Perché nelle nostre chiese è importante parlare dell’inclusione delle persone LGBTQ+
Testo pubblicato su The Reformation Project (Stati Uniti) il 1 ottobre 2023. Liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata.
Per decenni, molte chiese hanno promosso i ministeri “ex-gay” (noti anche come terapie di conversione) come se fossero la risposta cristiana più fedele nei confronti delle persone LGBTQ+. Questo approccio si basava sull’idea che, con abbastanza preghiera o impegno, si potesse scegliere di non essere omosessuali. Ma questa convinzione è stata clamorosamente smentita dai fatti.
Nel 2013, Exodus International – la principale organizzazione “ex-gay” al mondo – ha chiuso i battenti dopo che il suo presidente, Alan Chambers, ha ammesso che il 99,9% delle persone che aveva conosciuto non era riuscito a cambiare il proprio orientamento sessuale. Anni dopo, in un’intervista del 2019, è stato ancora più netto: “Nessuno cambia il proprio orientamento; non succede. Nessuna terapia, nessun ministero, nessun incontro di preghiera, niente di niente: non si può cambiare il proprio orientamento sessuale.”
Come lui, anche altri ex leader del movimento “ex-gay”, tra cui Michael Bussee, John Paulk e John Smid, hanno rinnegato quel percorso e oggi sostengono apertamente l’accoglienza delle persone LGBTQ+.
Le terapie di conversione sono dannose
I tentativi di cambiare l’orientamento sessuale, oltre a essere inefficaci, sono profondamente dannosi. L’American Psychiatric Association ha lanciato un forte allarme sui rischi legati a queste pratiche, affermando: “I potenziali rischi della terapia riparativa sono gravi, tra cui depressione, ansia e comportamenti autodistruttivi… Per questo motivo, l’American Psychiatric Association si oppone a qualsiasi trattamento psichiatrico come la terapia riparativa o la terapia di conversione.”
Uno studio del 2018 ha rilevato che gli adolescenti LGBTQ+ i cui genitori cercavano di cambiarli avevano più del doppio delle probabilità di tentare il suicidio rispetto a quelli i cui genitori li accoglievano per quello che erano.
Questo rischio saliva a quasi tre volte quando anche terapisti o leader religiosi si univano a questa pressione. È proprio a causa di questi effetti devastanti che molti ex leader del movimento “ex-gay” non solo hanno rinnegato le proprie convinzioni passate, ma hanno anche chiesto scusa pubblicamente alla comunità LGBTQ+ per il dolore causato.
Dai loro frutti li riconoscerete (Matteo 7,16-20)
Condannare le relazioni tra persone dello stesso sesso o le persone transgender ha conseguenze pesanti e concrete nella vita di tante persone LGBTQ+. Innumerevoli cristiani LGBTQ+ hanno vissuto sulla propria pelle un profondo senso di vergogna, che li ha allontanati da Dio, dalla Chiesa e dalla propria famiglia.
Secondo uno studio del 2009, i figli gay o bisessuali respinti dalla propria famiglia hanno un rischio molto più alto di tentare il suicidio (8,4 volte in più), di soffrire di depressione (5,9 volte in più) e di fare uso di droghe illegali (3,4 volte in più) rispetto a coloro che crescono in un contesto familiare accogliente.
Un altro studio del 2018 ha dimostrato che, mentre la religiosità protegge i giovani eterosessuali dal suicidio, ha l’effetto opposto sui giovani gay, lesbiche o in fase di esplorazione della propria identità, aumentando significativamente il rischio di pensieri e tentativi suicidari.
Anche quando le famiglie cristiane cercano di comunicare il loro dissenso nel modo più affettuoso possibile, le conseguenze possono comunque essere tragiche. È per questo che invitiamo con forza tutti i genitori cristiani a leggere la testimonianza di Linda e Rob Robertson, Just Because He Breathes (“Solo perché respira”), che racconta con profondo dolore gli effetti devastanti che le loro convinzioni, pur animate da amore, hanno avuto sul figlio Ryan.
Testo originale: The Need For Reform