Il mio erotismo e la mia fede di credente queer
Testimonianza della professoressa Su Yon Pak dell’Union Theological Seminary di New York (Stati Uniti) pubblicata dal progetto Queer Faith il 12 marzo 2019, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Sono un’immigrata, vengo dalla Corea e fin da piccola ho scoperto il potere del linguaggio al di là di ciò che si dice o si scrive. Non capivo nemmeno una parola d’inglese e ho dovuto imparare in fretta il linguaggio dei corpi, il modo in cui i corpi “parlano” in classe, per strada, nel parco giochi.
La mia fede presbiteriana, che è al tempo stesso radicata e in contraddizione con la tradizione confuciano-buddhista, si fa comunione attraverso il linguaggio del corpo. La maggior parte delle cose non posso esprimerle con il linguaggio. La mia fede vive negli interstizi del mio corpo. Nella melodia di un inno famigliare, nei desideri febbrili, nelle fredde sicurezze del cuore, nelle usuali prostrazioni di rispetto di fronte agli antenati, nelle lacrime ricolme di Spirito, il mio corpo era/è il contenitore che ha custodito e nutrito la mia fede.
Essere queer è così: significa vivere la vita nel mio corpo nell’autenticità e nella verità, rifiutando l’aut-aut binario, sono i miei desideri erotici e la mia fede che pregano insieme in lingue, con una logica tutta loro. Se ci mostriamo pienamente per come siamo, al tempo stesso queer e credenti, mettiamo in pratica la leitourgia, l’opera pubblica del popolo credente. In famiglia, dal pulpito, in classe, in pubblico, nei movimenti e nelle associazioni ci mostreremo per essere presenti, per essere viste e per contare.
Volete unirvi a me in questa sacra liturgia?
Testo originale: DR. SU YON PAK ’99