Milk, semplicemente Harvey Milk

L’uomo ha appena compiuto, da pochi minuti, quaranta anni. All’amante occasionale, abbordato per strada, confessa di non aver fatto niente di buono per darsi motivo di orgoglio. Ma si dice pronto ad una svolta, ad un cambiamento.
L’uomo si chiama Harvey Milk e avrà motivo, otto anni più tardi, di riconoscere a sé stesso di aver fatto qualcosa di importante, qualcosa che lo farà ricordare.
Nel raccontare la propria storia ad un magnetofono, Milk dichiara l’intento di lasciare una testimonianza, in caso di assassinio. Facile profezia. Già più volte minacciato di morte, sarà assassinato insieme al sindaco di San Francisco da un ex consigliere, omofobo fino alle estreme conseguenze.
Una volta di più non rinnego uno dei miei dettami di critico cinematografico, quello di non rivelare il finale del film: è la stessa sceneggiatura che introduce il tragico epilogo della vicenda fin dalle prime sequenze.
È come se il regista ci dicesse: non vi sforzate a seguire questo elemento del mio racconto, il destino del protagonista, perché non poteva andare che così, dedicate la vostra attenzione ad altri elementi.
Un omosessuale che si assume una carica pubblica nel controverso panorama politico sociale degli anni ’70 negli USA non può che finire ammazzato. Pienamente consapevole di ciò, Harvey Milk si narra come una vittima potenziale e probabile, e nel racconto filmico non mancano accenni a questo coraggio.
Alcuni passaggi della sua riflessione biografica fanno venire in mente alcuni scritti e stralci di intervista del poeta, regista e scrittore Pierpaolo Pasolini, in cui egli dichiara la propria sensazione di essersi consegnato alla notorietà in una identità che non può che portare all’essere divorati, preda pubblica di una società implacabile con le dissidenze…
I presagi sulla propria fine violenta rendono conto del coraggio di essere sé stessi in tanti contesti. Milk si trasferisce a San Francisco, nel quartiere di Castro, dove hanno trovato casa molti gay.
Apre un’attività commerciale e diventa uno dei leader della comunità omosessuale, fino a candidarsi come consigliere comunale. Ci proverà per ben tre volte, fino a che, nel 1977, al quarto tentativo, dopo che i distretti elettorali sono stati ridisegnati secondo una geografia che riunisce nello stesso seggio elettorale l’intero quartiere di Castro, finalmente ci riesce.
In undici mesi da consigliere, si batté in difesa di una legge per i diritti dei gay a livello cittadino, ma affrontando anche questioni molto meno nobili, come l’elaborazione di una ordinanza sulla raccolta degli escrementi dei cani.
Il suo impegno fu decisivo nel rigetto, dopo consultazione popolare, della “Proposition 6”, supportata dal senatore dello stato Briggs, che avrebbe permesso il licenziamento degli insegnanti dichiaratamente gay in base alla loro identità sessuale.
Milk dibatté pubblicamente in più occasioni con Briggs, rivelando doti politiche non indifferenti, senza sottrarsi ad incontri con la base del partito repubblicano, notoriamente conservatrice su questi temi. Ebbe così modo di farsi conoscere da tutto il paese, che poté apprezzare o odiare il suo stile e la sua ironia.
Nel novembre 1978 la “Proposition 6” fu fermamente rigettata dall’elettorato californiano. Ma questo sarà il suo ultimo successo politico.
Il suo funerale sarà un momento di emozione collettiva, partecipata da una folla immane, che consegna alla storia la memoria di un uomo che non ha avuto paura di essere quello che sapeva di essere e si è ricordato dei molti per cui questo non è possibile.
La mattina del giorno in cui morirà, Harvey Milk potrà riconoscere a sé stesso di aver fatto della propria vita qualcosa da poter consegnare a chi sarà.
È l’aspetto più significativo del film: non accondiscendente del tutto agli elementi controversi della personalità del protagonista (i molti amanti, il suicidio di uno di essi, le contraddizioni tra la personalità pubblica e le fatiche di una vita in parte sommersa nel pregiudizio, la promiscuità di molti esponenti del mondo gay), ci mostra l’importanza della sua testimonianza quando racconta di coloro che, a partire da essa, ne trarranno motivo per recuperare dignità e stima di sé, capacità di reagire al pregiudizio e alla repressione, sfidando con lui la violenza di un contesto che nega la loro umanità.
Su questo piano il film è davvero coinvolgente e mostra tutte le capacità narrative che ben conosciamo – e riconosciamo – al regista di “Elephant” e “Paranoid Park”, sicuramente significative a partire dal dato biografico dell’omosessualità dello stesso Gus Van Sant.
Ma sarebbe sbagliato considerare “Milk” un’opera che tratta solo di diritti civili. La necessità di una politica che sappia porsi ancora il problema dei diritti e del diritto, l’acquisizione di nuovi soggetti, la capacità di trattare grandi temi ma anche le problematiche locali, la volontà di assumere l’ottica delle – e un’attenzione autentica verso le – minoranze sapendo attivarle come coscienza civile; nella vicenda dell’uomo politico Milk troviamo anche questo aspetto e il film diviene un ritratto appassionante di una stagione politica (narrata pure da un altro delle opere candidate – come questa – alla categoria di miglior film ai premi Oscar 2008, un’altra notevole pellicola: “Frost – Nixon” di Ron Howard) in cui si è davvero sognata un’altra realtà collettiva, grandi ingiustizie da combattere ma anche una speranza concreta per poterle affrontare.
Speranze essenziali, non ancora morte, nonostante il piombo con cui si è voluto, in troppi casi, inchiodarle a terra.
Ho trovato nelle biografie di Milk – che nei titoli di coda compare in immagini di repertorio, insieme ai suoi collaboratori – una frase che dice molto di quest’uomo e delle sue lotte: ‘Se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello, possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay nel Paese’.
A distanza di trent’anni possiamo dire che è anche grazie a lui che in parte queste porte siano cadute. Ben consapevoli che molte altre devono rovinare su sé stesse il più velocemente possibile.
Molto del film deve all’interpretazione di Sean Penn, per la quale ha vinto l’Oscar: notoriamente legato a ruoli di uomo duro e violento, qui è capace di dare corpo in una mimesi impressionante ad un personaggio totalmente diverso.
Forse anche questo è segno di una realtà diversa già in boccio, in cui si ha il coraggio di confrontarsi con l’altro da sé per saper comprendere chi egli realmente sia. Al di là degli immaginari reciproci, sapersi incontrare.
MILK
REGIA: Gus Van Sant, SCENEGGIATURA: Dustin Lance Black
ATTORI: Sean Penn, Emile Hirsch, James Franco, Josh Brolin, Diego Luna, Brandon Boyce, Kelvin Yu, Lucas Grabeel, Alison Pill, Victor Garber, Denis O’Hare, Howard Rosenman, Stephen Spinella, Peter Jason, Carol Ruth Silver, Hope Tuck, Ashlee Temple, Cory Montgomery, Boyd Holbrook, Cleve Jones
FOTOGRAFIA: Harris Savides, MONTAGGIO: Gus Van Sant, Elliot Graham
USA 2008