Il neuroscienziato Pietrini: «Omosessualità, i geni possono predisporre»
Intervista di Luciano Moia pubblicata su Avvenire il 6 settembre 2019, pag.12
«Per gli antichi greci le persone con i capelli rossi, una volta morte, diventavano vampiri. Nel Medioevo i ‘rossi’ erano frutto di rapporti avvenuti quando la donna era mestruata. E i mancini? Solo fino a pochi decenni fa venivano ‘corretti’ a scuola, obbligati ad indossare un guantino per impedire loro di impugnare la penna. Oggi le moderne tecnologie di neuroimmagine ci dicono che destrimani e mancini hanno una diversa specializzazione degli emisferi cerebrali. Forzare un mancino a diventare destrimane è una vera e propria crudeltà. Un atto contro la sua natura. Le cose stanno sostanzialmente nello stesso modo per quanto riguarda l’omosessualità. Le persone omosessuali diventano tali attraverso lo stesso processo naturale per cui gli eterosessuali diventano eterosessuali. E questo processo, quindi, non è contro natura».
Parte da lontano Pietro Pietrini, neuroscienziato, psichiatra, direttore della Scuola IMT Alti Studi Lucca, per approfondire il senso della ricerca sui ‘geni dell’omosessualità’. Certo, il collegamento ‘rossi-manciniomosessuali’ fa riflettere. Identici meccanismi di rifiuto sociale nei confronti della diversità. Identica discriminazione. «Ma di fronte ad ogni fenomeno naturale lo scienziato è portato per sua natura a chiedersi il perché. Quindi inevitabile chiedersi perché in natura esistono omosessuali, quando sappiamo che la procreazione tra due individui di sesso diverso è conditio sine qua non per la perpetuazione della specie».
Appunto professore, la scienza cosa ci dice al riguardo?
Sappiamo che le teorie sulla genesi dell’omosessualità sono tante. Non dobbiamo dimenticare che i meccanismi di selezione naturale portano a vantaggi complessivi per l’evoluzione, non necessariamente per il singolo. Alcuni studi per esempio hanno mostrato che le mamme dei gay sono più fertili, hanno meno aborti spontanei. Creare diversità e lasciar fare ai meccanismi di selezione naturale è caratteristica fondamentale dei processi di evoluzione.
Nella ricerca coordinata da Ganna, si dice che i geni potrebbero determinare al massimo il 25% della variabilità nell’orientamento sessuale. Il resto sarebbe determinato da fattori culturali e ambientali. Un quadro credibile?
Sì, questa terminologia riflette la complessità nella genetica. In alcuni casi un certo fenotipo può essere determinato da un singolo gene, in altri invece una combinazione di geni diversi può solo condizionare la possibilità che quel fenotipo si manifesti in relazione ad altri fattori ambientali. Quindi la componente genetica da sola non è sufficiente perché compaia quel fenotipo. Non esiste dunque alcuna differenza genetica rilevante tra eterosessuali e omosessuali che possa essere predittiva dell’orientamento sessuale.
Perché allora siamo diversi?
Come essere umani abbiamo tutti lo stesso genoma con circa 22mila geni, ma su questi insistono decine di milioni di varianti genetiche. Basta una variante in una piccola sequenza del Dna e si manifestano le diversità. In alcuni casi, la variazione anche di una sola lettera del Dna può causare una patologia, quelle che chiamiamo appunto patologie genetiche.
La scienza ha escluso però da tempo l’omosessualità tra i disturbi del comportamento.
Infatti, per capire le genesi dell’omosessualità dobbiamo uscire dalla patologia ed entrare nelle varianti normali. Ecco perché parliamo di fattori genetici di suscettibilità. La ricerca di Ganna ribadisce, con un fondamento statistico importante, ciò che era noto da tempo. Non c’è un singolo gene che, trovandosi in una variante diversa, determina l’omosessualità. Esistono varianti genetiche che, tutte insieme, modulano la possibilità che una persona sia omosessuale oppure eterosessuale. Non determinano l’orientamento e non sono condizione né necessaria né sufficiente per diventare omosessuali. Ma, combinandosi con fattori ambientali, culturali ed esperienziali, pongono le premesse perché questa possibilità si verifichi.
