Come gestire il proprio coming-out in famiglia?
Articolo di Caroline Franc Dessales pubblicato sul sito de L’Express (Francia) il 5 gennaio 2015, liberamente tradotto Monica Sirius
Sebbene l’omosessualità non costituisce più un grande tabù, rispetto a qualche anno fa, rivelarsi come omosessuali ai propri familiari è un passaggio complicato che termina spesso con un certo sollievo.
Charles ha aspettato i 40 anni. Jessica ne ha parlato a 21 anni. Julianne a 23, Stéphane a 24 e Sergei a 17 anni. Per ciascuno di loro, il “coming-out”, o detto in altre parole la rivelazione ai propri cari della loro omosessualità, è stato un momento determinante, vissuto in modo differente, ma che ha portato alla fine una sensazione di sollievo.
Qualunque sia stato il risultato, nonostante a volte vi siano state alcune parole offensive, nessuno di loro si è pentito di avere fatto questo passo. Tutte le loro testimonianze ci ricordano una cosa: sembra più facile dichiararsi gay nel 2015 che venti, trenta o quarant’anni fa. Ma ancora non è una cosa normale. Il segnale che colpisce è che la maggior parte delle persone intervistate, per questo articolo, ha deciso di rimanere anonima. Non perchè rifiuta di accettarsi, ma per il timore di urtare la propria famiglia. Ma esiste una maniera giusta di parlare ai propri genitori, amici, fratelli e sorelle del proprio orientamento sessuale? Come capire le reazioni, qualche volta impulsive, dei propri cari, come tenergli testa? Ma poi è obbligatorio realizzare il proprio coming-out?
“Esporsi, significa fare una scommessa: quella di essere accettati o rifiutati”
“Certo che no, nessuno è obbligato“, risponde immediatamente Paul Parant, caporedattore della rivista Têtu e autore di “Osez faire voterà coming-out” (Osa fare il tuo coming-out) edizioni La Mutandine. Ma, continua, “pongo la domanda al contrario: perché non farlo? Molto spesso, per facilità forse, ci si dice che sarebbe più comodo non dire nulla. È vero che ciò equivale a esporsi, a rivelarsi (e particolarmente a esporsi all’ostilità degli altri). È come fare una scommessa. Quella di essere accettati o rifiutati. Ma è importante rendersi conto che anche mentire ha un prezzo, quello di compartimentare la propria vita, di vivere nella menzogna e di non essere autentici con gli altri.”
Ricorda Paul Parant, “il benessere, tutti gli psicologi lo dicono, è avere la sensazione di essere se stessi.Numerosi omosessuali “nell’armadio” conoscono la depressione, e dare la propria verità è il ‘punto di partenza’ per una ripresa di controllo sul proprio destino. La vita è troppo corta per viverla nella penombra!”.
“Insistere sul fatto che si è felici” più che sull’orientamento sessuale
Se le buoni ragioni per parlare sono dunque numerose, il passare all’azione resta spesso difficile, non esiste in realtà un manuale. “Vi sono numerosi metodi, ad ognuno ha il suo“, afferma Paul Parant. “Nel mio libro, insisto sul fatto che se si scelgono dei modi poco diretti – per lettera, per sottintesi, lasciando in giro degli opuscoli, attraverso una terza persona – ciò non deve sostituire una buona discussione.”
Il peggio sarebbe in effetti, spiega l’autore, di “far sapere di essere omosessuale, ma rifiutarne di parlarne in seguito“. La persona alla quale ci si è rivelati potrebbe credere – ha torto nella maggior parte dei casi – che si vive male l’omosessualità, che vi è un disagio, un tabù. “È il silenzio a creare il malessere, non il dialogo”.
Stéphane, giovane sposo gay di 40 anni, ricorda ancora perfettamente il giorno in cui si confidò ai suoi genitori, a 24 anni. “Era il 24 dicembre. Senza volerlo veramente, scelsi un momento ufficiale, una riunione familiare. Non ero tanto preoccupato, i miei genitori sono sempre stati molto aperti, progressisti e comprensivi. In quel momento era per me una necessità, perché avevo trovato un ragazzo che amavo, non volevo tenerlo per me. Ho annunciato questo amore invece di dire “sono gay”. Credo che insistere sul fatto che si è felici renda le cose più facili“.
Non si va allora nel registro del dramma, della rivelazione di un segreto vergognoso o doloroso ma semplicemente si fa comprendere “di voler vivere la propria felicità alla luce del sole“.
Infatti, il coming-out di Stéphane si è svolto bene, a dispetto della loro apertura mentale, i suoi genitori “hanno dovuto rinunciare ai nipoti, che avevano senza dubbio progettato per me“.
“Hanno anche avuto paura che potessi essere vittima della discriminazione, che la mia vita fosse più complicata di quella di un eterosessuale. Credo che il modo di accogliere questa novità non sarà mai completamente facile.”
Rivelarlo prima ad una persona che sa ascoltare
Il coming-out di Sergei costituisce l’illustrazione di questa complessità. “Mio padre ha reagito relativamente bene, specialmente dopo che avevo saputo che anche lui aveva un’attrazione per gli uomini. In un certo modo, si è trattato di un doppio coming-out. Mia madre, forse a causa di questo, l’ha vissuto peggio. Mi ha vietato di parlarne con i miei fratelli e le mie sorelle, anche se ho finito per farlo lo stesso. Allora è scoppiata. Sono state pronunciate delle parole, di quelle che feriscono per molto tempo. La mia reazione è stata senza appello, non l’ho più vista per un anno.” Poi, poco a poco, “il legame si è rinsaldato“, racconta Sergei, “al punto che oggi mia madre combatte per i diritti dei gay e per il matrimonio gay”.
