Il contributo delle scienze umane nell’odierna concezione dell’omosessualità
Testo della teologa suor Margaret Farley* tratto dal libro Just Love: A Framework for Christian Sexual Ethics, Continuum International Publishing Group (USA), agosto 2005, pagg. 265-270, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Molte scienze umane hanno contribuito all’odierna concezione dell’omosessualità. Vari studi sono andati più o meno in profondità sui cromosomi e gli ormoni, gli schemi comportamentali e gli adattamenti psicologici, le forze sociali e le differenze culturali. Il risultato di tali studi è che oggi esiste una grande varietà di teorie sull’eziologia dell’omosessualità (la teoria genetica, quella biologica, psicologica, sociale, dello sviluppo, culturale) e sulla sua positività per il benessere della persona. Chi vuole indagare a fondo sulla storia della ricerca biologica e psicologica sull’omosessualità si trova a mettere fortemente in dubbio gli obiettivi e i risultati di gran parte di tali ricerche [1].
Fin dalla sua effettiva nascita nel XIX secolo, questa ricerca è stata a lungo caratterizzata dal preconcetto contro l’omosessualità, a cui veniva negato lo status di variante umana legittima. Gli obiettivi della ricerca si basavano spesso sull’assunto che il desiderio e l’orientamento omosessuali fossero patologici, e la ricerca stessa mirava di solito all’elaborazione di terapie e strategie disciplinari. Il filosofo della medicina Timothy Murphy osserva: “Gli effetti stigmatizzanti di tali ricerche nel XIX e XX secolo non devono essere negati: in molti hanno accettato che l’omoerotismo fosse una forma inferiore di sessualità proprio perché quello affermava la medicina”. Questo è stato vero anche dopo che le organizzazioni mediche hanno stabilito che l’omosessualità non è una patologia [2].
Eppure la ricerca attuale sull’omosessualità è servita in parte a correggere tale preconcetto dei protocolli di ricerca e le sue conseguenze sociali; negli ultimi anni ha anzi contribuito a depatologizzare l’orientamento omosessuale. Per esempio, alcuni studi hanno portato prove convincenti che gli uomini gay non hanno una psicologia fondamentalmente diversa da quella degli uomini eterosessuali; che i figli di genitori omosessuali non sono più inclini degli altri bambini a diventare anch’essi omosessuali; che l’inclusione delle persone omosessuali nelle forze armate dimostra come l’omosessualità non è “contagiosa” e non interferisce nelle attività e nella vita ordinaria dei militari.
Le ricerche empiriche giocano un ruolo importante nel distruggere i miti che circondano i molestatori di bambini (la maggior parte dei quali sono uomini eterosessuali e sposati) e gli studi a lungo termine sono estremamente importanti nello stabilire la capacità genitoriale delle coppie gay e lesbiche. Tali studi, presi in se stessi, non risolvono il problema dello status morale dell’omoerotismo, ma contribuiscono a combattere i pregiudizi sociali e forniscono dati importanti per i futuri legislatori; dovrebbero anche rintuzzare quei pensatori religiosi che insistono a dire che l’omosessualità è contro natura e un pericolo per la società [3].
La questione di cosa sia “naturale” e cosa no è ancora al centro del dibattito sul valore delle scienze biologiche e sociali come mezzo per comprendere l’omosessualità. Murphy, riflettendo sull’importanza delle idee di natura per stabilire la moralità dell’omosessualità, si chiede se tali questioni possano ricevere luce dalle ricerche sull’orientamento sessuale. Le ricerche etologiche mostrano come nel mondo della natura la maggior parte degli animali ha comportamenti omosessuali; le ricerche sugli esseri umani dimostrano la falsità di alcune credenze popolari e l’erroneità di alcune ricerche precedenti; le ricerche transculturali forniscono le prove dell’esistenza delle relazioni omosessuali in quasi tutte le culture e la loro accettazione in molte di esse.
Per quanto riguarda i dati biologici, invece, Murphy osserva che essi hanno “un valore limitato nel dimostrare false le pretese secondo cui l’omoerotismo sarebbe ‘contro natura’ nel senso usuale del termine”. Anch’io rispondo con lo scetticismo alla ricerca di fattori biologici sottostanti l’orientamento omosessuale; se, per esempio, venisse identificato un “gene dell’omosessualità”, non tutti ne concluderebbero che l’omosessualità è “naturale” per chi possiede quel gene: diranno piuttosto che è come il gene dell’alcolismo, ovvero un’anomalia genetica, per la quale la risposta dovrebbe essere una terapia, genetica o di altro tipo, quando non l’eliminazione del gene dal pool genetico umano. Dovremo ritornare sulla questione di cosa è naturale perché “dato” e quale peso abbia nel giudizio morale sulle relazioni omosessuali.
