Coraggio amici. Lettera aperta agli omosessuali credenti in un momento di difficoltà
Riflessioni di Gianni Geraci, portavoce del Gruppo del Guado – Cristiani Omosessuali Milano
Ho trovato sorprendente il ragionamento con cui il rappresentante della Santa Sede alle Nazioni Unite ha bocciato la proposta europea di una dichiarazione ONU in cui si chiede di depenalizzare l’omosessualità.
Chi infatti sostiene, come monsignor Migliore, l’esistenza di un legame stretto tra la depenalizzazione degli atti omosessuali e il riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, implicitamente ammette che si tratta di due tappe di un unico percorso che non lascia spazio per posizioni intermedie: approvare una dichiarazione che chiede di non punire penalmente gli atti omosessuali (ovvero mettere al primo posto la dignità della persona omosessuale) significa arrivare, prima o poi, al riconoscimento delle coppie di fatto tra persone dello stesso sesso; opporsi al riconoscimento di questo tipo di convivenze implica, secondo il ragionamento proposto da Celestino Migliore, un atteggiamento ostile nei confronti di qualunque forma di condanna di quei paesi che puniscono con il carcere o con la pena di morte, le persone omosessuali.
Ho trovato sorprendente questo ragionamento perché divide le nazioni in due gruppi: da una parte stanno quelle che scelgono di mettere al primo posto la persona e la sua dignità, dall’altra quelle che subordinano questo primato ad altri principi ritenuti più importanti (quali l’affermazione di una determinata morale, l’osservanza di una tradizione non modificabile, una lettura fondamentalista dei testi su cui questa tradizione si fonda); da una parte ci sono i paesi europei, con i loro duemila anni di storia cristiana alle spalle, una storia che ha permesso il fiorire di fenomeni culturali importanti, come la teologia scolastica, l’umanesimo, la nascita del metodo scientifico e l’illuminismo, dall’altra ci sono i paesi che rifiutano di fare i conti con le ricadute che queste straordinarie avventure del pensiero hanno avuto nella società e nella giurisprudenza; da un lato ci sono paesi come la Francia o la Germania, dall’altro ci sono stati come l’Iran, l’Arabia Saudita e, spiace dirlo, il Vaticano.
Da persona omosessuale che ha provato orrore quando ha visto i filmati che riprendevano l’esecuzione di alcuni giovani omosessuali in Iran e da credente che vede nella Chiesa cattolica la madre che l’ha generato alla Fede cristiana, non posso non provare un certo sconcerto.
E’ vero che nell’Antico Testamento l’omosessualità è condannata con la morte, ma è anche vero che la mia chiesa mi ha insegnato a diffidare dalle letture fondamentaliste del testo biblico.
C’è poi la predicazione di Gesù che non lascia dubbi in proposito: a quanti gli portano una donna scoperta in flagrante adulterio chiude la bocca dicendo: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra» e, una volta rimasto solo con la donna, la congeda dicendole: «Nemmeno io ti condanno. Va e non peccare più». Più chiaro di così non poteva essere!
Certe condanne non hanno niente a che fare con il Vangelo! E anche se in passato le chiese hanno difeso la morale con la violenza piuttosto che con l’esempio, con le sanzioni penali piuttosto che con l’amore, nel corso degli ultimi due secoli, in seguito a un processo in cui non è possibile non vedere l’azione discreta e potente dello Spirito Santo, la maggior parte di queste stesse chiese ha iniziato a riconsiderare i propri errori e ha progressivamente riscoperto il significato vero delle parole di Gesù.
In realtà, da qualche anno, i vertici della Chiesa cattolica hanno abbandonato questo cammino. La dignità della persona è stata messa in secondo piano e sono diventati altri i motivi che guidano i documenti del Magistero: il primato della Famiglia borghese fondata sul matrimonio eterosessuale, la difesa della vita prima del concepimento (molto meno la difesa della vita dopo il concepimento), la difesa dei diritti (e talvolta dei privilegi) che la Chiesa cattolica ha nelle singole nazioni.
Si tratta di un percorso che nasce dalla paura e che sembra allontanare la Chiesa cattolica da una tradizione che ha l’ambizione di proclamarsi universale, capace cioè di dare una parola di Speranza a ciascun uomo, indipendentemente dalla sua condizione.
La chiesa cha ha parlato per bocca di monsignor Migliore e per bocca dei diversi personaggi che hanno difeso le sue parole, è una chiesa che ha rinunciato definitivamente a questa sua ambizione e che, quindi, riesce a parlare solo a quanti se ne stanno tranquilli dentro i suoi recinti.
La chiesa che condanna un progetto che ha come suo principale obiettivo quello di evitare la condanna e la morte di quanti sono condannati a causa della loro omosessualità è una chiesa che non riconosce la piena dignità umana alla persona omosessuale e che si rifiuta di tradurle in azioni concrete che salvaguardano la sua integrità fisica e psichica, nonostante le belle parole che vengono continuamente citate dal Catechismo.
Queste stesse citazioni, alla luce dei fatti e delle scelte compiute dal magistero cattolico, suonano false e piene di ipocrisia. Che senso ha parlare di rispetto quando ci si schiera con quelle nazioni che negano agli omosessuali qualunque dignità umana? Che senso ha parlare di delicatezza se, quando spesso si parla a sproposito di omosessualità senza prima chiedere agli omosessuali credenti se, e come, certi discorsi li feriscono e li offendono nella loro specifica sensibilità?
