Ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni (Isaia 43,1)
Riflessioni bibliche di Anne Dunlap, Derek Krehbiel e Sara Rosenau, tratte dal sito Out in Scripture (Stati Uniti), del gennaio 2013, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Isaia 43,1-7 esprime profonda intimità e forte protezione. Dio si rivolge a Israele, lo fa suo e lo rassicura; “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni” (Isaia 43,1).
Questo potente richiamo a Israele arriva in un momento in cui la nazione è abbattuta, dispersa e frammentata. Dopo averlo proclamato degno, Dio assicura al suo popolo la sua protezione. Un versetto ben noto recita: “Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare” (Isaia 43,2).
Queste potenti parole che emanano forza e protezione hanno toccato in profondità le varie comunità nel corso dei secoli. Pensiamo all’inno “How firm a foundation” (Che saldo fondamento) o al canto del movimento per i diritti civili “We shall overcome” (Vinceremo).
Anche se questo passo può essere letto individualmente, è importante ricordare che Dio chiama e protegge anche le nazioni, le tribù e le comunità. Per le persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender, che spesso si sentono isolate per via della persecuzione, la promessa di Dio di proteggere l’intera comunità è un grande conforto. Quando la comunità resta unita, le acque non la sommergono e la fiamma non la può bruciare.
Inoltre, la comunità è “formata e compiuta” da Dio, che prende parte al radunamento della comunità. Isaia 43,7 ci dice che tutti siamo creati per la gloria di Dio e Dio radunerà tutti coloro che ha chiamato per nome. Tutti siamo radunati da Dio, le persone LGBT e gli altri. Dio andrà fino agli estremi della Terra per radunare insieme il suo popolo. Questa è l’opera di un Dio che ama profondamente ogni creatura e che con potenza raccoglie il suo popolo.
Ricordate il momento in cui Dio vi ha chiamati o condotti in una comunità? La vostra comunità è diventata un rifugio per voi?
Il Salmo 28 (29) esprime lo stupore per la potenza di Dio vista attraverso la natura. I primi versetti ammoniscono la creazione tutta a dare gloria a Dio, seguiti dalle vivide e persino terrificanti immagini della tempesta e della voce di Dio che fa balzare il Libano, saettare fiamme di fuoco e scuotere il deserto. Una nota dice persino che la voce di Dio fa “partorire le cerve” (Salmo 28,9).
Questo salmo dice chiaramente che tutta la forza e la gloria vengono da Dio. Non è facile però afferrare il concetto. Chiunque si trovi in mezzo a una tempesta, letterale o figurata, fa mostra di fede autentica se guarda la tempesta in faccia e continua a dare gloria a Dio. Se ricordiamo il passo di Isaia possiamo comprendere la natura dinamica di questo salmo che si esprime nelle persone che accolgono la potenza di Dio e scelgono di dire “Se ne occupa Dio”, anche quando le acque salgono, anche quando le cose sembrano davvero terribili. Per la comunità LGBT e altri gruppi oppressi è una atto potente dire dove troviamo Dio. In questo modo, noi come popolo di Dio riceviamo forza da lui, interpretiamo gli eventi della nostra vita mettendo Dio al centro.
Quali sono state le tempeste nella vostra vita, qual è la vostra preghiera a Dio? Trovate forza nei momenti difficili? Anche se siamo talvolta arrabbiati con Dio a causa della nostra sofferenza, c’è un modo di dare ugualmente gloria a Dio?
Nelle Scritture ebraiche troviamo un Dio attivo negli eventi della natura, che protegge dall’inondazione e dal fuoco ed è presente nella tempesta. In molti passi di Atti e di Luca Dio è attivo nella comunità dei credenti. Dio si rivolge ai discepoli, a Giovanni Battista e Gesù perché partecipino alla creazione della sua comunità sulla Terra.
