Eminenza, sono una madre con un figlio gay. Ascolti la mia storia

Eminenza sono una laureata dell’Università Marquette1, di famiglia Cattolica, moglie e madre 71enne di un figlio gay. La ragione per cui ho partecipato al recente Simposio di New Ways Ministry2 su “Gay e Lesbiche cattoliche in una Chiesa Sacramentale”, tenutosi a Minneapolis, era quella di dialogare con i vescovi che vi avrebbero presenziato. Dal momento che Lei ha deciso di non parteciparvi, vorrei che ascoltasse la storia di mio figlio.
Di solito, un figlio o una figlia gay esce allo scoperto con i propri genitori quando termina la scuola ed entra stabilmente nel mondo del lavoro, poiché rischia di esser tagliato fuori dalla famiglia.
Mio figlio uscì allo scoperto in seguito ad una domanda quando era studente dell’ultimo anno di scuola secondaria: disse che usciva per due chiacchiere e rimaneva fuori tutta la notte. Quando tornò a casa da scuola il giorno dopo, ebbi modo di parlargli.
“Figliolo, non puoi star fuori tutta la notte e non dirci nulla. Tuo padre ed io eravamo preoccupati da morire”. La sua risposta fu: “Mamma, dovevo solo vedere degli amici”. Scoprii che questi amici erano gay e che lui doveva vederli perché faceva fatica a capire il suo orientamento sessuale.
Non ho mai pensato di non accettarlo nonostante ciò che accadde durante il 2° anno di scuola. Al 6° anno mi aveva detto che non sarebbe stato cresimato nella Chiesa Cattolica: non ne condivideva i fondamenti. Iniziò a cercare una Chiesa: per un anno fece parte di un gruppo di giovani della Chiesa Battista; poi, ne trovò un’altra alla quale si unì durante il 2° anno di scuola.
Notai che il suo comportamento iniziava a cambiare, sceglieva vestiti che non avrebbe mai indossato, si sbarazzava di nastri musicali e poster e cantavi salmi nella sua stanza per ore e ore. Mio marito ed io scoprimmo che questa chiesa era una setta e lo tirammo fuori.
Dopo aver saputo che era gay, sentii di avere ancora un figlio e non il clone senza cervello di qualcuno: non avrei mai potuto rinnegarlo o abbandonarlo. In seguito alla sua confessione, parlammo molto. Gli dissi che non avrei rivelato la cosa a suo padre, lo avrebbe fatto lui stesso al momento opportuno.
Durante queste conversazioni, mi rese partecipe della sua felicità perché lo avevamo tirato fuori da quella setta. Gli chiesi il motivo: rispose che ciò che gli chiedevano di fare gli dava enormi preoccupazioni. “Perché non te ne sei andato?”, gli domandai. “Perché sapevo che la setta era molto tradizionalista ed io volevo strappare via da me l’omosessualità”, fu ciò che rispose. Provai dolore fisico per quanto aveva sofferto.
Durante l’ultimo anno di scuola ebbe ulteriori sofferenze. Sopportò diversi mesi di insulti nella classe di matematica e in cortile. Notai che stava diventando sempre più depresso e gli facevo domande al riguardo. Allora, mi mise a conoscenza delle molestie sessuali. Contattammo l’ufficio amministrativo distrettuale della scuola e ci fu detto che esisteva una linea di tolleranza zero per le molestie sessuali.
Mio figlio informò il preside del problema. La questione fu risolta, ma, poi, gli altri studenti lo evitarono come un emarginato. Poche settimane dopo, uscì con la macchina per andare a scuola e trovò dei rifiuti scaricati sul tettuccio dell’auto. Sotto le spazzole era stato infilato un biglietto con su scritto: “sei sporco come questa immondizia”.
Per tutto questo tempo non mi sentii mai tranquilla e pensai di rivolgermi alla chiesa per un sostegno. Da quello che sapevo su come la chiesa considera l’omosessualità, pensavo di essere biasimata o che mi avrebbero fatto sentire in colpa per avere un figlio gay. Allora, mi rivolsi agli amici.
Mio figlio non informò suo padre finché non arrivò al primo anno di università, quando tornò a casa per le vacanze del Ringraziamento. Si sentì fisicamente male a causa dello stress emotivo che seguì la rivelazione. Il venerdì sera di quella settimana ci riunì nel soggiorno. Sua sorella maggiore era già al corrente, come me. Mio marito ed io eravamo seduti in una parte della stanza, lui e sua sorella erano nell’altra.
Mio figlio si lasciò sfuggire soltanto: “Papà, ho una cosa da dirti”. Mio marito chiese: “Cosa?” E lui: “Sono gay”. E il padre: “Lo so”. Rimasi sorpresa: mio marito sospettava che nostro figlio fosse gay!
Mia figlia disse: “Papà, sembri tranquillo. C’è qualcosa che ti infastidisce al riguardo?” Replicò: “Mio nipote è morto di AIDS, non voglio che ti accada la stessa cosa”. A questo punto, ciò che non eravamo riusciti a dire apertamente venne fuori e la nostra situazione familiare migliorò notevolmente.
