Vino nuovo in otri nuovi. Quando un prete incontra le vite delle persone LGBT+
Testimonianza di don Matteo Cavani* tenuta all’incontro PIETRE D’ANGOLO (Firenze 5 aprile 2025)
Sono un presbitero di Modena, ho 53 anni e voglio brevemente raccontarvi come ho incontrato il mondo LGBT+ e cosa è successo quando l’ho incontrato.
Da diligente seminarista poi diventato presbitero, avendo uno stile aperto e attento alle cose nuove, nei confronti del “tema omosessualità” (poi diventato LGBT+) ho sempre avuto rispetto e attenzione, mantenendo, però, anche quella distanza e quel riserbo di chi conosce le cose solo teoricamente e per sentito dire.
Sono cresciuto in un ambiente ecclesiale aperto e accogliente, ma – me ne rendo conto col senno di poi – troppo ‘protetto’.
Inoltre, ho anche avuto la possibilità di approfondire gli studi di teologia, facendo la licenza e il dottorato in teologia morale a Roma, per cui insegno teologia morale all’ISSR dell’Emilia (a Modena) e di S. Pietro (a Verona), oltre ad essere parroco.
Le cose sono cambiate quando ho conosciuto direttamente il mondo LGBT+, o almeno una parte di esso, attraverso la partecipazione agli incontri che si tengono annualmente a Bologna e che raccolgono gli operatori pastorali. Incuriosito da questo ritrovo ho preso contatto con p. Pino… da Modena a Bologna la distanza è breve e così ho incontrato tante storie.
Personalmente avevo avuto modo di accompagnare alcune persone omoaffettive e la sintesi era sempre stata a partire dalla vita e nella costruzione del bene possibile, ma l’incontro con il gruppo degli operatori pastorali LGBT+ (che comprende genitori di ragazzi, persone omoaffettive, presbiteri, religiose e religiosi…) mi ha fatto veramente cambiare lo sguardo.
Mi hanno colpito soprattutto alcune cose.
La prima è stata la percezione di essere davvero tutti fratelli e sorelle, cioè di essere semplicemente se stessi: Matteo, Marco, Lucia, Silvia… senza nessun bisogno di esibire ruoli, tessere, orientamenti affettivi… Non si tratta di una banalità, ma di un elemento evangelico essenziale. Non ho mai vissuto in ambienti chiusi o bigotti, ma la percezione di una certa ‘struttura invisibile’ è spesso presente nei contesti ecclesiali.
Nel mondo LGBT+ ho percepito una libertà fraterna e una vitalità che era un po’ che non percepivo. E mi è piaciuto molto. Ruoli e a autorità rischiano di avere un effetto di annacquamento nei confronti del Vangelo, anche se a volte non ce ne accorgiamo ed è come se agisse una forza invisibile, fatta di falso rispetto e di difesa dell’istituzione.
La seconda cosa che ho compreso è che tanti “ragionamenti” teorici – dico teorici e non teologici – lasciano il tempo che trovano e soprattutto non sono in grado di raccogliere la vita, la generatività, la fede, la capacità di donarsi agli altri… che esprime la vita delle persone.
Lo sapevo già, perché non sono mai stato un bigotto chiuso dentro un armadio, ma il toccare con mano l’energia vitale che si sprigiona da alcune persone che hanno condiviso i propri percorsi e testimoniato i propri cammini di umanità e di fede, è tutta un’altra cosa. E in questo il mondo LGBT+ è davvero evangelico, perché toglie qualsiasi maschera e ti invita a fare lo stesso.
II terzo aspetto che evidenzio è la necessità di ascoltare le storie delle persone, ma anche di cogliere le trame e i significati delle vite delle persone, unire i puntini per andare oltre l’aspetto individuale e affacciarsi sul significato che hanno le storie. Quando nel Vangelo Gesù incontra le persone entra in relazione con loro, ma allo stesso tempo è nutrito e generato dalle storie delle persone. Mentre si relazione anche lui prende consapevolezza di chi è, e mentre, ad esempio, la donna samaritana (cf. Gv 4) racconta la sua storia Gesù, manifesta a tutti, attraverso di lei che è il Messia. Questa donna rende possibile, attraverso la sua vita e la sua storia,, la manifestazione del Messia per tutti.
Cosa voglio dire. Se noi ascoltiamo le storie, ma le teniamo separate, evitiamo che si incontrino, le isoliamo… non abbiamo l’esperienza della generatività, della forza rivelatrice e dell’andare oltre che le storie delle persone hanno.