Come si può dire che “le persone omosessuali vanno accolte” se poi non ci si adopera per salvare la loro vita quando è minacciata, o se non ci si preoccupa di quante, tra queste persone, sono in carcere per il solo fatto di essere omosessuali? Solo chi è convinto che la fede cattolica sia fatta solo per chi omosessuale non è, può perseverare in un simile comportamento senza chiedersi se non sia il caso di cambiare rotta.
Certo! Molte responsabilità le abbiamo anche noi omosessuali credenti! Quando sentiamo certi discorsi ci chiudiamo in noi stessi e soffriamo in silenzio. Qualche volta, quando siamo sicuri di essere di fronte a interlocutori fidati, ci scateniamo, dicendo peste e corna della chiesa, ma poi, pubblicamente, teniamo a freno la nostra indignazione e scegliamo di non dire nulla.
Ai nostri pastori ci rivolgiamo più per chiedere loro di aiutarci a risolvere i nostri sensi di colpa che per proporre un percorso comune di ascolto della Parola di Dio e di condivisione nella preghiera. Siamo impazienti e aggressivi con quanti accettano di confrontarsi con noi, ma ce ne stiamo buoni e tranquilli quando si tratta di prendere pubblicamente posizione nei confronti dei tanti (e sono la maggior parte) che parlano a sproposito di noi senza conoscerci.
Se avessimo avuto un po’ più di coraggio in passato! Se ne avessimo un po’ di più ora! Se davvero sorgesse tra noi qualcuno capace di scrivere e di dire le cose giuste al momento giusto e, soprattutto, capace di raccogliere intorno a se le energie di quanti soffrono perché la Chiesa cattolica sta tradendo la sua missione universale. Se soprattutto pregassimo perché avere questo coraggio, per raccogliere finalmente queste risorse, perché lo Spirito tocchi la coscienza di quanti guidano la Chiesa, aprendo il loro cuore alle gioie, alle speranze, alle tristezze e alle angosce delle persone omosessuali.
So benissimo che molti di noi, in queste ore, stanno soffrendo, perché si sentono rifiutati da una chiesa che, dopo aver lasciato trascorrere anni senza mai pronunciare una parola di condanna per le tante esecuzioni capitali di cui sono state vittima le persone omosessuali, adesso interviene con un tempismo impressionante per dire che mai appoggerà una mozione che invita gli Stati a depenalizzare l’omosessualità. So che molti hanno la tentazione di farla finita e di abbandonare la Chiesa cattolica.
So che altri invece si sforzano di negare la realtà e di giustificare l’atteggiamento della diplomazia vaticana anche se, in cuor loro, provano vergogna per gli equivoci e i fraintendimenti generati dalle parole infelici di monsignor Migliore. So infine che alcuni cercano di far finta di niente e di andare avanti come se nulla fosse successo, nella speranza di non dover più fare i conti con situazioni del genere. Conosco per esperienza tutti questi stati d’animo e, proprio perché li ho condivisi in passato, chiedo a ciascuno di farsi carico in prima persona del cammino di conversione che in cuor nostro vorremmo vedere nella Chiesa cattolica.
La prima cosa che dobbiamo fare è pregare: sarebbe bello se riuscissimo a organizzare dei momenti di preghiera in cui rivolgerci uniti allo Spirito per chiedere il suo aiuto in un momento in cui non sappiamo cosa fare; sarebbe bello se riuscissimo a coinvolgere in questo cammino di preghiera quanti ci vogliono bene e quanti condividono con noi la mensa eucaristica; sarebbe bello interpellare le nostre chiese testimoniando pubblicamente questo nostro desiderio di pregare insieme.
La seconda cosa che dobbiamo fare è chiederci se siamo in grado di dare un contributo concreto per aiutare la Chiesa a superare la sua ignoranza: potremmo magari parlarne con l’amico che è cresciuto con noi all’oratorio; oppure potremmo affrontare l’argomento durante una riunione in parrocchia; oppure parlarne con il parroco o con i responsabili del gruppo di cui facciamo parte. Ciascuno è in grado di capire quello che può fare e quello che deve invece evitare.
Il solo consiglio che mi sento di dare è quello di non imbarcarsi in discussioni interminabili: di fronte alla notizia sconvolgente della nostra omosessualità molte persone non riusciranno immediatamente a capire. Diamo loro il tempo di cambiare e di accettarci nell’ottica nuova che il nostro gesto avrà creato e chiediamo loro di pregare con noi, o di pregare per noi.
Ci aiuterà sapere, in questo cammino, che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore di Cristo. Non dimentichiamoci mai di questa promessa, nemmeno nei momenti in cui quello che succede nella chiesa e fuori dalla chiesa ci spinge a pensare che l’omosessualità e il cristianesimo sono incompatibili.
Non è un compito facile, perché richiede coraggio, rispetto, pazienza e perseveranza. Non è un compito facile, perché spesso dovremo fare i conti con momenti in cui, come i discepoli di Emmaus, qualcosa ci impedirà di riconoscere il Signore che ci cammina accanto e che conversa con noi.
Non è un compito facile, ma abbiamo la promessa di Gesù che ci sostiene: «Ecco io sono con voi, fino alla fine del mondo».