Don Santoro. Un prete mandato in esilio perché crede nell’amore

Il 1° novembre ha celebrato l’ultima messa. «Dice il Vangelo: la verità gridala forte sui tetti». La verità è un matrimonio che non si doveva fare, perché la sposa è nata uomo anche se uomo non lo è più.
Lo trovo risalendo la valle dell’Arno, tra le faggete color arancio, le abetaie verdi, le viti gialle e il cielo azzurro. Sta in una pieve, con antica chiesa sconsacrata. Dentro alle mura dell’anno Mille, un tavolo, un camino, la penombra.
E dentro a una storia d’esilio come accadeva a quei mistici perseguitati dalla Chiesa, ridotti al silenzio, ma poi anche destinati a rinnovarla, quella stessa Chiesa, facendola rivivere lontano dai palazzi e dal potere.

«Non mi aspettavo di provare tanta sofferenza. Ma la accetto e cercherò di trasformarla. Fa anche lei parte del Vangelo: quello che viene scritto ogni giorno dalle persone innamorate della vita.
Dice il Vangelo: la verità gridala forte sui tetti. Ho celebrato un matrimonio d’amore. Tra due persone credenti. In nome di un Dio che benedice la vita e che quell’unione accarezza».
Sa di essere seduto davanti a un bivio, quello che (talvolta) separa la legge formale degli uomini da quella sostanziale del cuore.
Nel punto in cui da sempre la Chiesa si divide, mostrando quanta distanza (anche simbolica) separi il potere delle sue gerarchie dalla semplicità dei gesti dei suoi fedeli; la dottrina che detta precetti dal Vangelo che libera i destini; le cattedrali di marmo dalle mangiatoie a cielo aperto.
Quel bivio è la scelta che lo aspetta. L’epilogo che lo spaventa e insieme il cammino che lo rassicura, come nella parabola di Lazzaro che sta alla fine di questa storia, storia che a dire il vero inizia con un matrimonio.
Questa è la storia di un matrimonio che non si doveva fare, quello tra Sandra e Fortunato, perche Sandra è nata uomo, anche se uomo non lo è più, neanche per l’anagrafe e da 27 anni vive con Fortunato, sotto al cielo di Firenze, tra le navi di cemento delle Piagge, in un bilocale color pastello, pieno di sigarette, insulina e amore.
Questa è la storia di don Alessandro Santoro che sa leggere il libro del mondo e qualche volta lo scrive. Che si fa pane per gli altri, lo spezza, benedice i poveri, difende gli ultimi, ha costruito l’altare in un prefabbricato, mette qualche colore tra le navi in cemento delle Piagge, sotto al cielo di Firenze, e l’ultima domenica di ottobre, davanti alla comunità, ha benedetto Sandra e Fortunato in un matrimonio che non si doveva fare.
Questa è la storia di un principe della Chiesa, l’arcivescovo di Firenze monsignor Giuseppe Betori, che abita tra il campanile di Giotto e i tesori del Rinascimento, indossa il crocifisso d’oro, la mantella paonazza, l’anello sponsale, e maneggiando il diritto canonico – paragrafo 1055 sull’eterosessualità dei contraenti – ha annullato quel matrimonio, deplorato la disobbedienza, rimosso don Santoro («mai più in una comunità parrocchiale») e ha annullato, deplorato, rimosso, senza aver mai messo piede tra le navi di cemento delle Piagge. Che poi sarebbe l’estrema periferia di Firenze, e qualche volta anche della vita.
Le Piagge è un corridoio lungo tre chilometri. Ci abitano i cinesi che fanno le borse vere, ma con il marchio finto. Gli africani per bene e per male, i sinti, i vecchi terremotati dell’Irpinia, operai, disoccupati, e poi naturalmente anche Sandra e Fortunato.
Sandra Alvino ha 64 anni, viene da Torino, ha i capelli corti, il cuore grande, e una storia lunga molte vite. «Sono nata nel corpo sbagliato. Per mio padre, maresciallo dell’esercito, ero un errore da nascondere.
Mia madre piangeva. Io scappavo di casa, anche se ovunque andassi, nei bar notturni o nei riformatori, rimanevo sempre prigioniera del mio corpo. Mi travestivo. Venivo arrestata e condannata.
Sono stata in ospedale, in manicomio, in galera. Ero ribelle, non piegavo la testa. Nelle carceri ho partecipato alle rivolte, sono stata torturata con l’elettroshock, picchiata, stuprata. Ho vissuto dentro a 24 galere.
Ho conosciuto Ghiani, Fenaroli, Valpreda, Curcio, Cutolo, tutta la storia d’Italia. Poi un giorno ho conosciuto Fortunato».
Fortunato Talotta ha 58 anni, viene da Reggio Calabria, è sottile come i suoi baffi, è mite, sa sorridere. Rubava nei treni e sui tram. «Alleggerivo la gente, poi venivano le guardie e a forza di carceri ho capito che mi stavo rubando la vita. Sandra l’ho conosciuta alle Murate di Firenze. Mi sono innamorato a prima vista.
L’ho aiutata a fare l’operazione a Londra, quando è diventata donna in tutto e per tutto, anche se per me lo era sempre stata. Come pegno d’amore mi sono fatto tatuare il suo nome sul petto. Nel 1983 ci siamo sposati con rito civile nel carcere di Sollicciano».