Pertanto, conoscere una parte del movimento LGBT+ mi ha permesso di scoprire una porzione di chiesa che svolge questo servizio prezioso di dirci un po’ di vangelo, se abbiamo voglia di ascoltarlo. Credo che in questo senso siano davvero preziosissime le pubblicazioni della Tenda di Gionata (e non solo) che raccontano le storie delle persone e sono veri e propri brani del vangelo nell’oggi.
Mi è allora venuta in mente una parabola che esprime molto bene che cosa è accaduto in me alla luce dell’incontro con il mondo LGBT+.
Si tratta della parabola del vino nuovo in otri nuovi.
36«Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. 37E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. 38Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. 39Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: «Il vecchio è gradevole!»». (Lc 5,36-39)
Il primo tentativo che ho fatto – in buona fede – è stato quello di prendere un pezzo di vestito nuovo e metterlo su quello vecchio. Ho cercato di mettere il tema dell’omosessualità, pezzo di vestito nuovo, sopra un vestito vecchio, una certa impostazione antropologica e teologica, la famigerata “antropologia cristiana”. Un grande scatolone con il quale si rischia di schermare tutto ciò che è nuovo e si cerca di ridurre ciò che non è riducibile: la vita delle persone.
Da qui l’esperienza di assaggiare il vino nuovo, la vita di fratelli e sorelle LGBT+, che aveva un sapore nuovo e buono, che mi ha portato alla consapevolezza che non si può mettere questo vino negli otri vecchi, perché il vino nuovo, come dice Gesù, spacca gli otri e si perde tutto: vino e otri.
Sono così giunto alla consapevolezza che sono necessari otri nuovi, cioè una nuova impostazione dell’antropologia e della teologia, ed ora mi trovo a lavorare in questa prospettiva. Si tratta di riconoscere che c’è una luce nuova che illumina il cammino, c’è uno sguardo che le persone LGBT+ portano sulla vita e sul Vangelo. Questo sguardo aiuta soprattutto sul tema degli affetti per mostrare che davvero ci sono diverse forme con cui vivere l’amore tra le persone, forme che non sono in contrapposizione, ma sono semplicemente espressione della ricchezza con cui Dio si manifesta.
Ora grazie all’incontro con tante persone brilla una luce così luminosa e calda – certamente non priva di imperfezioni e di fragilità come è per ognuno di noi – ma sicuramente piena di quell’umanità che Gesù ha assunto e sempre incontrato volentieri, a differenza di chi si scandalizzava perché era ipocrita.
Ciò che ora sento di avere è uno sguardo nuovo, che condivido con gli altri undici presbiteri con cui faccio vita comune. Siamo preti diocesani che fanno l’esperienza di vivere insieme, di fatto siamo una “comunità omoaffettiva”, perché ciò che ci ha portato a fare questa scelta è l’amicizia che ci lega e che ha portato come frutto sorprendente il vivere concretamente in questa forma il nostro ministero, in un cammino di discernimento ecclesiale iniziato nel 1995, 30 anni fa… Ma questa è un’altra storia…
Come comunità presbiterale abbiamo conosciuto in particolare alcuni genitori di ragazzi LGBT+, Mara e Agostino, Beatrice e Gampiero, Michela e Corrado… che la prima volta sono venuti a casa nostra per un dialogo e un confronto e con i quali ora è nata un’amicizia.
Inoltre, nella comunità parrocchiali si accolgono persone LGBT+ e soprattutto – da parte mia – si cerca di non fare una pastorale specifica, ma di far sì che chi desidera fare un cammino di vita cristiana all’interno della comunità, possa viverlo senza alcuna patente o credenziale e soprattutto senza alcuna discriminazione.
Mi piace dire in parrocchia che le porte della chiesa sono aperte e chi desidera entrare per partecipare e condividere lo può fare senza esibire alcuna tessera o credenziale. Alla domenica quando celebriamo l’Eucaristia chiunque varchi la soglia della chiesa è ben accetto e può partecipare con la sua vita, le sue gioie e i suoi dolori, le sue speranze e le sue angosce.
Per concludere. L’incontro con il mondo LGBT+ mi ha dato uno sguardo nuovo di cui sono grato, perché lo sento più vicino al Vangelo e ha veramente ‘rovesciato’ il modo con cui cerco di vivere la fede e faccio teologia, non più a partire dalla teoria, ma dalla vita, consapevole che la realtà è superiore all’idea (cf. Evangelii gaudium 231).
*Don Matteo Cavani è parroco e insegnante di teologia morale.