I gruppi di credenti LGBT, dinamiche e difficoltà
Riflessioni di Massimo Battaglio
In questi mesi ho avuto l’opportunità di conoscere molti gruppi di persone lgbt cristiane. Alcuni hanno una lunga e solida storia; altri stanno faticosamente nascendo.
Un’impressione molto bella che ho avuto è che nessuno di essi si pone con “polemica”. Nè nei riguardi della Chiesa, con la quale si cerca un dialogo molto franco ma costruttivo, nè nei confronti del movimento lgbt. Non esiste più quella presunzione di essere un’alternativa “sana” a una scena gay “malata”. E’ archiviata la pretesa di risolvere la propria sessualità “tra credenti”. Si è consapevoli che la nostra missione è di riflettere sul rapporto fede-vita, non di avere ricette sulla totalità dei problemi. Collaboriamo volentieri con tutte le altre associazioni, riconoscendo che ciascuna ha qualcosa di specifico da dare, anche a noi. Si propone la propria testimonianza alle comunità locali e non solo.
Ho visto però anche tante difficoltà, dovute non tanto alla fatica, alla mancanza di tempo, alla fretta. Più spesso, mi pare che, nei nostri gruppi, si trascuri il tema delle “dinamiche di gruppo”, cioè di quei meccanismi che, quasi inconsapevolmente, si instaurano in qualunque collettivo e ne segnano l’equilibrio e l’efficacia. Vorrei segnalarne qualcuna.
Le tappe di un gruppo
E’ possibile, è opportuno far interagire alla pari tutti i componendi di un gruppo? Nei gruppi è possibile la “pluriclasse”? Forse sì ma solo in alcuni momenti. Tra persone omosessuali, è ancora più difficile. Non è possibile imporre troppa visibilità, troppo stress, a un ragazzo che ha appena fatto coming out. Viceversa, non è sano reprimere l’entusiasmo, l’esuberanza di chi, liberato dai propri pregiudizi, vive giustamente nel pieno della propria fase di “orgoglio”. Parafrasando la psicologa Margherita Graglia, non si può comandare al sole di splendere prima dell’alba ma nemmeno di non brillare a mezzogiorno. Altrimenti ci troveremmo sempre in fase aurorale.
Le associazioni più solide sono quasi sempre organizzate “a tappe”. Prevedono gruppi di pura accoglienza, altri di piena formazione e altri ancora di “missione”. Non mancano i momenti di raccolta generale ma sono momenti organizzati e precisi. In questo modo è possibile un confronto trasversale ma anche una crescita tra pari. Il grande pedagogista Paulo Freire suggeriva, per progettare un buon percorso educativo di gruppo, tre momenti consecutivi: coscientizzazione, liberazione, umanizzazione di tutti. Secondo me ha ancora molto da dire.
I partecipanti: chi più indietro e chi più avanti
Spesso, i nostri gruppi aggregano individui diversissimi: alcuni molto avanti nel loro percorso, altri decisamente indietro. Sovente avviene che si aggreghino persone estremamente fragili. Talvolta qualcuno manifesta (e desiderano manifestare) veri e propri disagi psicologici.
Agli uni e agli altri conviene trovare un ruolo adeguato. Se si può chiedere all’ “attivista convinto” di mettersi a disposizione di chi è più debole senza “ergersi”, non si può non chiedere agli altri di mettersi in moto per quel che possono. Credo che, di fronte a manifestazioni di disagio che richiedono un sostegno particolare, professionale, la soluzione non è far finta di niente. E se all’interno del gruppo non c’è almeno uno psicologo disponibile, la risposta più corretta è quella apparentemente più dura. Toccherà avere il coraggio di dire al nostro amico: “possiamo offrirti tutta la nostra amicizia ma non siamo in grado di risolvere il tuo malessere”. Sarà utile indicargli un centro di counceling. Questa è accoglienza; il contrario è presunzione. E la presunzione fa male alla persona, prima ancora che al gruppo.
Questo vale per qualunque gruppo ma diventa vitale per gruppi che si occupano di argomenti delicatissimi come la sessualità e l’omosessualità.
Il complesso della “pecorita smarrella”
Soprattutto nei gruppi cattolici, si verifica spesso una distorsione non solo letterale della parabola della pecorella smarrita. Si individua un componente a cui appioppare la patente di “bisognoso” e ci si concentra sui suoi problemi (magari immaginari) trascurando quelli degli altri. Ho visto intere lunghe riunioni focalizzate su una sofferenza dichiarata da qualcuno. Con due conseguenze: tutti si sono sentiti messi da parte e il poveretto si è ben guardato da tornare. Chissà se adesso sta meglio.
Cari amici: è vero che il Buon Pastore lascia le cento pecore per occuparsi di quella perduta. Ma è anche vero che nessuno di noi, da solo, è il Buon Pastore! Siamo solo una di quelle cento. E attenzione: il pastore di cui sopra non fa fermare le pecore in un ovile provvisorio. Le lascia per un momento perché sa che continueranno a camminare.
Il mito della leadership
Per carità: non lasciamo che i nostri gruppi siano guidati dal più volenteroso! Solitamente, chi esprime grandi disponibilità di tempo e di organizzazione, ha qualche problemino. Ne so qualcosa: più volte mi sono offerto più del dovuto solo perché avevo bisogno di sentirmi stimato, di ricevere complimenti. E, con la scusa di servire il gruppo, mi sono dimenticato che il gruppo non è al mio personale servizio.
Lasciamo che le leadership emergano in modo naturale. Casomai, all’inizio, facciamo a rotazione. Poi, quando ci conosceremo meglio e saranno più chiare le competenze di ciascuno, distribuiremo gli incarichi. A tempo determinato.
Il mito del rispetto
Mi è capitato diverse volte di scontrarmi con le cosiddette “anime critiche” dei gruppi, che contestano tutto, che tendono a distruggere. Ho assistito addirittura a dichiarazioni come: “quelli come voi mi fanno schifo”. Avrei risposto volentieri: “e allora perché non vai nel gruppo di quelli a cui facciamo schifo?”. Ma ho notato che intorno a me valeva il mito del rispetto e quindi ho risposto in modo più sfumato. Rispettare le idee di tutti non vuol però dire lasciarsi denigrare. Per chi non condivide le finalità del gruppo, è davvero più onesto suggerire di partecipare a gruppi con altre finalità.
Sembrerà strano ma, specie in realtà come le nostre, il fenomeno dell’infiltrazione e, talvolta, del vero e proprio spionaggio sono più rilevanti di quanto si pensi. Non è complottismo ma esperienza: non è raro che, chi viene a seminare zizzannia, lo faccia, magari inconsapevolmente, su mandato altrui.