Il mio migliore amico è gay. Cosa posso dirgli per rassicurarlo?
Email inviataci da Marcella risponde Gregorio Plescan, pastore valdese
Sono una ragazza, ho 17 anni e vivo in una piccola città del sud. Alcune settimane fa il mio migliore amico mi ha confessato di essere gay. La cosa all’inizio mi ha sconvolta, ma superato il mio stupore iniziale ho visto che la nostra amicizia non è cambiata, anzi ora è più forte di prima. Tra le tante cose che il mio amico mi ha raccontato mi ha rattristato scoprire che teme di essere allontanato dalla sua parrocchia, dove è catechista, se si venisse a sapere che lui è gay. Mi dispiace vederlo abbattuto per questo, ma non so cosa dirgli … ma veramente la chiesa cattolica c’è l’ha così tanto con gli omosessuali? Cosa posso dirgli per rassicurarlo?
Marcella
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La risposta…
Cara Marcella, innanzitutto grazie per il gesto che hai compiuto e il cammino che stai percorrendo con il tuo amico: certo tu sei la sua migliore amica! Aprire il proprio cuore a qualcuno è sempre difficile e penso che farlo con una persona dell’altro sesso e nel contesto di una cittadina sia ancora più difficile … insomma, mi pare che viviate una relazione davvero preziosa e profonda!
Innanzitutto penso che il tuo amico non debba necessariamente sentirsi moralmente costretto a fare il suo coming out nei confronti di tutti e soprattutto non nei confronti di chi può non apprezzarne la sincerità, ma approfittare per giudicarlo e farlo sentire male. Capisco l’entusiasmo di voler affermare che uno è com’è e non lo deve per forza negare … ma la dignità di come si è non dipende dall’approvazione degli altri, ma piuttosto dalla scoperta di poter vivere bene con sé stessi.
Non è l’eventuale benevola approvazione della chiesa che rende il tuo amico – né tu, né io, né nessun’altra o altro – importante, ma il suo proprio cammino, anche accompagnato da amiche accoglienti come te. Ma gli amici e le amiche si scelgono, non ci possono venir imposti!
Io non sono cattolico e forse questo mi rende poco adatto a rispondere alla seconda parte della tua mail, però non capisco perché le persone si ostinino a desiderare un riconoscimento da una struttura (e uso questa parola senza malizia, ma semplicemente come constatazione) che non solo non li riconosce, ma semmai lo farà un giorno sarà a caro prezzo, vale a dire a costo di mantenervi nel bisogno di una apprezzamento altrui.
La chiesa cattolica è così: uno può anche fare la sua personale scelta, convincersi che il parroco con cui può dialogare sia importante per la sua storia di vita – ma è un po’ singolare far finta che il papa o il Catechismo non abbiano un’autorevolezza incomparabile all’interno del cattolicesimo romano.
Scrivo questo con tutto il rispetto e l’affetto che ho per molti preti e frati che conosco e soprattutto non voglio affatto dire che altri (per es. i valdesi…) siano migliori: piuttosto non è possibile non riconoscere che la gerarchia e l’obbedienza a principi che vengono dall’alto e non necessariamente dalla tua storia con Dio sono costitutivi del cattolicesimo romano, non deviazioni passeggere.
Io penso invece che la fede sia una relazione personale con Dio, che è ha assunto un volto concreto in Gesù e non debba per forza corrispondere a un determinato modello di chiesa, anche se quella è la più “abituale” per gli italiani. Io direi al tuo amico di continuare a fare il catechista, se quello è il modo in cui lui è appagato nel vivere la sua fede – ma non dimentichi nemmeno che la chiesa cattolica romana è proprio come lui teme che sia.