Gran parte della ricerca scientifica sull’omosessualità si è concentrata sulle sue determinanti, vale a dire sulle sue cause, e potremmo chiederci perché non si è occupata anche di questioni come: per quali ragioni l’omosessualità è stata considerata un pericolo per le religioni e le società? Perché è stata costruita come oggetto di obbrobrio morale? Perché è diventata una metafora di degrado e mancanza di dignità? Questi interrogativi ci riportano una volta di più alla costruzione sociale e culturale dei significati dell’omosessualità.
Sono gli interrogativi sollevati dal sociologo David Greenberg nella sua ricerca delle motivazioni degli intensi sentimenti che stanno dietro la proibizione alle relazioni omosessuali. L’omosessualità è stata di volta in volta costruita come crimine contro natura, peccato contro Dio, degenerazione fisiologica ereditaria e malattia psicologica, ma anche (in certe epoche, come la fine del XX secolo e l’inizio del XXI) come dono speciale o semplicemente come orientamento alternativo del desiderio sessuale umano. A seconda della costruzione adottata, le risposte vanno dal raccomandare il pentimento alla terapia genetica, alla psicoanalisi, all’attivismo politico in favore dei diritti e del benessere generale di gay e lesbiche.
Secondo Greenberg le influenze sociali e culturali degli atteggiamenti negativi nei confronti dell’omosessualità non sono esclusive di quest’ultima, bensì comuni alla costruzione sociale di altre forme di “devianza”. Alcuni gruppi sociali vengono etichettati come devianti per via di norme e meccanismi sociali che li definiscono “outsider”, diversi per alcuni aspetti che sono importanti per una data società, per varie ragioni. Per capire gli schemi di reazione a particolari gruppi outsider bisogna prendere atto di molteplici fattori: cosa è considerato deviante negli “aggressori” (per esempio la razza, l’etnia, l’origine geografica, l’orientamento sessuale); il contesto sociale e culturale in cui si formano le reazioni a tali differenze (per esempio la crescita o la decrescita della popolazione, la situazione economica, l’importanza data alla conformità e alla coesione famigliare); la promozione di concezioni sulla piena umanità, le qualità dei leader, il comportamento accettabile (come quelle proposte da leader religiosi, filosofi e altri professionisti).
L’analisi sociologica di Greenberg condotta sulla storia della civiltà occidentale si occupa di questo tipo di fattori, fornisce motivazioni diverse ma plausibili, a seconda delle varie epoche e situazioni, per il permanere, gli alti e i bassi degli atteggiamenti negativi nei confronti dell’omosessualità. Dalle società basate sulla famiglia al feudalesimo, dalla medicalizzazione dell’omosessualità alle politiche basate sui “valori famigliari”, le motivazioni per etichettare come devianti le persone omosessuali sono cambiate, ma si è sempre tentati di concludere che, una volta definiti outsider, si sarà outsider per molto tempo. Tutti questi fattori che si intrecciano non sono prevedibili e non è il caso di fare dietrologie; per esempio, scrive Greenberg, “Gli invertiti ottocenteschi, i quali affermavano che l’omosessualità era innata, non potevano sapere l’uso che i teorici della degenerazione avrebbero fatto di questa loro affermazione”.
Il saggio di Adrienne Rich Compulsory Heterosexuality and Lesbian Existence (L’eterosessualità compulsiva e l’esistenza lesbica), ora divenuto un classico, rafforza e getta nuova luce sulla costruzione sociale dell’omosessualità, in particolare l’esperienza lesbica. Anche Rich parla soprattutto dei giudizi negativi sull’omosessualità, ma il suo scopo è invitare al cambiamento. L’obiettivo e l’approccio di Rich, poetessa ed esperta di studi di genere, sono diversi da quelli di Greenberg: gli scopi principali del suo saggio sono “invitare le femministe eterosessuali ad esaminare l’eterosessualità in quanto istituzione politica che toglie potere alle donne, e cambiarla“ e permettere alle donne lesbiche di “sentire la profondità e l’ampiezza dell’identificazione con le altre donne e del legame tra donne”; questo, secondo Rich, può essere un modo di cambiare e trasformare la percezione delle lesbiche come devianti.
Rich argomenta che la tendenza iniziale delle donne a identificarsi con le altre “donne in quanto compagne appassionate, compagne di vita, colleghe, amanti, comunità” è stata storicamente invalidata e costretta “a nascondersi e mascherarsi” dall’imposizione sociale dell’eterosessualità. In famiglia, sul posto di lavoro e nella società in generale le donne sono segregate in ruoli “sessualizzati” a beneficio degli uomini.
