Sono gay e chiedo uguali diritti. Quando il coraggio vince sulla paura
Articolo/Intervista di Marco Tosarello* pubblicato sul sito della rivista Pride il 14 dicembre 2016
“Sono il tuo capotreno. Sono gay e chiedo uguali diritti”: la sua battaglia a favore dei lavoratori Lgbti è ancora oggi un esempio da seguire”. Due anni fa Marco Crudo, capotreno di professione, sulla sua pagina Facebook iniziò una campagna di sensibilizzazione contro le discriminazioni da orientamento sessuale a favore dei lavoratori Lgbti: “Sono Marco, sono il tuo capotreno, sono gay e chiedo uguali diritti”.
La pagina Facebook di #ugualidiritti stava raccogliendo foto di lavoratori che si prestavano a partecipare a questa campagna per i diritti civili: la foto di Marco stava facendo letteralmente il giro dei social e del web. Ma in questi due anni esatti è accaduto di tutto: mentre Marco cominciava a ricevere l’appoggio, la stima e il sostegno di molte persone al di fuori delle sue conoscenze, sul lavoro iniziò invece un terribile clima fatto di messaggi e mail anonime, sfottò di ogni genere, voci di corridoio e perfino offensive scritte contro di lui sui muri dei bagni riservati al personale. Ma le ostilità nei suoi confronti non lo hanno certo fatto desistere nel continuare questa lotta contro discriminazioni, omofobia e pregiudizi, perché la sua idea di libertà lo aveva sempre aiutato a superare ogni avversità. Dopo due anni dall’inizio di quella lodevole iniziativa, abbiamo fatto con lui delle attente riflessioni.
Perché hai deciso di metterci la faccia in questa campagna?
Perché credo sia un dovere non scritto di tutte le persone Lgbtqi che si sentono risolte e serene del loro orientamento sessuale o identità di genere mettersi in prima fila nella lotta, in modo da farsi carico anche di quelle persone che invece, per mille motivi, stanno facendo più fatica a vivere con serenità. Lo si deve fare per dare speranza e coraggio a chi si sente solo, incompreso, distante da sé stesso, non amato, non voluto. La nostra visibilità è la loro. In questi giorni compirò 34 anni e posso serenamente affermare di avere affrontato tutto il percorso che c’era da fare di scoperta, accettazione e condivisione del mio orientamento sessuale. Adesso essere gay è semplicemente una delle caratteristiche della mia persona. Se mi sento discriminato per la mia natura, non esito un secondo a metterci la faccia. Io sono questo, prendere o lasciare. Non dico sia semplice da mettere in pratica come atteggiamento in tutte le situazioni della vita ed in tutti i contesti socio-culturali di questo strano paese che è il nostro, però è nella mia natura espormi e dire il più possibile la verità. Nelle bugie non riesco proprio a starci.
Due anni fa pensavi con questa battaglia di raggiungere ben altri obiettivi?
Due anni fa scoprii con piacere l’iniziativa della pagina Facebook “#UgualiDiritti”, il cui intento era quello di far passare il concetto per il quale essere una persona Lgbtqi non significasse avere tre teste o andare in giro a distruggere le famiglie cosiddette tradizionali. Eravamo il tuo medico, la tua farmacista, il tuo insegnante, il tuo portinaio, la tua postina e il tuo capotreno e in quanto lavoratori adempienti ai doveri fiscali che giustamente il Paese richiede, avremmo dovuto avere diritti uguali a chiunque altro. Una campagna alla quale partecipai senza pensarci due volte. Devo sinceramente ammettere che mai avrei pensato che quell’autoscatto, due anni fa forse non era ancora un selfie, potesse portarmi tutto il mare di situazioni piacevoli e meno piacevoli che invece mi sono trovato ad affrontare.
Cosa ti ha deluso maggiormente?
Rispetto alle conseguenze negative che ha avuto l’esposizione mediatica, dovuta a quello scatto, non posso che dire di essermi sentito di sicuro affranto. Avvertire per mesi sfottò e commenti sgradevoli sul mio conto da parte dei colleghi di lavoro, ricevere mail anonime e addirittura infime scritte sui muri dei bagni del personale è stato abbastanza complesso da mandar giù. La mia azienda, una volta a conoscenza di tutto, si mostrò comprensiva e fece imbiancare i muri. Io però non ero deluso della reazione dei colleghi, forse me la aspettavo anche, perché conoscevo perfettamente il mio ambiente di lavoro, con tutte le sue forti componenti maschiliste e da caserma. La cosa che mi fece più rabbia e che a ripensarci a distanza di tempo ancora mi irrita era l’impunità. L’autore della scritta non sarebbe mai stato scoperto ed io non avrei mai potuto dirgli chiaro e tondo, guardandolo negli occhi, quanta pena provassi per lui e per la sua vita, quanto fossi profondamente dispiaciuto per i suoi figli, nel caso ne avesse avuti, e quanto quel gesto fosse stato indegno. Con la scritta sul muro “Crudo hai sbagliato cesso”, costui si era dichiarato nel giusto, retto e superiore e aveva deliberatamente deciso di togliere dignità a me, che invece per lui ero quello sbagliato, deviato, inferiore e quindi indegno di utilizzare nella sua stessa latrina. Questo facevano i nazisti, e questo ha fatto quel mentecatto.
