“Noli me tangere”. Il corpo il luogo benedetto della nostra vita
Articolo di Roberto Righetto pubblicato su “Avvenire” del 17 luglio 2018
“Noli me tangere“: le parole di Gesù risorto a Maddalena, mirabilmente raffigurate in tante opere d’arte dei secoli passati, sono state variamente interpretate da biblisti e teologi. Chi ha tradotto l’espressione con “Non mi toccare”, quasi che la discepola avesse bisogno di una lezione, chi ha preferito “Non mi trattenere”.
Secondo il domenicano e critico d’arte Jean-Pierre Brice Olivier «in queste parole non vi è alcun rimprovero, né traccia di severità da parte di Cristo, al contrario, si tratta di una preghiera. Egli la prega di non trattenerlo». Cioè di sospendere il suo slancio di ardore e felicità davanti all’epifania di Gesù, che la invita piuttosto a cercare gli apostoli. Qualche istante prima Maria di Magdala si era trovata davanti a un vuoto, «il vuoto scavato dall’assenza». Quel vuoto che talora è chiamato “notte” dai mistici. Che è il silenzio nella conversazione, la pausa in musica, il bianco fra le righe in poesia. «Il vuoto – dice ancora Brice Olivier – è essenziale all’arte, alla musica, alla scrittura, all’architettura e alla danza. È esistenza. È condizione della poesia e prepara l’evento». Perché permette il passaggio dal corpo alla carne, luogo della conoscenza.
È alla figura di Maria Maddalena («la più bella immagine che il Vangelo ci lascia di una persona che abbia “osato la carne”») che Brice Olivier dedica la parte conclusiva del suo libretto Non avere paura del corpo, da poco edito in Italia da Qiqajon (pagine 140, euro 14).
Domenicano del convento di Lille, l’autore ha diretto una galleria d’arte contemporanea a Parigi dal 1984 al 1996; il suo volume ha vinto il Prix du livre de spiritualité in Francia nel 2015. Si tratta di un percorso controcorrente, affrontato con l’ausilio delle arti e della letteratura, oltre che della teologia, con frequenti citazioni di Julien Green e Marguerite Duras.
Controcorrente perché nei secoli ha prevalso nel cristianesimo una visione ostile alla carne. Lo spiega bene Brice Olivier nell’introduzione, a partire proprio da tre assunti fondamentali del cristianesimo: l’incarnazione di Dio, la resurrezione della carne e l’eucarestia. Il secondo assunto ci lascia sgomenti, facciamo fatica a capirlo: risorgeremo con il nostro corpo? «Che Dio si incarni, dopo duemila anni abbiamo finito per accettarlo. Ma che la nostra carne, che è divenuta la sua carne, che la nostra debolezza, che è divenuta la sua debolezza, siano elevati nella gloria, questo è qualcosa di più grande di noi e non l’abbiamo ancora accettato». Che la carne abbia un significato nobile, che il nostro corpo, che spesso trattiamo come fosse un nemico, sia destinato alla gloria è qualcosa che i credenti non sempre riconoscono.
Eppure la carne – sottolinea ancora Brice Olivier – «è il nostro essere in pienezza e non deve essere considerata una realtà miserevole, ma il luogo benedetto della nostra vita, già fin d’ora». In poche parole, non dobbiamo aver paura di abitare il nostro corpo, tutto il nostro corpo, anche perché questa accettazione è la base di partenza per l’incontro con l’altro: «La mia solidarietà di carne con l’umanità fa di me il fratello di ogni altro che incrocio, che diventa mio prossimo». Nella Bibbia l’uomo viene designato sia come “carne animata” che come “anima vivente”, dunque «l’uomo – ha scritto Olivier Clément – non ha un’anima, egli è un’anima vivente; non ha una carne, è carne animata».
La più antica tradizione patristica, quella orientale in particolare, insiste su questa reintegrazione spirituale della carne. Fra ’800 e ’900 la questione è stata rilanciata da scrittori e pensatori russi come Solov’ev e Dostoevskij, ma anche da francesi come Blondel e Péguy. Proprio quest’ultimo, in Eve, ci ha lasciato una sentenza folgorante: «Il soprannaturale infatti è in sé carnale».
La ricerca di Dio risulta allora vana se prescinde da questo punto di partenza: così accade in certe tradizioni spirituali o mistiche che privilegiano l’astrazione spirituale e scelgono opzioni disincarnate. Proprio il contrario di quanto emerge dal Vangelo, dalla predicazione e dagli incontri di Gesù. Il libro diventa poi un percorso di umanità, in cui siamo invitati, oltre che ad abitare la
carne, ad abitare la terra, il tempo e la città.
Imparando ad apprezzare la solitudine e la vigilanza, nonché la castità. E non è affatto un paradosso, dato che la castità è una dimensione presente in tutte le nostre relazioni e non riguarda solo la sessualità. Ancora Brice Olivier: «Se acconsento a relazioni di potere, di dominio o di manipolazione non sono casto, così come non lo sono in tutto quello che può diventare accumulo o compensazione: l’alcool, il cibo, la televisione, la lettura, internet, eccetera». È la dimensione del non possesso, del distacco dalle cose, senza censurare la nostra carnalità.