I radicali avevano appena vinto la battaglia della legge 164 che consente ai transessuali di registrare il cambio di sesso all’anagrafe, di «transitare», come dice Sandra che partecipò a quelle lotte, con Adelaide Aglietta e Gianna Parenti.
«Quel giorno finì la mia prigione. Ero finalmente intera. Riconosciuta. Fino a questa nuova ferita che mi ha inflitto il vescovo a nome di una Chiesa che dovrebbe anche essere mia. Prego Padre Pio, sono furente, ma sopporto. Non mi aspettavo né la ferita né il clamore».
Neanche monsignor Betori si aspettava di alzare tanta polvere senza riuscire a nascondercisi dentro. È abituato ai modi felpati di Camillo Ruini, l’ex presidente dei vescovi italiani, di cui per anni ha respirato l’ombra.
Invece dalla comunità delle Piagge sono partite mille email di protesta. Il digiuno a staffetta davanti alla curia. I cartelli: «Ridateci don Alessandro».
La fiaccolata in piazza. Le candele listate a lutto durante la messa e alzate proprio mentre lui dall’altare parlava di «vita prudente» e «obbedienza».
Quella sera lo aspettano fuori dal Duomo, sotto la pioggia. Lui arriva scortato da quattro uomini con l’auricolare, più uno per l’ombrello. È asciutto, fende la folla, si ferma. Una signora gli dice: «Ci restituisca don Alessandro, per favore». E lui: «Mi ha disobbedito».
Un’altra: «Don Alessandro mi ha insegnato a capire la catechesi, mi ha aperto gli occhi».
Il vescovo: «E lei pensa che un altro parroco non sarà capace di insegnargliela?».
Un uomo: «Eccellenza, ma perché prima di punire non è venuto a parlare con noi?».
E lui: «Lo avrei fatto se don Santoro mi avesse invitato, ma si vede che non ha mai trovato il tempo». Una signora, d’impeto: «Non è vero».
Brusio. Il vescovo si volta minaccioso: «Lei pensa che sia un bugiardo? Mi sta dando del bugiardo?». Silenzio.
«Il vescovo è un bugiardo», mi dice calmissimo don Santoro seduto in questa casa ghiacciata tra i boschi.
«Certo che lo avevo invitato, anche se lui adesso nega. Gli avevo anche raccontato, in una lettera del 9 luglio, che quel matrimonio era un atto dovuto a Sandra, a Fortunato e alla comunità.
Era troppo importante per tutti. Lo sapeva, ha aspettato che accadesse. Ora dice che la punizione è lieve. E dice che mi ha difeso, perché Roma voleva la sospensione a divinis».
Molti pensano (invece) che la curia abbia usato il pretesto del matrimonio per interrompere la sua predicazione di «povero tra i poveri», di prete che rinuncia alla congrua, fa l’operaio, si tiene solo 615 euro di stipendio per sé, il resto lo rimette in comune «perché la povertà è una profezia, vuol dire svuotarsi per contenere l’altro».
Dice: «Ora anche la comunità correrà pericoli». Quella delle Piagge è una delle esperienze più vitali cresciute nel deserto urbano delle periferie italiane, tra brutte storie di droga, emarginazione e disamori.
Sotto al suo tetto, in 15 anni, sono nati centri di ascolto, cooperative di lavoro, seminari di studio, laboratori, forme di aiuto per i disabili, gli anziani, gli ex detenuti, gli immigrati.
È nato il Social Forum e una delle prime banche del microcredito che ha investito 278 mila euro in 130 prestiti al tasso dell’1,5 per cento. Ha insegnato alfabeti, musica e dignità.
Spiegando che il destino degli uomini non è solo nelle mani di Dio, ma anche nelle loro, e che la carità è quasi sempre un ricatto destinato ai sottomessi. Probabile sia lo scandalo dei non più sottomessi a irritare la curia fiorentina.
Che ha impiegato 34 anni a sospendere il molto noto don Cantini, accusato di pedofilia, ma solo 24 ore per cancellare don Santoro e quel matrimonio d’amore. Dice Sandra: «Per me lo scandalo non può essere l’amore.
Ma per esempio vivere facendo cinque iniezioni di insulina al giorno, sopportare la malattia, avere 240 euro di pensione, e sentire il proprio vescovo che ti tratta come un mostro a tre teste. Propongo un patto a Betori: esco io dalla Chiesa come indemoniata, ma lui faccia rientrare Alessandro».
Dice don Santoro: «Questa Chiesa non riesco più a riconoscerla. Emargina, rimuove, impone. Si allontana dagli uomini e dai Vangeli dove il miracolo si compie nei tre imperativi incastonati nella parabola di Lazzaro. Se la ricorda? Togliete la pietra, dice Gesù. E lo dice al plurale perché non si può fare da soli.
Alzati e vieni fuori, cioè: afferra il tuo destino. E poi dice: scioglietelo e lasciatelo andare, che è il passaggio dalla morte alla vita, il viatico della libertà». Sorride, in questo freddo di penombra, perché sta parlando dello stesso bivio davanti al quale si è appena seduto. E noi con lui.