Con l’approvazione in Parlamento della Legge Cirinnà sembrava che il cammino per il riconoscimento dei diritti fosse in discesa, invece gli ostacoli sembrano davvero ancora tanti
Ho seguito l’iter parlamentare dell’approvazione della Legge Cirinnà con estenuante attenzione. Sono stato felice, arrabbiato, impaziente, scocciato, deluso, soddisfatto e amareggiato in base agli eventi, come credo molte e molti di noi. Sono sceso in piazza della Scala a Milano per le cento piazze di “Tempo Scaduto” e con I Sentinelli, insieme a diecimila persone, in piazza Duomo il giorno prima dello stralcio della Stepchild Adoption, sono stato il 5 Marzo a Roma con le Famiglie Arcobaleno. Credo che un primo importante passo sia stato fatto, anche se già vecchio in partenza. Credo fosse necessario avere una legge subito e ne abbiamo avuto prova con le centinaia di storie che abbiamo letto in questi mesi di coppie che, dopo decenni di attesa, hanno potuto finalmente coronare un sogno. Resto però convinto che questa sia una legge monca, frutto di compromessi che l’hanno deturpata e imbruttita. Resto convinto che sia stato vergognoso, e la responsabilità credo si possa spalmare in tutte le aree politiche del parlamento, tagliare fuori chi di protezione e sostegno ha davvero più bisogno: i bambini. Per questo il giorno del passaggio delle unioni civili dichiarai pubblicamente la mia soddisfazione con una sarcastica parodia, ma annunciai anche che, a meno che non fosse stato strettamente necessario, avrei scelto di non usufruire di questa legge, finché davvero non fosse stata raggiunta la piena uguaglianza con il matrimonio egualitario. Una mia scelta personale che non toglie nulla al massimo rispetto e alla massima comprensione che nutro nei confronti di chi invece la sta giustamente usando e che continua a commuovermi ogni giorno con storie d’amore davvero meravigliose.
Quale proposta ti sentiresti di fare alle associazioni e ai politici per la comunità Lgbti?
Il mondo delle associazioni l’ho frequentato abbastanza. Di sicuro fanno tantissimo per la comunità, per l’aggregazione, per la prevenzione e per la divulgazione ed io sono quello che sono oggi anche grazie alla mia esperienza come volontario per il Telefono Amico Gay del CIG di Milano. Come tutte le realtà, in cui convivono anime molto diverse fra loro, però, credo che a volte le associazioni si perdano in un bicchier d’acqua. Mi dispiace a volte vedere associazioni che si battono tra loro, che decidono di scendere in piazza solo se quell’altra associazione non c’è o viceversa. Così si perde di vista l’obiettivo comune che abbiamo tutti. Quindi alle associazioni direi più coesione e affiatamento e più piazza. Il movimento che si era creato poco prima dell’approvazione delle unioni civili era secondo me un’opportunità che è stata solo parzialmente colta. Tutte le associazioni hanno portato in piazza centinaia di migliaia di persone in tutta Italia e quell’onda, subito dopo l’approvazione della legge, si è esaurìta. Non dobbiamo accontentarci e dobbiamo ricominciare da subito a lottare. Non mi sento abbastanza preparato per poter dare infine un consiglio ai politici, soprattutto in questo momento di cambiamenti e di instabilità. Posso dire però che i diritti civili non dovrebbero guardare in faccia a nessuno, non dovrebbero avere colori o appartenenze politiche e che bisognerebbe smetterla di usare le persone Lgbtqi solo come merce di scambio o argomentazione da campagna elettorale. E posso dire che l’urgenza adesso dovrebbe essere quella di far passare finalmente una legge decente contro l’omo-transfobia.
A quei ragazzi, che magari avrai anche conosciuto, che non hanno avuto il tuo coraggio per vivere alla luce del sole il proprio orientamento sessuale, cosa consiglieresti? Da dove cominciare a fare il primo passo?
In questi due anni ho ricevuto centinaia, forse migliaia di messaggi, da tutta Italia e da persone di tutte le età, genere e orientamento. Il più delle volte erano ringraziamenti o complimenti, altre volte erano critiche, anche aspre. Ma i messaggi che ricordo con più affetto sono quelli delle ragazze e dei ragazzi adolescenti che mi hanno scritto frasi come: “grazie per aver capito”, “mi sento meno solo”, “lotta anche per me che non me la sento di dirlo a mamma e papà”. Ho potuto toccare con mano, o quasi, un mondo di situazioni che sicuramente immaginavo esistessero, ma che raccontate da chi le sta subendo prendono tutta un’altra forma. Io mi sono quasi sempre sentito impotente e inutile di fronte a quei messaggi, per quanto mi venisse detto esattamente il contrario. Non ho gli strumenti per poter pensare di aiutare qualcuno a stare meglio. L’unica cosa che ho sempre cercato di fare è sorridere, far sorridere e mostrarmi sempre fiero e a testa alta rispetto a quello che sono. Per anni l’omosessualità è stata culturalmente percepita come qualcosa che avesse a che fare con la solitudine, con il buio e con la depressione. Io provo a veicolare i messaggi che mi sento di trasmettere con la gioia, il buonumore e la luce. A quei ragazzi e a quelle ragazze dico quello che ho sempre scritto loro in questi due anni: non sei solo e non sei sbagliato. E, se non ci credi, chiedi aiuto. Chiedi aiuto a un amico, un’associazione, un consultorio, un insegnante, un parente, un telefono amico o chiunque altro reputi fidato, che possa riuscire a farti fare il primo passo verso te stesso, in modo che lo specchio possa iniziare a restituirti l’immagine di quello che davvero sei: una creatura unica e meravigliosa.
*Marco Tosarello. Giornalista dal 1995, matura la propria esperienza a Latina nello sport come Istruttore di Calcio (FIGC), Direttore Sportivo (Facoltà Scienze Motorie) ed Organizzatore di eventi e congressi per Euro Sport Event. Dal 2014 coordina l’ufficio stampa di ANDDOS. Si occupa di politiche di immigrazione e mediazione interculturale (Facoltà Scienze della Comunicazione Sociale).