Eccessi: fanno male solo quelli del pride?
Riflessioni inviateci da Massimo Battaglio
Leggo un interessante articolo dell’amico Dario Accolla su gaypost.it in cui si parla degli “eccessi” di cui sono accusati i pride. L’autore, senza sviare dal tema, suggerisce però di considerarlo con uno sguardo più ampio. Chiede cioè di riflettere su tutte le volte che l’eccessività si presenta come dato culturale generale nella vita di oggi. Cita certe pubblicità che “assomigliano a un porno”; parla del bullismo contro le persone che non corrispondono a standard alla moda (“bambini obesi, ragazzine insicure o considerate brutte”). Accenna al femminicidio e all’abbandono di minori, ma anche al tifo calcistico o all’allegria con cui si accettano certi “complimenti” alle donne.
Mi domando quante volte, senza pensarci, cadiamo in eccessi anche nelle nostre pratiche religiose o nei nostri atti di fede.
E non parlo solo di certe “veglie di riparazione” contro i pride o di certe adunate più politiche che altro come i family-day e simili. E nemmeno di certe usanze liturgiche ai limiti del pittoresco ultimamente tornate di moda, come gli ingressi di vescovi in cappamagna o di parroci in mozzetta e tricorno. Del pari, non voglio accusare certe manifestazioni tradizionionali come le antiche processioni del sud. Su queste, esistono fiumi di letteratura seria che ne analizzano il valore sociale e antropologico, spiegando anche gli innegabili eccessi.
Gli eccessi di cui spesso non mi accorgo nemmeno io sono più quotidiani.
Per esempio: non è un po’ eccessivo il numero di ore dedicate dalla televisione alle nostre liturgie o a ogni singola dichiarazione del papa? Oppure, non siamo un po’ ridondanti quando seminiamo crocifissi nelle scuole, nei municipi, negli uffici postali come se fossero luoghi di preghiera? Obiezione: ma il crocifisso non ha mai fatto male a nessuno. Beh… magari lui no ma, vista la polemica che stiamo sollevando, noi, un po’ di fastidio, lo diamo. Possibile che la nostra fede abbia bisogno di questi supporti? Tanto più che il crocifisso non è un pupazzetto da appendere per decorazione. E’ il ricordo di un uomo e di un Dio ucciso ingiustamente su una tremenda macchina da tortura. Un po’ di sobrietà non dovrebbe suggerirne un uso più parco?
Dalle mie parti c’è un santuario che, a metà maggio, organizza una pomposissima processione. Quando ci sono elezioni imminenti, partecipa anche il sindaco; altrimenti no. Già questo mi fa dubitare che si tratti di un’espressione di fede piuttosto che di qualcos’altro. Ma il bello è che, in quell’occasione, la viabilità di un quartiere di 70.000 abitanti (il più popoloso della città) viene bloccata da un migliaio scarso di oranti che si esprimono con gesti che non capisce più nessuno. Non è un po’ eccessivo anche questo? Non varrebbe la pena studiare modalità comunicative in grado di essere comprese ed apprezzate?
E cosa dire dei funerali? Applausi come se tutti fossero eroi, bandiere di calcio sulle bare… non sono eccessi anche questi? Dei matrimoni non parlo, salvo ricordare che, trattandosi di sacramenti, andrebbero riservati a coppie di fede non dico provata ma almeno accennata. Altrimenti diventano superflui in partenza.
Spesso noi cattolici pensiamo di far del bene al mondo manifestando la nostra religiosità. Ma non ci accorgiamo che ci rendiamo semplicemente antipatici. Come quelli che “amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini” (Mt 6,5).
Viviamo tutti, noi compresi, in un’epoca che ama gli eccessi. Ma forse, prima di additare chiunque ecceda per qualcosa che non ci garbi, dovremmo innanzitutto distinguere ciò che è davvero eccessivo da ciò che semplicemente non capiamo (un bacio tra due donne che si amano non è mai un eccesso ma una manifestazione di gioia). E poi dovremmo imparare a dare testimonianza di sobrietà autentica; non solo a esigere dagli altri una sobrietà che sa di repressione.
“Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli”. (Mt 23,2-8)