Essere gay a Verona, dove l’albero non può amare la terra
Testimonianza inviataci da Nico di GabrielForum e del Gruppo Prendete il Largo, credenti LGBT di Verona
Pensando alle pagine della mia vita un ricordo particolare va agli anni della scuola elementare, una scuola statale di un quartiere benestante di Verona. Ricordo che l’insegnante mi adorava perchè ero un bambino sensibile, buono e gentile. Ciò creò le prime discriminazioni: ero il cocco della maestra, i miei modi erano gentili, non giocavo a calcio, ero un po’ gracile; tutto terreno fertile per essere preso di mira in modo insistente.
Tuttavia la prima vera botta mi arrivò con la scuola media dai salesiani. Un ambiente rigido, duro ma disattento verso le violenze psicologiche e non solo che si consumavano. Ci furono veri e propri episodi di bullismo nei miei confronti (da parte dei ragazzi più grossi) che non ebbi mai il coraggio di denunciare.
L’ambiente quindi era severo ma non formativo, una disciplina spesso sterile, fine a se stessa: gli insulti, le offese e la violenza nei confronti dei più deboli ne sono prova.
In sostanza sono stato chiamato gay, frocio, deriso, preso in giro, umiliato dalla prima media alla quinta superiore, senza che nessun insegnante o il preside prendessero iniziative in mio favore. Tutto gratuitamente, senza che avessi dato un motivo (ammesso che possa esserci) per scagliarsi contro di me.
Giunto alla maggiore età non ebbi il coraggio di parlare con nessuno dei miei dubbi sull’omosessualità. Avevo troppa paura e tanti anni di soprusi a scuola mi resero fragile, depresso e con l’autostima sotto le scarpe. A casa purtroppo non si parlava mai di affettività e sessualità; l’unica volta che ho parlato con i miei genitori dicendo loro che temevo di essere gay è successo un casino, motivo per cui non ho più proferito parola.
Sono stato indirizzato da psicologi e psichiatri i quali non capivano da dove arrivasse tanta sofferenza che cercavano di sedare e allo stesso tempo si proponevano di aiutarmi per cambiare orientamento. Cito alcune frasi che ho sentito in terapia: “l’omosessualità non esiste, ognuno è ciò che vuol essere, la chiesa non condanna l’omosessualità ma l’atto“.
Ho parlato anche con diversi sacerdoti qui a Verona, cercando conforto e comprensione; ma la sintesi dei discorsi era sempre quella: “omosessuale non piace a Dio, non è normale“.
Frequentai poi un corso sull’affettività per giovani promosso dalla diocesi di Verona nel quale venne speso del tempo per le cosiddette “deviazioni sessuali” . Venne dato molto spazio alla bizzarra teoria secondo la quale l’omosessualità non c’è in condizioni “normali” ma si sviluppa per alcuni fattori scatenanti: traumi, abusi, ferite, rapporti sbagliati con i genitori. Insomma per qualcosa che è andato storto. Alla fine c’era sempre il lieto annuncio: “tranquilli, si può uscirne“.
Non sapevo dove sbattere la testa, da chi potevo andare? Mi sono trovato in un circolo vizioso, ho vissuto meglio che potevo facendo volontariato, cercando di donare un sorriso nonostante tutto, ho coltivato parecchie amicizie, alcune autentiche anche se solo ultimamente ho provato a condividere la mia situazione con chi reputo in grado di capire. Le persone infatti troppo spesso risentono dell’ambiente in cui sono nate e cresciute. (Un piccolo esempio di come viene considerato ciò che è visto come diverso nella mia città).
Sono convinto che grazie a questo clima di intolleranza ci siano tantissime persone represse e nascoste per paura di essere pesantemente giudicate, condannate ed emarginate.
Il mio auspicio per Verona è che le persone riescano a superare almeno in parte il pregiudizio così saldamente radicato; tutti infatti abbiamo il diritto di vivere e non solo di sopravvivere. Spero che i cattolici attivi nel dire agli altri cosa si può fare e cosa no. Possano capire che nostro Signore guarda al cuore di ognuno, all’amore donato, non guarda quanti precetti biblici decontestualizzati presi qua e là abbiamo difeso nella nostra vita, ma quante volte abbiamo teso la mano verso i fratelli, verso chi soffre; l’amore donato gratuitamente, senza pretesa di cambiare l’altro.
Concludendo, non sono ancora in grado di capire se riuscirò a riemergere, se tanta sofferenza mi abbia segnato in modo irreparabile; il mio vuol solo essere un invito a non mollare, anche quando sei circondato soltanto da muri alti e interminabili.
Mi sovviene una frase di Ilaria Occhini tratta dal film Mine vaganti, che adoro, forse perchè con il mio piccolo carico che porto dentro, mi sento un po’ mina vagante: “scrivi di noi, la nostra storia la nostra terra, la nostra famiglia, quello che abbiamo fatto di buono e soprattutto quello che abbiamo sbagliato, quello che non siamo riusciti a fare perchè eravamo troppo piccoli per la vita che è così grande. Le mine vaganti servono a portare il disordine a prendere le cose e a metterle in posti dove nessuno voleva farcele stare, a sgominare tutto, a cambiare i piani.”
Ringrazio Dio per le persone che ha messo al mio fianco da qualche mese a questa parte.. Francesco, che per primo mi ha accolto a casa sua, alcuni preziosi amici del gruppo Kairos di Firenze, le suore domenicane, le persone conosciute grazie alla chat di Gabriel Forum, mio fratello e tanti altri. Mi stanno aiutando a capire che nel mondo c’è posto anche per me e che probabilmente vado bene così, non c’è niente di speciale che io debba fare per essere amato e per amare. Grazie