In generale, è meglio, quando si vuol vedere la reazione dei propri familiari, “cominciare con una persona che sa ascoltare”, consiglia Julianne, lei stessa ha preferito parlarne prima con suo padre, con il quale “la comunicazione allora era migliore“. Un altro consiglio di Julianne è di “dirlo a ciascuno sempre in maniera individuale, per evitare che la reazione dell’altro si nasconda, dietro le parole degli altri.”
“L’incontro con l’altro ha facilitato la comprensione”
È quello che Charles ha scelto di fare. Racconta, “ho vissuto nella clandestinità del mio orientamento sessuale per 40 anni. Perché tra i contadini cattolici, negli anni 1990, l’omosessualità era un tabù. Perché durante gli anni 2000, volevo credere di poter essere diverso. Ma ognuno ha il diritto di fare il suo coming-out nel momento in cui lo desidera.”
È solo dopo essersi stabilito a migliaia di chilometri da casa ed aver incontrato l’anima gemella che si è aperto con la sua famiglia. “Questo è accaduto con il mio fratello più giovane, è stato il primo a saperlo e a conoscere la persona con cui condivido la mia vita. Molti lottano per far uscire le parole giuste dalla bocca, piangono per la felicità e hanno un sentimento d’immensa liberazione di fronte l’accoglienza degli altri. Mia sorella più piccola l’ha saputo in seguito, quando venne a visitarmi a casa. L’incontro con lei l’ha aiutata a capire.”
Charles scelse infine di parlarne al telefono con i suoi genitori. “Qui, lo shock fu totale. Per mia madre è stato come cadere in un precipizio, mio padre si è rifiutato di parlarmi. Quando li ho rivisti, mi hanno parlato del mio ‘problema’ e mi hanno spiegato che avrebbero preferito saperlo prima per tentare di fare qualcosa, che pregavano perché io potessi tornare normale. Non mi pento di avere aspettato tutto questo tempo: capisco che di fronte alla violenza verbale, i giovani adulti siano disperati”.
Lasciare agli altri il tempo di accettare la novità
“I rifiuti esistono, ma nella maggior parte dei casi sono prevedibili“, afferma Paul Parant. In questo caso, suggerisce, bisogna evitare di fare il proprio coming out troppo presto, quando non si è sicuri di se stessi, quando ci si trova in situazione di dipendenza o se si è trascurati dai propri genitori, meglio prevedere una soluzione di ripiego nel caso in cui le cose si mettano male.
“A volte“, osserva ancora Paul Parant, “i genitori possono arrivare a rifiutare il proprio figlio, nel tentativo disperato di ‘metterlo alla prova’, di fargli cambiare idea“.
“Una reazione triste, evidentemente, e condannabile nel caso in cui il giovane fosse minore. Ma non bisogna entrare in questo gioco. La cosa migliore è andare avanti con la propria vita con passo sicuro ed avere pazienza.”
“Mia madre“, racconta da parte sua Jessica, “era stata preparata da mio fratello, anche lui gay. Ha accettato piuttosto bene le cose, ma in cambio ci ha messo molto tempo per accettare che il resto della famiglia fosse messo al corrente. Venivo pregata di non avere contatti fisici in pubblico, per non dire dei baci. Comunque qualsiasi cosa succeda, anche quando le cose vanno bene, essere accettata dai propri genitori prende tempo.”
“Bisogna guardare le cose in prospettiva“, concorda Paul Parant, “Se abbiamo impiegato del tempo per accettare di essere omosessuali, è giusto comprendere che anche i nostri cari abbaio bisogno di tempo per accettarlo.” E conclude citando René Char: “Imponi la tua fortuna, stringi la tua felicità e vai verso i tuoi rischi. A vederti, si abitueranno.”
Il coming-out di una figlia raccontato da Martina, la madre
“Ho sempre cresciuto i miei figli nel rispetto dell’altro, ho difeso il matrimonio per le persone omosessuali e sostenuto il rispetto per le differenze. Ma quando mia figlia mi ha annunciato la sua omosessualità, nonostante tutti i miei discorsi, sono crollata.
È molto più facile essere tolleranti quando si tratta dei figli degli altri. Ho pianto una settimana. Oggi mi rimprovero di aver reagito in quel modo, eppure ero convinta di essere capace di accettarlo. Non me la sono presa con lei, perché so che non si tratta di una scelta, che è meglio che lei lo viva, invece di essere infelice con un uomo durante tutta la sua vita. Avrei voluto capire e sapere perché è accaduto. Ma non ho trovato una risposta, ne lei me ne ha saputo dare. Mi sarebbe piaciuto che avessero detto che “è una cosa genetica”, ma purtroppo non c’è nessuna prova. É così, non vi è altra decisione che accettare la cosa, come aveva già fatto lei. Mi rimprovero soprattutto di non aver parlato con lei prima, quando avevo cominciato ad avere dei dubbi. Lei se l’è dovuta vedere da sola con la sua ricerca d’identità. È stato difficile per lei, il mio ruolo di madre era di aiutarla ma non ho voluto vedere nulla, non ero presente e oggi questo costituisce il mio più grande rimorso”.
Testo originale: Comment gore son coming-out?