«Sulla sessualità la Chiesa cambi alcune regole morali» Intervista a Giannino Piana

Il teologo Piana: «Sulla sessualità la Chiesa cambi alcune regole morali». «Una visione negativa del sesso mette in moto un meccanismo perverso di colpa. Attraverso le chat online certi preti cercano una dimensione dove poter vivere»
«Purtroppo, credo che quello che viene fuori abbia fondamento e temo anche che si tratti di un comportamento abbastanza diffuso. Non so dal punto di vista statistico quante persone tocchi, ma certamente esiste una percentuale piuttosto estesa di preti che hanno tendenze omosessuali e che, attraverso le chat online, tentano di stabilire rapporti dai risvolti sessuali molto evidenti: vorrebbero vivere, così, una dimensione che reprimono nella vita reale, sintomo, questo, anche di una certa solitudine.
C’è un elemento che emerge con chiarezza: l’esistenza di vite divise tra due mondi che corrono parallelamente…
«Questo doppio volto emerge con chiarezza dal colloquio: si fa continuamente presente e si rivela – nelle sue debolezze, nelle sue pulsioni – solo in contesti lontani dalla vita consacrata. Fa pensare all’esistenza di tutto un mondo sotterraneo che resta tale e che non viene soddisfatto.
Questo perché non è stato neanche opportunamente coltivato attraverso un processo che l’avrebbe condotto, magari, a una sublimazione, ma molto più seria.
L’assenza di questo percorso fa sì che esplodano forme contraddittorie di pulsione che rivelano, tra l’altro, tratti della personalità rimasti alla fase adolescenziale».
È possibile secondo lei convivere per un’intera esistenza con e dentro questa contraddizione?
«È certamente difficile ma è anche possibile, purtroppo. C’è ed è forte la difficoltà oggettiva a comporre i due momenti: quello più autentico – che però esplode in forme abnormi e persino infantili – e per un altro verso, la necessità di rimanere in un contesto che permette di sopravvivere e che offre garanzie, sia dal punto di vista economico sia da quello della sicurezza.
Garanzie anche di tipo psicologico: c’è uno status acquisito, c’è un ruolo che si esercita, c’è un’immagine di sé che, anche se in alcuni contesti, permette di socializzare».
Ma una persona consacrata è in grado di gestire una condizione del genere svolgendo in modo adeguato il proprio ministero?
«Io credo di no: dove non c’è trasparenza, dove non c’è una scelta fatta liberamente – che sia orientata in una direzione o nell’altra – inevitabilmente nell’esercizio del ministero non è garantita quella autenticità necessaria e richiesta, quella trasparenza che deriva dal nocciolo più profondo di una persona.
Ma questo comporta una scelta: quella di stare pubblicamente con un’altra persona, oppure, l’avvio di quel processo di sublimazione, anche della propria solitudine, di cui parlavo prima (e che però richiede una particolare tensione morale e psicologia ma anche una certa maturità).
Ho l’impressione, inoltre, che ci sia spesso, in molti preti, una certa difficoltà di rapportarsi agli altri in modo autentico e che emerge immediatamente e, forse, nasce anche da queste situazioni: con la conseguenza che risultano, alternativamente, quasi ostili ai rapporti, chiusi in se stessi oppure, al contrario, completamente dediti a forme (superficiali) di cameratismo, a rapporti troppo carichi e che rivelano sempre una situazione non chiarita al livello di coscienza personale e coinvolge il modo stesso in cui vivono il loro ministero».
Basterebbe, secondo lei, cambiare le regole? Mi riferisco a quelle che fondano la morale sessuale della Chiesa cattolica.
«Credo che questo cambiamento sarebbe importante e inciderebbe su molte vite: la morale cattolica ha mantenuto, soprattutto a livello normativo, una visione fortemente negativa della sessualità, con la conseguenza di mettere in moto un meccanismo perverso di colpa e di auto-giustificazione.
Certamente, conta anche l’inserimento in un contesto piuttosto che in un altro: anche oggi ci sono seminari più severi e repressivi nei confronti della sessualità (e della donna in particolare) ed altri che puntano, seguendo lo spirito del Concilio Vaticano II, a una maggiore responsabilizzazione del soggetto, a valorizzare la libertà di azione e l’attenzione a scelte diverse.
Questo, com’è naturale, provoca minori sensi di colpa e anche una visione più serena della sessualità e dell’erotismo. Dunque, direi che la revisione delle regole che, di fatto, sono sempre più inascoltate, sia importante e valga per tutti, non solo per chi fa la scelta del sacerdozio.
Ma mentre la gente comune, credente e praticante, ha ormai instaurato un rapporto che definirei ‘selettivo’ con l’istituzione (tiene quel che le serve e sul piano morale prende le distanze), chi compie una scelta di vita consacrata, fa anche percorsi più necessitati e costringenti di quanto lo siano quelli normali.
D’altra parte, c’è anche un aspetto del tutto soggettivo: è chiaro che le persone più fragili sono anche le più esposte ai sensi di colpa, che poi sono sempre il frutto di pressioni esercitate dall’esterno.
Ma anche di modelli ideali eccessivamente staccati dalla realtà. È questa distanza, è l’incapacità di essere fedeli a quel livello di idealità che viene proposto, è il vivere una serie di situazioni che portano lontano da quello che vorresti essere e che non sei, è tutto questo insieme, alla fine, che provoca conseguenze distruttive sulle persone.
* Giannino Piana è docente di Etica cristiana presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Libera Università di Urbino e di Etica ed economia presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino.
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