Capita la stessa cosa per altre cosiddette diversità?
Sì, questo è tipico dei comportamenti complessi. Guardiamo ad esempio al comportamento sociale e antisociale. Non esiste un gene della criminalità ma ci sono geni che, nell’individuo esposto a diversi fattori ambientali, possono aprire la strada a comportamenti criminali. Non c’è dicotomia tra genetica e fattori culturali e sociali. Esiste un dialogo continuo in entrambe le direzioni. Esistono determinati geni che rendono l’individuo più permeabile all’interazione con l’ambiente. Ad esempio, chi è cresciuto in un ambiente degradato e violento, e ha determinate varianti genetiche, ha una probabilità maggiore di diventare un adulto violento o impulsivo. Alcuni geni di suscettibilità rendono più vulnerabile l’individuo, poi il resto lo fanno l’interazione con l’ambiente, le esperienze, i traumi vissuti, le relazioni.
Nella ricerca si dice anche che l’assenza di segnali genetici forti, tali comunque da escludere la possibilità di determinare da soli in modo significativo l’orientamento sessuale, non significa che tutto sia affidato a una scelta individuale. Come si conciliano queste due sottolineature?
Lo studio ha stimato la ‘responsabilità’ dei geni per il 25%. Tutto il resto è affidato a questa grande complessità. Noi non possiamo scegliere il nostro orientamento. Al massimo possiamo scegliere di ‘reprimere’, come appunto in passato hanno fatto tanti omosessuali. L’orientamento sessuale – sia in senso etero sia in senso omosessuale – è frutto di una maturazione pulsionale che vede fattori genetici combinati, come detto. a esperienze, relazioni, situazioni. E alla pubertà, così come l’eterosessuale si accorge di provare attrazione per persone dell’altro sesso, l’omosessuale prova la medesima pulsione per persone dello stesso sesso. Certo, in questa scelta siamo sempre e comunque condizionati dal nostro assetto genetico, culturale e relazionale.
Quindi, per escludere ogni dubbio, nessuno ‘sceglie’ di diventare omosessuale?
Posso scegliere di ‘non essere’ quello che sono (omosessuale) ma non posso forzarmi di essere quello che non sono. Ma se scelgo quello che non sono – sia omosessuale che eterosessuale – questa scelta rischia di essere pagata a caro prezzo. Quando ci si sforza di tacitare pulsioni che sono radicate nella persona, è quasi inevitabile lo scatenarsi di sofferenze che diventano anche traumatizzanti. Proprio perché la nostra volontà va ‘contro natura’.
SCHEDA> Tante idee per spiegare la «non conformità»
A lungo gli addetti ai lavori hanno spiegato i tratti omosessuali come «non conformità di genere». Si riteneva che l’omosessualità fosse conseguenza di un arresto dello sviluppo psicosessuale, cercando di dimostrare il ruolo di
contesti infantili negativi e traumatici.
Lo psicanalista Vittorio Lingiardi, nella prefazione al saggio di Simon LeVay, “Gay si nasce? Le radici dell’orientamento
sessuale” (Cortina, 2015) ricorda tra le altre cause «attaccamenti morbosi alla madre, padri troppo assenti, regressione
narcisistica allo stato dell’autoerotismo, fissazione pregenitale». Con queste spiegazioni, spesso senza fondamenti, c’è voluto poco – argomenta l’esperto – per «trasformare una scelta oggettuale in una patologia». La verità, come è stato
argomentato da decine di altri studiosi, è ben diversa. «Ogni orientamento sessuale, omo e etero – osserva ancora Lingiardi – è così complesso che nessun fattore può essere completamente responsabile». Più saggio pensare a una interazione tra biologia, ambiente, società ed esperienze.
Nei numeri la complessità di genere
22mila I geni di cui ciascuno di noi dispone. Le diverse combinazioni possono dare luogo a decine di milioni di varianti
22% Fratelli di omosessuali che manifestano orientamento omosessuale. Tra i fratelli di eterosessuali solo il 4% è omosessuale
25% La variabilità dell’orientamento sessuale causata da interazioni genetiche. Ambiente ed esperienze peserebbero quindi molto di più