Le strade per un rinnovamento delle Chiese
Articolo di Bernard Ginisty pubblicato su garriguesetsentiers.org il 15 Novembre 2018, libera traduzione di finesettimana.org.
Nella crisi profonda che sta attraversando la Chiesa cattolica, i responsabili religiosi invitano a tornare alle fonti del Vangelo. Da venti secoli, il messaggio di Cristo si chiama Vangelo, cioè “buona notizia”. Le istituzioni ecclesiastiche che hanno assicurato la trasmissione troppo spesso hanno trasformato quella che era una “buona notizia” in una “buona risposta” a dei catechismi e un buon adattamento a delle organizzazioni. Dove sta la differenza tra queste due espressioni? La buona risposta è il riflesso di una domanda. Acquisisce senso solo in rapporto ai presupposti culturali ed istituzionali alla base della domanda. Una “buona notizia” ci apre un ambito totalmente diverso. Per definizione è inattesa, destabilizzante, forse perfino scandalosa. Così, l’apostolo Paolo definisce la vita e la morte di Gesù “uno scandalo” per la legge ebraica e una “follia” per la sapienza greca.
Gesù ci chiede di restare sentinelle dell’inatteso, di non rinchiudere mai né se stessi né altri in un giudizio definitivo. In qualsiasi momento, la nostra “coscienza tranquilla” e il nostro senso di colpa possono essere messi sottosopra dall’accoglienza di una “buona notizia”. Questa grazia ci evita di passare la nostra vita a girare a vuoto nello spazio stretto delle nostre teorie, delle nostre morali, dei nostri sistemi di sicurezza. Cristo non è affatto il teorico di un metodo spirituale o l’organizzatore di una struttura religiosa. La sua traiettoria manda all’aria tutti gli stati di vita e li relativizza in nome della consapevolezza della sua filiazione. Muore giovane, la sua vita pubblica non va oltre tre anni. Si definisce “Pasqua”, “passaggio” (ndr.: con un gioco di parole, che vale soprattutto in francese: “passage”, “pas sage”: non saggio). Durante la sua vita, i suoi discepoli non hanno capito granché, tanto erano immersi nell’attesa di un messia politico-religioso. “È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore” (Gv 16,7). Ben lungi dal favorire l’attrazione per il Maestro, Cristo lega la venuta dello Spirito nell’uomo alla propria scomparsa. Invece di guardare verso il cielo, come i discepoli il giorno dell’Ascensione, l’uomo è rinviato ai suoi fratelli (Atti 1,11).
Da quel momento, l’amore che agisce diventa la nuova frontiera. Il tranquillo possesso della legge da parte dei chierici e dell’interiorità da parte dei saggi va in frantumi. L’uomo è ormai messo di fronte agli eccessi della grazia e del rifiuto. Tutti i poteri tenteranno di colmare disperatamente questa breccia. Il vangelo di Giovanni testimonia queste scissioni permanenti provocate dalle parole di Gesù e la corsa-inseguimento dei sacerdoti e dei capi per arrestarlo. E quando alla fine lo hanno preso, condannato, inchiodato, sepolto, il “passaggio” di Pasqua nasce nella coscienza dei discepoli e si diffonde in una Pentecoste di dimensioni mondiali. Questo strappo finale dal Dio delle religioni e delle nazioni si compie nell’abbandono fiducioso al Padre, fonte di ogni nascita e di ogni rinascita. Il Vangelo ci dice: Dio è un bambino in una mangiatoia, Dio è presente nel pane condiviso, Dio abita il più umile degli uomini. Questo ci dice fino a che punto Dio, attraverso Cristo, si sveste degli orpelli di potenza e di gloria. Per quale aberrazione tanti dei suoi discepoli si sono rivestiti di potere, di dogmi, di moralismo, di ricchezze, di maschilismo?
In questo momento in cui numerosi scandali macchiano la Chiesa cattolica, è più che mai necessario ascoltare in tutta la sua novità la Buona Notizia di Gesù Cristo. Essa invita ciascuno a vivere di nuovi “passaggi”, che saranno rinascite per se stessi e per le Chiese. È ciò che suggerisce la sociologa della religioni, Danièle Hervieu-Léger: “Il sistema clericale, a cui si imputano ormai le gravissime derive che esplodono oggi, non è riformabile. È questo stesso sistema che bisogna smantellare se si vuole inventare, se possibile, un’altra maniera di fare Chiesa. Quest’ultima non può più separare la ridefinizione radicale del sacerdozio come servizio della comunità e il riconoscimento pieno dell’uguaglianza delle donne in tutte le dimensioni, comprese quelle sacramentali, della vita della Chiesa” (intervista a Danièle Hervieu-Léger a cura di Olivier Pascal Moussellard).