“Dirsi lesbica”: indagine sui tabù dell’amore al femminile
Articolo di Stefania Prandi pubblicato sul sito de Il Fatto quotidiano il 16 dicembre 2014
Con passione, fedeltà e attenzione estrema per il piacere sessuale reciproco. Così si amano le donne tra loro secondo “Dirsi lesbica”, l’indagine della sociologa francese Natacha Chetcuti, pubblicata in Italia dalla casa editrice Ediesse.
Attraverso una raccolta capillare di testimonianze, Chetchuti intende fornire uno spaccato delle relazioni intime e amorose tra le donne omosessuali. Un mondo ancora poco esplorato, nei Paesi dell’Europa mediterranea, a livello accademico e non solo.
“Le lesbiche sono meno visibili dei gay per ragioni storiche e sociali – spiega Chetcuti. – Tra queste il fatto che l’omosessualità maschile è diventata anche una questione sanitaria, nei decenni scorsi, a causa dell’Aids.
Inoltre, i gay hanno sempre avuto più spazio nel mondo commerciale e nella letteratura. Per le lesbiche è andata diversamente. La loro è stata una socialità più privata, come quella delle altre donne”.
La sessualità delle donne omosessuali è ancora tabù, nel discorso pubblico, si legge nel testo che verrà presentato in diverse città italiane (tra queste Bologna, Pisa, Livorno, Roma) tra il 19 e il 28 febbraio 2015.
“Esattamente come i gay, anche le lesbiche sono considerate contro natura – dice Chetcuti. – Ci sono una serie di fattori alla base di questa credenza. Sicuramente c’entra il fatto che, nella nostra società, una donna viene considerata “completa” soltanto se è madre. Senza figli è una donna a metà.
Le lesbiche riescono a conquistarsi i titoli dei giornali mainstream quando diventano mamme, perché in questo modo si allineano alla norma dominante. C’è poi un’altra questione: la sessualità lesbica non viene presa sul serio. Se, ad esempio, si vedono due donne per strada che si tengono per mano, difficilmente si pensa che siano lesbiche. Se lo stesso accade con due uomini, invece, non ci sono dubbi al riguardo”.
L’omosessualità femminile è ancora malvista all’interno delle famiglie. “Quando ho detto ai miei genitori che amavo una donna la sua reazione è stata molto violenta”, racconta Catherine, 32 anni, una delle donne intervistate da Chetcuti. La madre prima ha rotto i piatti a terra e poi le ha dato della poco di buono. Quando lei ha cercato di andarsene di casa indossando la giacca della compagna, gliel’ha strappata e l’ha bruciata. Per un anno non si sono parlate.
Invece la madre di Gaelle, 37 anni, non sopporta le sue fidanzate troppo butch, cioè mascoline, che chiama “maschione”. Il patrigno di Giselle, la prima volta che ha saputo dell’omosessualità della figliastra ha tentato di spiegare questa sua “tendenza” per una presunta caratteristica anatomica: “Sei così perché ce l’hai troppo stretta”.
Non va meglio sul posto di lavoro. “Le donne che scelgono di rivelare la propria sessualità al lavoro sono stigmatizzate – dice Chetcuti.- C’è un silente consenso nel ritenere che questo debba restare un aspetto privato della vita. Sembra ancora valido il discorso benpensante di Alain Finkielkraut: ‘Fate quello che volete, ma con discrezione, che diamine’.
Per quanto riguarda l’Italia, bisogna aggiungere che la situazione di intolleranza è acuita dall’ingerenza cattolica. Durante i miei studi ho intervistato alcune italiane che hanno preferito emigrare in Francia perché da voi c’è troppa pressione”.
Sono tanti e diversi i fili del discorso che si intersecano in “Dirsi lesbica”. Uno di questi riguarda l’atto sessuale. Dall’indagine emerge che le omosessuali sono particolarmente attente alla soddisfazione della partner. Credono che l’intesa fisica migliori con il passare del tempo e che l’orgasmo sia una condizione indispensabile per l’armonia e il benessere della coppia.
A differenza delle eterosessuali, non sono legate all’idea dell’atto sessuale “completo”. “Per le lesbiche il corpo dell’altra non è circoscritto ad alcune parti specifiche. Il piacere passa da stimolazioni diverse, diffuse. Si dà particolare importanza a
quelli che, nelle dinamiche eterosessuali, vengono definiti preliminari e che, per molte, rappresentano il clou del rapporto”.Una modalità che, puntualizzano molte delle intervistate, non deve essere considerata “a metà” oppure “frustrata”. Anche nel caso di utilizzo di sex toys, non si tratta di imitare una parte “mancante”. In un’intervista Florence, 36 anni, lo ribadisce con forza: “Per questioni anatomiche, i sex toys devono avere una certa forma, che però non ha niente a che vedere con l’immagine del sesso maschile”.