A noi cattolici la vescova Budde ha mostrato cosa è il coraggio morale fondato sulla fede in Cristo
Articolo di Kathleen Bonnette* pubblicato sul sito di America – The Jesuit Review il 24 gennaio 2025, liberamente tradotto da Luigi e Valeria de La Tenda di Gionata
Il giorno dopo il secondo insediamento di Donald J. Trump, la vescova Mariann Edgar Budde della diocesi della Chiesa Episcopale di Washington, D.C., lo ha ammonito: «In nome del nostro Dio, le chiedo di avere pietà, signor Presidente», ha implorato.
Citando in particolare gli immigrati e le persone della comunità LGBT+, che sono stati presi di mira dagli ordini esecutivi appena firmati dal presidente, il vescovo Budde ha ricordato a Trump che le persone sono spaventate e fragili, e che la compassione e l’accoglienza sono la via del Vangelo.
Ha chiesto a Dio di «concederci la forza e il coraggio di rispettare la dignità di ogni essere umano, di dire la verità gli uni agli altri nell’amore e di camminare umilmente gli uni con gli altri e con il nostro Dio per il bene di tutte le persone, il bene di tutte le persone in questa nazione e nel mondo».
La vescova Budde ha tenuto il suo discorso durante la cerimonia religiosa tenutasi martedì in occasione dell’inaugurazione della presidenza di Trump, come risposta agli ordini esecutivi firmati dal neopresidente dopo il suo insediamento.
Anche se la maggior parte di essi non sono stati una sorpresa – erano state promesse annunciate durante la campagna elettorale – la loro effettiva attuazione è stata un colpo terribile.
Per citarne alcuni, Trump si è ritirato dall’accordo sul clima di Parigi, ha eliminato le norme restrittive sull’estrazione dei combustibili fossili, ha promosso l’uso della pena di morte sia a livello federale che statale, ha posto fine al diritto di ammissione per rifugiati e richiedenti asilo, ha inviato più truppe alla frontiera con il Messico, ha posto fine al diritto costituzionale della cittadinanza per nascita (anche se questo provvedimento è al momento sospeso in tribunale), ha iniziato a organizzare deportazioni di massa gestite dall’esercito, ha revocato la normativa dei luoghi sensibili, che riconosceva le strutture dedicate al culto come rifugio per le persone in pericolo e ha dichiarato che il governo degli Stati Uniti riconoscerà solo due generi non modificabili.
Quelli di noi che non sono stati già interessati direttamente da questi provvedimenti sono testimoni del tentativo dell’amministrazione Trump di cancellare sostanzialmente le comunità vulnerabili.
L’atto di coraggio morale del vescovo Budde di fronte a questi tentativi di emarginare ulteriormente persone già vulnerabili è degno di lode e dovrebbe ispirare tutti noi – specialmente i nostri sacerdoti e i nostri vescovi – a proclamare la dignità di tutte le persone in modo chiaro e convinto, specialmente se abbiamo posizioni di rilievo.
Dichiarazioni come quella del vescovo Mark J. Seitz, che ha esortato il presidente Trump a «passare da questi provvedimenti puramente restrittivi a soluzioni giuste e orientate alla compassione», sono un modo per farlo, ma è anche necessario che ci siano prese di posizione esplicite da parte di ministri della Chiesa e di leader laici nelle omelie e in altre occasioni di pubbliche dichiarazioni.
Tutto ciò non è privo di rischi. La vescova Budde riferisce infatti che lei e la National Cathedral sono ora bersaglio di intimidazioni e hanno ricevuto minacce di violenza.
Non possiamo più pensare che coloro che non sono stati presi di mira direttamente siano fuori pericolo; dobbiamo usare tutti i privilegi e l’autorità di cui disponiamo per opporci, tutti insieme, agli attacchi sistematici della nuova amministrazione alla dignità umana, offrendo incoraggiamento e protezione a tutti coloro che sono vulnerabili.
Vale la pena riflettere sul fatto che Gesù stesso è andato in croce per aver lottato contro l’emarginazione e l’oppressione e per aver sovvertito l’autorità dello Stato.
