Essere un giovane cristiano gay. Il sentirsi accolti
Testimonianza di Andrea del Progetto Giovani cristiani LGBT, terza parte
Ognuno cerca dove può sentirsi a casa, perché, come dicevano gli alchimisti medievali, “simile scioglie il simile”. Così nell’autunno del 2010 bussai ad una porta che mai mi sarei sognato diventasse una seconda casa: il gruppo di omosessuali credenti de “La Fonte” di Milano.
Ricordo ancora, con viva emotività ancora oggi, i pensieri che mi si affollavano in testa, nel recarmi alla parrocchia ospitante il gruppo. Tra le vibrazioni del metrò e i volti anonimi che si affollavano silenziosi in un caldo autunno domenicale, mi ripetevo come un mantra: cosa-sto-facendo, torna-indietro, sto-sbagliando, come-saranno. Finalmente vedo all’orizzonte il piazzale della chiesa e un gruppetto di persone e mi chiedo: “saranno fatti così?”. Tornai a casa dal primo incontro con un cuore si tachicardico ma non più in stato di aritmia parossistica costante, ma sollevato, stracolmo di emozioni e con il desiderio di camminare verso nuovo ossigeno, nuovi battiti.
Oggi, il mio volto si apre ad un grande sorriso divertito, a ripensarci. La paura di presentarsi, la resistenza a parlare di sé, l’imbarazzo ad allacciare rapporti amicali, il dubbio se ritornaci ancora o meno, si dissolsero in poche settimane. Infatti, in questo gruppo, come in tanti altri successivamente, vidi e sperimentai una seconda famiglia, una vera home, un porto sicuro, una comunità autentica.
Mi sentii figlio perché incondizionatamente accolto, fratello perché ascoltato con empatia, parente prossimo perché condividevamo assieme una peculiarità fondante la Persona, amico poiché dignitario di spontanea confidenza e buoni consigli, compagno perché solidale e combattivo, fratello maggiore di chi sarebbe arrivato dopo, padre perché iniziavo a maturare una “buona idea” (cfr. canzone del bel Niccolò Fabi), discepolo perché parte di una comunità fraterna e sicura, chiesa perché vicino all’Amico-Gesù in un modo nuovo e completo.
Questo gruppo, insieme ad altri, è stato sale e luce: sale perché mi ha ri-permesso di ridare sapore alla mia vita personale, luce perché mi ha permesso di esserlo a mia volta per quanti il Signore mi pone accanto, ogni giorno, inaspettatamente. Infatti, una volta che uno ritrova il suo equilibrio psico-fisico e baricentro spirituale, anche grazie ai tanti testimoni che ho incontrato e a quante attività ho ricevuto in questi spazi, si può solo essere chiamati a fare una cosa: restituire.
Restituire quanto ricevuto alle tante sorelline e fratellini colorati che abbiamo, accanto o di passaggio poco importa, stando nella Chiesa; donandosi con spirito di servizio e semplicità evangelica all’Altro. Anche questa è una Voc-azione, concretissima: sentirsi chi-amati a studiare, condividere e lottare con le armi che Gesù ci ha insegnato e affidato (la preghiera personale, il perdono a partire dalle nostre comunità e il dono di sé nel mondo contemporaneo).
Dove posso Amare di più, dove è il mio tesoro più grande? Bene, li c’è il mio cuore, la mia pienezza… Ecco allora che riconosco il mio volto nell’altro e posso davvero seguire il Maestro.
Ma la “buona battaglia” la si combatte solo con Gesù accanto e guardandosi dentro in profondità e in tutti gli angoli, senza paura e senza sconti, facendo deserto e arrivando all’essenziale. Partendo da sé e arrivando al nuovo sè. Con ostinazione. E con pazienza. Un lavoro lungo, ma necessario.
Ogni volta che il mio Io personale/egoista muore, faccio spazio, sono più uomo e il mio amore non può che essere dilatativo, aperto verso (l’) Altro (persone, cose, eventi, situazioni). La nostra felicità ovvero Beatitudine si gioca tutta qui e ora, nel piccolo, preludio del Paradiso (etimologicamente, “giardino ombreggiato”). Questi aspetti, se ci si pensa bene, abbracciano anche i “non credenti”, donne e uomini di buona volontà, di ieri come di oggi, che sanno ancora indignarsi e lottare per una reale giustizia sociale degli ultimi (beninteso, ultimi agli occhi della società, ma non agli occhi di Dio-Padre, buono e misericordioso).
Sentire su di sé, e solo dopo far sentire agli altri, il disarmante e misterioso Amore incondizionato di Dio per tutte sue le creature è una esperienza liberante e liberatoria, premessa di salvezza del singolo e annuncio del Regno per gli altri.
L’immagine simbolica della madre rende bene l’idea: lei ci ama nonostante tutto, e cosi noi persone LGBT siamo chiamati ad andare (e stare) verso quanti si sentono feriti dalla vita, a tutti i livelli, e a volte ancora oggi, dalla Chiesa di Cristo. Non c’è altra pedagogia, non c’è altro metodo o pastorale: Dio agisce cosi. È semplice.