Cristo è risorto. E io?
Riflessioni inviateci da Marco
“Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva” (Giovanni 20,11)
Anche io, come Maria, sto vicino a un sepolcro. Ma il mio non è scavato nella roccia. È fatto di silenzi, di parole mai dette, di armadi chiusi a doppia mandata.
È Pasqua di nuovo, e anche quest’anno sono qui: con la veste della festa addosso e la voce trattenuta in gola.
Mi parlano di resurrezione, di massi rotolati via, di luce e di gloria. Ma io mi sento ancora imprigionato. E non è solo questione di fede. È che non so come uscire. Come dire “mamma, papà, universo intero: sono una persona LGBT+, lo sono sempre stata”. E a ogni Pasqua, questa frase, mai pronunciata, pesa come un masso davanti alla mia tomba.
Nelle chiese a Pasqua si moltiplicheranno le omelie, i canti, l’incenso che sale. Ma le parole per me, per noi che viviamo ai margini, sembrano non esserci.
O peggio, arrivano travestite da accoglienza condizionata, da inclusione che non osa davvero pronunciare i nostri nomi. In quelle liturgie ci siamo anche noi, ma come fantasmi. Invisibili, sopportati, mai nominati.
La mia resurrezione non assomiglia a una gloria trionfale. Ma a volte ha la forma di una tavola in più a cui vorrei sedermi senza nascondermi. Altre volte è solo il riuscire a guardarmi allo specchio e dire: “Dio ti ha sempre amato, anche quando pensavi il contrario”.
La teologa Marcella Althaus-Reid scriveva che Dio si rivela nei margini, nei corpi irregolari, nelle storie disordinate (Indecent Theology, 2000). E allora forse il Risorto non è solo nel sepolcro vuoto, ma nei gesti quotidiani che mi fanno respirare più a fondo. In quella voce che, piano piano, sto imparando a non soffocare.
Quando Gesù appare a Maria, lei non lo riconosce subito. Lo scambia per il giardinere. Anche a me succede, perché Dio ha il volto di chi non ti aspetti. Di un’amica che mi ascolta senza giudicare. Di un prete che per una volta smette di pontificare e semplicemente chiede perdono. Di un ragazzo che dice alla sua comunità cristiana: “Sono gay. E Dio mi ama così.”
Non so se infine se la mia chiesa risorgerà. Forse no, o forse lo farà in modi che non riesco ancora a immaginare. Ma io voglio provare a crederci. Voglio continuare a cercare, come Maria nel giardino, anche se il cuore è stanco e ho gli occhi pieni di lacrime.
Perché forse anche per me, anche per noi, arriva quel momento in cui il Risorto ci chiama per nome. E allora ci voltiamo. E finalmente lo riconosciamo.
“Maria!”. Ed ella si voltò, e disse: “Rabbunì!” (Giovanni 20,16)