Connor Hartigan, nel suo articolo su America, ha evidenziato come la nostra tradizione di fede sia radicata nella testimonianza profetica di coloro che hanno il coraggio di parlare con verità a coloro che detengono il potere. Spero che i nostri vescovi e i membri della gerarchia trovino il coraggio morale di continuare questa tradizione.
Uno degli esempi che mi piace di più nella storia recente, a proposito della natura profetica della nostra tradizione, era in realtà un richiamo alla coerenza rivolto alla Conferenza episcopale degli Stati Uniti.
Nel 1989, Thea Bowman, dell’ordine delle Suore Francescane dell’Adorazione Perpetua, in un discorso tenuto in occasione di un incontro dei vescovi, ha denunciato la Conferenza episcopale degli Stati Uniti per l’atteggiamento razzista e paternalistico presente in quella istituzione.
Pur dichiarando il suo amore per i suoi «fratelli vescovi», suor Thea li ha tuttavia criticati direttamente, dicendo: «Lavorano per la gente, ma non hanno imparato a condividere la vita, l’amore e le risate con la gente», in particolare con i cattolici neri. In questo modo, li invitava a una comunione più profonda come corpo di Cristo.
Questo momento politico, in cui molte delle persone che vivono vicino a noi sono giustamente spaventate dai pericoli che le minacciano e si sentono abbandonate, ha aperto delle ferite nel corpo di Cristo.
Credo che la Chiesa non sia stata assolutamente all’altezza nel rispondere alla sfida di suor Thea di guidare i credenti verso la giustizia, la compassione e la solidarietà, e di superare gli atteggiamenti segnati dalla supremazia bianca, dal patriarcato e dall’individualismo.
Come suor Thea, la vescova Budde ci ha sfidato di nuovo, con integrità e convinzione, e questo dovrebbe essere un esempio per tutto il clero e la gerarchia della Chiesa.
Come mi ha detto giovedì il direttore esecutivo ad interim della Network Lobby for Catholic Social Justice [una organizzazione di ispirazione cattolica che si occupa di promuovere la giustizia sociale con iniziative di sensibilizzazione, formazione e denuncia, N.d.T.] Joan Neal: «La vescova Budde ha mostrato la leadership profetica di cui abbiamo bisogno in questo momento da parte di tutte le nostre guide nella Chiesa. Ha ricordato al presidente che è sua responsabilità quella di prendersi cura di tutte le persone, senza eccezioni, in accordo con la nostra dignità data da Dio. L’impegno di questo Paese, di questa democrazia, è la sua capacità di offrire libertà, salute, sicurezza e opportunità di crescita a tutte le persone, senza eccezioni. Tutti i nostri leader nella Chiesa, e di fatto tutte le persone credenti, dovrebbero seguire il suo esempio, di parlare con franchezza e verità a chi sta al potere, come ha fatto Gesù».
Il francescano Michele Dunne, direttore esecutivo del Franciscan Action Network, mi ha detto la stessa cosa: «Quello che la vescova Budde ha fatto – chiedere a un leader eletto di essere misericordioso verso le persone che si trovano sotto la sua autorità – è del tutto appropriato per una persona che ha un ruolo di guida religiosa, sia in pubblico che in privato. Molti santi, per esempio Santa Caterina da Siena e San Francesco d’Assisi, hanno affrontato i leader politici su questioni morali».
È giusto che tutto questo avvenga nella settimana in cui onoriamo il Rev. Dr. Martin Luther King Jr., un pastore che è morto per la sua convinzione che una fede cristiana che non si impegna per smantellare le ingiustizie sistematiche della supremazia bianca, dello sfruttamento economico e del militarismo è una fede distorta.
Il vescovo Budde ha corso il rischio di seguire il suo esempio. Spero che i nostri vescovi, il clero e tutti i leader della Chiesa seguano il suo.
*Kathleen Bonnette lavora presso il Center on Faith and Justice della Georgetown University, dove insegna anche teologia.
Testo originario: Bishop Budde showed faithful moral courage. Catholics should follow her lead