per quello che è: amore che accoglie, che non condanna, che salva. Eppure – come ci ha fatto notare proprio il vescovo Untener – questa pagina manca in alcuni antichi manoscritti del Vangelo di Giovanni. Forse alcuni primi cristiani erano turbati da un Gesù così eccessivamente misericordioso? Forse questa misericordia così scandalosa era troppo da digerire?
La scena è potente. I farisei la “colgono in flagrante”. La “portano” davanti a tutti. La “fanno stare in piedi” al centro, sola. Tre verbi che descrivono un dominio esercitato sul corpo e sull’identità. L’accusano pubblicamente, pretendendo la condanna a morte per lapidazione, come stabiliva la legge.
E dell’uomo? Nessuna traccia. Ancora una volta, in una società sessista, è la donna a pagare. Il suo complice – forse un fariseo, uno scriba, un mercante, un sacerdote? – è scomparso nell’ombra, non viene accusato, non è giudicato. Ma io, e forse anche tu che leggi, possiamo facilmente identificarci proprio in quell’uomo invisibile. Colpevoli eppure impuniti. In silenzio, nascosti, non nominati.
Gesù invece si alza e si pone contro l’arroganza, contro la presunzione di chi si erge a giudice. Non si lascia intrappolare, ma con quella frase che è diventata leggenda – «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra» – scompagina tutto. Non c’è condanna che venga da Dio. In quelle parole si fa strada la verità, la giustizia, la compassione.
Uno a uno, se ne vanno. E lì restano in due. Sant’Agostino commenta questo momento con una frase che amo profondamente: misera et misericordia – “la misera e la misericordia”.
Gesù la guarda e le chiede: «Nessuno ti ha condannata?» – «Nessuno, Signore» – «Neanch’io ti condanno».
Quelle parole non solo la liberano dal giudizio degli altri, ma anche dal peso che porta dentro: vergogna, senso di colpa, disprezzo di sé, disperazione.
Tante volte mi è stato chiesto: “Come può Gesù non condannare il peccato?”. Ma è un fraintendimento. “Condannare” non è l’opposto di “giustificare”. La parola condannare viene dal latino damnare, ovvero considerare qualcuno senza valore, scartato. Il suo contrario non è “scusare”, ma “salvare”. Significa ridare valore, rialzare, restituire alla vita.
Gesù e i farisei concordavano: ciò che quella donna aveva fatto era sbagliato. Ma solo i farisei la condannano. Gesù no. Gesù non ha mai condannato nessuna persona. Mai. E noi, come suoi discepoli, non possiamo farlo. Possiamo parlare delle azioni, certo. Ma la persona? Mai.
Come prete che ha scelto di vivere apertamente la propria omosessualità, so cosa significa sentirsi esclusi, giudicati, odiati. So cosa vuol dire pensare, nel fondo del cuore, di essere troppo sbagliati per essere perdonati da Dio. Troppi fratelli e sorelle LGBTQ+ portano questo fardello: punendosi da soli, incapaci di credere di essere amabili.
E invece il profeta Isaia ci dice, nella prima lettura: «Non ricordate più le cose passate… Ecco, io faccio una cosa nuova!»
Dio sta facendo qualcosa di nuovo. Lo ha fatto per quella donna. Lo fa per noi. Non ci condanna. Nemmeno nei nostri giorni più bui. Nemmeno quando noi stessi ci rinneghiamo. Dio non smette mai di amarci. Questa è la verità. È la sola verità che conta.
Nel mondo di oggi, noi persone LGBT+ continuiamo a subire discriminazioni, violenze, leggi ingiuste. In tanti paesi, le persone transgender in particolare sono bersaglio di attacchi e leggi disumane. Eppure, anche in mezzo a tutto questo, resta la misericordia scandalosa di Gesù. Quella che non fa calcoli. Quella che non si misura.
In questa Quaresima, ti invito a entrare dentro questa storia. Lì c’è il volto di Dio che ti cerca, ti vede, ti desidera. Lascia che parli alla tua ferita, a quella parte di te che nascondi. Lascia che ti dica: «Nessuno ti ha condannato? Nemmeno io ti condanno».
Essere cristiani è vivere ogni giorno questo incontro. Sapere che l’amore di Dio non si esaurisce. Non ci condanna, ma ci rinnova. Il Mercoledì delle Ceneri ci ha invitati a cambiare vita e credere al Vangelo. E il Vangelo è questo: noi siamo perdonati. Ogni giorno. E la misericordia di Dio è ciò che ci rende capaci di cambiare.
Come ministri e membri del popolo di Dio, anche noi dobbiamo riflettere quella stessa misericordia “sconsiderata” che Gesù ha incarnato. In un mondo che divide, che odia, non possiamo tacere. Non ci lasceremo condannare dall’odio altrui.
Non torneremo in nessun armadio di vergogna. Vivremo. Cammineremo. E lo faremo nella straordinaria, scandalosa misericordia del nostro Salvatore, che ci ama fino in fondo e rinnova le nostre vite riconoscendo in ognuno di noi una dignità infinita.
Accettiamoci. Amiamoci. Così come Dio ci ha creati: vivi, amati, abbracciati da un amore che non ha misura.
*Padre Gregory Greiten è un sacerdote dell’arcidiocesi cattolica di Milwaukee (Stati Uniti). Dal 2017 vive pubblicamente la propria omosessualità come parte del suo ministero. Attualmente è parroco amministratore delle parrocchie di St. Bernadette, Our Lady of Good Hope e St. Catherine of Alexandria, tutte a Milwaukee.
Testo originale: Standing in the Space of Reckless Love