Mio figlio si laureò, lavorò per società che avevano incarichi di difesa e scoprì che non era questa la vita lavorativa che desiderava. Ora, ha completato i corsi universitari di scienze per fare domanda alla scuola di medicina, ha superato il test MCAT3 per la scuola di medicina, ha fatto colloqui con sei scuole ed è in attesa che una gli invii una lettera di ammissione. Mio figlio è impegnato a dare il suo contributo in modo maturo e generoso ad alcuni dei sofferenti presenti nel mondo.
Gesù ha detto: “Dai loro frutti, li riconoscerete”. Spero che i maggiori esponenti e i membri della chiesa smettano di giudicare gli altri e cerchino il bene con cui la comunità gay dà il suo contributo nella chiesa e nell’intera società. A questo punto, non credo che mio figlio ritornerà più nella chiesa.
Dopo aver appreso dell’orientamento sessuale di mio figlio, mi sono proposta di incontrare e imparare di più su gay, lesbiche, bisessuali e transessuali. Molte persone da me incontrate erano cresciute nella religione cattolica e avevano ricevuto il messaggio che non c’era posto per loro nella chiesa.
Nonostante ciò, alcuni vi erano rimasti. Il motivo per cui non possono lasciare la chiesa è l’Eucarestia. Negare l’Eucarestia ai Cattolici battezzati perché qualcuno li ha giudicati, è anti-cristiano.
Quelle che seguono sono le mie osservazioni riguardo l’atteggiamento della chiesa nell’insegnamento della moralità associata alla sessualità:
– in questa area della chiesa tra alcuni membri ed esponenti sembra esserci una mentalità di “assoluta rettitudine”. Ciò che intendo dire è che questi individui sanno di possedere la verità assoluta, hanno menti chiuse e non vogliono ascoltare perché sanno di essere nel giusto. Per me questo è fanatismo, dal momento che siamo tutti esseri umani limitati ed insieme dovremmo cercare la verità e lasciare spazio allo Spirito Santo perché ci illumini e ci ispiri. A volte lo Spirito Santo consiglia attraverso l’ascolto gli uni degli altri e attraverso il laicato.
– Come può il Consiglio dei Vescovi formulare un insegnamento pastorale quando ha fallito nel consultare il gruppo di persone che li può informare della propria esperienza? I GENITORI SONO I PRIMI SACERDOTI PER I LORO FIGLI GAY. NON SONO STATI AFFATTO CONSULTATI.
– La Pastorale ha cambiato le parole descrivendo quello dell’individuo gay non più come un orientamento sessuale, ma come un’inclinazione sessuale. Un’ inclinazione è qualcosa alla quale si può decidere di andare contro.
Un orientamento è una parte radicata del carattere di una persona. Un altro aspetto di “inclinazione” è che essa dà una falsa speranza ai genitori, i quali, sapendo dell’omosessualità dei figli, credono che ci sia la possibilità che il loro orientamento sessuale possa cambiare.
Ogni gay e ogni lesbica che ho incontrato sanno che il proprio orientamento sessuale è parte del carattere ed essi non possono più cambiarlo, così come un eterosessuale non può diventare gay.
– Come genitore di un figlio gay, mi sembra che molti dei falsi miti riguardanti l’omosessualità esistenti nell’intera società, siano presenti anche tra i vescovi che hanno formulato la pastorale sul sacerdozio per i gay.
Alcuni di questi miti sono:
• i gay sono più promiscui degli eterosessuali;
• i gay non dovrebbero parlare del proprio orientamento, in quanto potrebbero convertire o insegnare l’omosessualità ad altri;
• i gay potrebbero fare vittime tra i giovani o essere pedofili.
In qualità di vescovo a riposo, Lei ha un ruolo unico. Nessuno le può portare via la diocesi. Lei è come il saggio ed esperto nonno o nonna di famiglia a cui offrire il proprio buonsenso. In merito al suo profondo interesse per le questioni di giustizia sociale, le chiedo con insistenza di considerare i diritti dei cattolici gay come una questione di giustizia sociale.
Hanno il diritto di essere liberi di capire chi sono, di essere assistiti dalla Chiesa in quanto Cattolici battezzati e di essere essi stessi servitori nella Chiesa. Spero che Lei abbia il coraggio di essere una profetica voce di giustizia per la nostra comunità e verso i suoi fratelli vescovi. Grazie per aver letto questo lettera.
Sinceramente, Doris M. Hand (Fullerton, California, Usa)
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1. Università privata cattolica di Milwaukee, in Wisconsin, è uno dei più grandi atenei gesuiti negli USA.
2. Organizzazione statunitense, fondata nel 1977, che ha lo scopo di far accettare tutti gli omosessuali cattolici dalla Chiesa.
3. MCAT= Medical College Admission Test (test d’ingresso).
Testo originale: Dear Bishop