Veni creator. Quando lo Spirito si fa canto e profezia
Riflessioni di Fabio Trimigno della Rete ZACCHEO, cristiani queer di Puglia
VENI, CREATOR SPIRITUS. Il canto del Veni creator (IX secolo), è risuonato per secoli nella liturgia di Pentecoste e nelle assemblee cristiane come una prolungata invocazione allo Spirito. Ricco di immagini suggestive, intriso di forza poetica e missione profetica, il Veni creator risulta essere ancor oggi un grandioso affresco sulla terza persona della Santissima Trinità: lo Spirito, dal femminile Ruha in ebraico, è passato al neutro Pneuma in greco, per poi finire al maschile Spiritus in latino.
Ma come è arrivata la nostra comunità cristiana a mascolinizzare persino la persona dello Spirito Santo, oltre ad immaginarsi per secoli un Dio tutto al maschile? Come possiamo dire che Dio è solo padre?
Non è forse che un uomo di Nazareth lo chiamava Padre perché era l’unico modo per identificare, nella società giudaica a cui apparteneva, l’apice e il punto più in alto della struttura famigliare, ovvero colui che aveva potere di vita e di morte sui componenti della famiglia?
Non era forse Papa Giovanni Paolo I che, nei brevi giorni del suo pontificato, dettò scandalo affermando con coraggio e sguardo profetico che Dio era anche Madre?
Se calcolassimo una percentuale di genere all’interno del mistero trinitario scorgeremmo senza ombra di dubbio che il 66,66…% è di genere indefinibile, e che solo il 33,33…% (dal racconto evangelico della circoncisione) è sicuramente di genere maschile, Gesù di Nazareth appunto.
Nella Trinità due persone su tre sono queer (termine ombrello utilizzato dalla comunità lgbt+ per indicare coloro che non vogliono avere un’etichetta, contrariamente a quello che siamo soliti pensare): “queer”, da un inglese arcaico significa “eccentrico, insolito”; nella lingua tedesca significa “di traverso”, “diagonalmente”.
Queer, storto, non dritto, non normale, fuori dalla norma, insolito, non classificabile, non etichettabile…
Pertanto potremmo considerare la Trinità come l’unica e vera espressione d’amore dal tratto queer, una relazione non classificabile, non etichettabile, una relazione tra tre persone (Padre, Figlio e Spirito Santo) che resta un mistero, proprio come quando non riusciamo a dire cosa sentiamo nello stomaco quando ci innamoriamo.
Dio non è mai solitudine, ma comunione di tre presenze: Lui, la radicale unità, convive con una diversità personale. Questa è la peculiarità della fede cristiana: relazione d’amore.
La Santissima Trinità, pertanto, resta un mistero. Un mistero d’amore.
VENI, CREATRIX MUSICA
Un mistero è anche il fenomeno deleterio in campo musicale che da decenni ormai assistiamo nelle nostre parrocchie: gli ultimi tre pontificati hanno permesso che un certo modo di fare musica entrasse nella Liturgia per la paura di non aver più un séguito.
Perché ci preoccupiamo di riempire di voci isteriche e musicisti performanti le celebrazioni invece di sforzarci a colmare il cuore dei fedeli con la Parola di Dio?
Perché preferiamo melodie sdolcinate che, aldilà del valore artistico musicale, non sono in grado minimamente di orientare i cuori a Dio?
Esiste ancora una musica che elevi lo Spirito perché ispirata dallo stesso Spirito nel momento della sua composizione?
Oppure è rimasta solo musica che svilisce l’anima e sfianca il fegato come un canto di RnS sulle successioni armoniche di Zombie dei Cramberries o del Padre Nostro sulla melodia di The Sound of Silence di Paul Simon (nulla togliendo ai Cramberries e a Paul Simon)?
Dove finisce lo Spirito creatore? E quando ha inizio una creazione musicale spirituale?
Benedetto XVI scriveva “la musica ha il potere di aprire le menti e i cuori alla dimensione dello spirito e condurre le persone ad alzare lo sguardo verso l’Alto, ad aprirsi al Bene e al Bello assoluti, che hanno la sorgente ultima in Dio” (Discorso “Sulla Musica” 29.4.10)
Oggi, più che mai, la nostra comunità ha bisogno di essere il soggetto della liturgia, ha bisogno di sentirsi con-celebrante al sacerdote, e non un’assemblea passiva, in attesa di ascoltare la prossima lettura o il prossimo canto, pagina 3, numero 2, intonato alla meno peggio da cori inutilmente affollati.
E coloro che invece sono chiamati ad animare la liturgia con il dono del canto e della musica non dovranno in alcun modo essere la forza centrifuga della liturgia, ma al contrario dovranno umilmente rendere il loro servizio per condurre i propri fratelli e le proprie sorelle al mistero pasquale: chi anima non è il coro, non è l’organista o il chitarrista, non è il suonatore di cembalo e bonghetti né tanto meno il prete; chi anima è Gesù, vivo e presente nell’Eucarestia.
Il canto e la musica restano e resteranno sempre strumento preziosissimo di lode e forza creatrice di comunione per Cristo, con Cristo e in Cristo.
Perciò la musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica e al mistero della Trinità che per opera dello Spirito ci rende profeti.
VENI, CREATOR PROPHETA
Il musicista o il corista, durante una celebrazione eucaristica, non deve dimenticare che in quel momento il suolo ruolo di profeta è importante, ancor più di quanto lo possano sentire gli altri battezzati che sono anche essi re-sacerdoti-profeti.
Nel salmo1 leggiamo: “Giungerai a Gàbaa di Dio, dove c’è una guarnigione di Filistei, ed entrando in città incontrerai un gruppo di profeti che scenderanno dall’altura preceduti da arpe, tamburelli, flauti e cetre, che agiranno da profeti”
Il canto, la musica, gli strumenti musicali restano sempre un benedetto mezzo per venire a conoscenza di qualcosa, amara o felice che sia, o le due cose insieme.
In Esodo (15,19-21) leggiamo. “Quando i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri furono entrati nel mare, il Signore fece tornare sopra di essi le acque del mare, mentre gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare. Allora Miriam, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un tamburello; dietro a lei uscirono le donne con tamburelli e con danze. Miriam intonò per loro il ritornello: Cantate al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare!”
Quando si esaurisce la profezia, allora rimane il canto, rimane la musica, invisibile voce.
La missione di un coro e dei musicisti chiamati all’animazione liturgica è una missione profetica: essere presente preghiera e invisibile voce.