Attingendo al lavoro di Catherine MacKinnon e Kathleen Barry, Rich sostiene che in generale le donne sono condizionate a fissarsi sull’uomo per avere l’amore, la sicurezza, la guida, perfino l’identità in quanto “altro” femminile. In tutto questo, la distorsione sta nel fatto che alle donne viene impedito di stabilire e mantenere i legami tra di loro, che avrebbero dovuto avere inizio con le loro madri e perpetuati poi in varie forme di relazione con tutte le donne. Rich non dice che ogni donna dovrebbe o può avere una relazione sessuale genitale con un’altra donna, ma che esiste un continuum di modi di esistenza femminili; alcuni di essi sono lesbici nel senso erotico del termine, ma la maggior parte costituiscono una forma di legame che appartiene alle donne e che si concretizza in molti tipi diversi di relazione.
Le “discipline laiche” in quanto fonti della teologia e dell’etica ovviamente comprendono molto altro oltre le scienze biologiche e comportamentali e delle prospettive storiche offerte da Rich; giunti a questo punto possiamo comunque chiederci se sia possibile delineare una conclusione con i dati fornitici da tali scienze.
Per ora vogliamo trarre solo alcune minime e modeste conclusioni: (1) Le scienze empiriche non hanno stabilito che l’omosessualità è in se stessa, in un modo privo di presupposti culturali, dannosa per gli esseri umani. Che conduca o meno alla felicità umana non può essere stabilito senza un’idea condivisa di cosa sia la felicità. (2) Alcune delle giustificazioni razionali che stanno dietro ai giudizi negativi, di stampo religioso e filosofico, nei confronti delle relazioni omosessuali (e le credenze popolari che da essi derivano) sono state dimostrate false dalla ricerca empirica. (3) L’orientamento omosessuale può essere naturale per alcune persone, se per “naturale” intendiamo una caratteristica data, impossibile da cambiare senza fare violenza alla natura complessiva della persona. (4)
La preferenza omosessuale nelle relazioni sessuali può essere una scelta per molte persone, in quanto gli esseri umani possiedono generalmente una maggiore o minore capacità di reagire emotivamente e sessualmente a persone dello stesso sesso e del sesso opposto. Vi ritornerò ancora.
L’ultima parola non verrà dagli sforzi della ragione di comprendere la sessualità o l’omosessualità; in ogni caso, giunti a questo punto è difficile concepire un’assoluta proibizione delle relazioni e degli atti omosessuali sulla base della pura razionalità umana e di tutte le sue discipline; d’altro canto, il sesso rimane ambiguo ed è ugualmente difficile sostenere che tutte le sue espressioni sono benefiche per l’essere umano. È più che mai urgente discernere cosa deve caratterizzare quelle relazioni omosessuali che conducono allo sviluppo e al benessere dell’essere umano.
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[1] Tra i vari preconcetti di tali ricerche, alcuni autori fanno notare quello maschile, dovuto al fatto che la maggior parte degli studi sull’orientamento sessuale si sono svolti su soggetti maschi.
[2] Vedi Associazione Americana degli Psichiatri (APA), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quarta edizione, 1994. Nel 1952 l’APA considerava l’omosessualità un disturbo della personalità sociopatica; nel 1968 fu declassata a semplice disturbo mentale, ma nel 1974 l’omosessualità non venne più considerata necessariamente un disturbo, a parte quello specifico di omosessualità ego-distonica. Più tardi anche questa diagnosi fu scartata, anche se l’APA continua a riconoscere “l’angoscia da orientamento sessuale” in chi vive in conflitto con i propri desideri omoerotici. L’accusa secondo la quale questi cambiamenti siano stati puramente politici tende ad essere formulata solamente dagli oppositori.
[3] Alcuni psicologi cristiani sostengono che nulla, nelle conclusioni delle ricerche scientifiche e mediche, autorizza un cambiamento nella concezione cristiana tradizionale dell’omosessualità, vale a dire che essa è una violazione della volontà di Dio, contraria alla rivelazione sul significato, creato da Dio, della sessualità, e causata principalmente dall’imperfezione e dal peccato.
* Suor Margaret A. Farley, nata il 15 aprile 1935, fa parte della congregazione americana delle Sisters of Mercy (Suore della Misericordia) ed è professoressa emerita di etica cristiana presso la Yale University Divinity School dove ha insegnato etica cristiana, dal 1971 al 2007, ed è stata anche presidente della Catholic Theological Society of America (Associazione Cattolica dei Teologi d’America). Il suo libro Just Love (2005), ha avuto numerose critiche e censure da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede per le opinioni morali espresse, considerate divergenti dal magistero cattolico, ma ha ricevuto invece ampio sostegno e approvazione dalla Leadership Conference of Women Religious (Conferenza delle Religiose degli Stati Uniti) e della Catholic Theological Society of America (Associazione Cattolica dei Teologi d’America).