I cristiani che accettano la successione apostolica – l’autorità dello Spirito Santo che si trasmette da una persona a un’altra – forse vedono lo Spirito che scorre solo attraverso i canali apostolici. In Atti 8,14-17 la visita di Pietro e Giovanni a Samaria per portare lo Spirito Santo ai Samaritani ne è un chiaro segno. Invece per i cristiani che credono che lo Spirito Santo si muove indipendentemente da ogni gruppo specifico questo passo porta con sé altri messaggi.
Confrontato con la potenza maestosa di Dio che parla a Israele in prima persona (Isaia 43,1-7) e a Dio come forza della natura che infonde energia a tutto Israele (Salmo 28), Atti 8,14-17 presenta una visione più semplice (ma non meno potente) di come Dio lavori nel nostro mondo. Questo passo descrive il ruolo dell’umanità nell’avvento del regno di Dio: invitarsi l’un l’altro a un nuovo stato di esistenza.
La comunità dei credenti, rappresentata da Pietro e Giovanni, ascolta, viaggia e tocca i Samaritani appena battezzati come manifestazioni umane dello Spirito Santo, completando l’atto battesimale. Con un atto semplice e intimo, Pietro e Giovanni impongono le loro mani umane sui Samaritani, riconoscono e confermano la loro accettazione nel corpo comunitario di Cristo.
Come riconoscete la presenza dello Spirito Santo in individui e comunità che sono state tradizionalmente escluse da tale potere? Quando siete stati toccati in un modo che definireste “ripieno di Spirito”?
Luca 3,15-17; 21-22 presenta due movimenti nel battesimo di Gesù – prima con acqua e poi con la dichiarazione dal cielo che Gesù è il prediletto di Dio. Ma chi è questo Gesù? Qualche versetto prima, Giovanni descrive colui che ha in mano il ventilabro, che lavora per ripulire la sua aia (Luca 3,17). Con il suo ventilabro egli separa la parte utile del frumento, il seme – ciò che è commestibile, edificante, nutriente – dalla parte inutile, la pula – che non serve quasi a nulla all’uomo. La pula è gettata nel fuoco “inestinguibile”.
Ciò che qui viene descritto non è una “cernita” dei “buoni” dai “cattivi”, con i cattivi scagliati nel fuoco infernale, una interpretazione anche troppo familiare alle persone LGBT. Piuttosto il ventilabro simboleggia un processo di discernimento e crescita spirituale. Dio scarta, all’interno di ciascuno e nella comunità, quelle azioni, credenze, pregiudizi, tendenze, atteggiamenti, che non servono a edificare e nutrire l’individuo e la comunità. Infatti, ciò che è dannoso viene separato da ciò che è salutare.
Ad essere salvate in questo processo sono quelle cose costruttive, che guariscono, che creano pienezza comunitaria e individuale. Che il fuoco sia inestinguibile indica che questa cernita è per tutti una pratica che non si interrompe mai. Gesù con in mano il ventilabro, il prediletto di Dio, ci mostra che la sua preoccupazione è costruire la pienezza della comunità prediletta di Dio.
In che modo Gesù, l’amante della giustizia, potrebbe chiamarvi a opporvi alle cose che, nella vostra comunità, fanno del male al prossimo? Di cosa Gesù “farebbe la cernita” nella vostra vita? In che modo siete vocati alla pienezza?
In preghiera
Dio di tutta la vita
ti rendiamo grazie perché sei sempre con noi.
Nelle acque profonde e turbolente
nell’estasi dell’amore
nella cernita delle nostre vite
la tua grazia basta a tutto.
Da soli e insieme, in comunità,
il tuo amore potente ci circonda
mentre percorriamo la via che ci hai posto innanzi.
Ricordaci, Dio benigno,
che noi, tutti noi, siamo riuniti in te.
Nel nome di Gesù, Amen.
Testo originale (PDF): Baptism of Jesus, First Sunday after the Epiphany, Year C