Il sesso e il corpo. Il contocircuito della sessualità in un cristiano queer
Riflessioni di Jarell* pubblicate sul blog Jarellwilson (USA) il 15 dicembre 2015, liberamente tradotte da Silvia Lanzi
Ricordo il mio coming-out con i miei migliori amici del college cristiano che frequentavo. Ricordo dov’eravamo e cosa stavamo facendo. Ricordo lo sguardo sui loro visi quando ho detto quelle parole – la maggior parte di loro sorrideva. Praticamente tutti hanno fatto un sospiro di sollievo, perché avevano paura che dicessi loro che avevo un cancro, che i miei genitori stavano morendo o qualcos’altro di terribile.
Devo essere sembrato pietrificato, e di solito la paura non è un’emozione che mostro. Ricordo che il mio padre spirituale sorrise e mi disse: “Sai che ti vorrò sempre bene, siamo fratelli”, il mio compagno di stanza mi ha detto: “Oh, lo sapevo già, non mi importano queste quisquilie” e uno dei miei amici più cari non mi ha più parlato. Ci ho pianto più di quanto voglia ammettere.
Fare coming-out al con i cristiani etero è sempre imbarazzante, perché quando lo faccio sono sempre tentato di dire, per prima cosa “Però non faccio sesso”, perché è vero. Non faccio sesso. Se la mia vita sessuale potesse essere descritta come un paesaggio sarebbe una terra arsa e desolata e il deserto del Sahara non sarebbe così arido e assetato come la mia vita amorosa.
Nulla spaventa le persone queer come un’altra persona queer che va in seminario e, se essere nero e queer non fosse abbastanza, sono anche seminarista. Sono un queer-che-scoraggia-gli appuntamenti, come un repellente per zanzare scoraggia fli insetti molesti. Secondo, lotto con sentimenti indesiderabili. Ultimo, il bagaglio che mi porto dietro come alunno di una scuola cristiana è molto pesante.
Fare coming-out quando si è queer e cristiani, è una lotta per varie ragioni, ma la ragione principale non ha tanto a che fare con quello che dico quanto con quello che gli altri pensano. Ricordo, dopo le risposte iniziali che pensavo, ancora tra le braccia dei miei amici: “Ecco, adesso crederanno che vado a dormire in giro”. Mi disturbava molto quello che i miei amici pensavano di me, anche se era un residuo della mia educazione conservatrice o solo la paranoia sempre presente su come gli altri mi vedevano.
Ma, da quando ho finalmente rotto il silenzio opprimente che mi circondava, e mi sono pian piano rivelato al mondo come sono davvero, sono stato sempre più a mio agio con chi ero e chi volevo diventare. Con alcuni vecchi amici non mi preoccupo nemmeno di fare coming-out, do per scontato che l’abbiano già capito. Mi piace ballare le canzoni di Beyoncé, soprattutto quelle di B’Day, rido a voce più alta di prima, piango apertamente semza cercare di nascondere le lacrime per sembrare più macho, e parlo più apertamente di sesso… anche se non lo pratico. Però è difficile trovare un posto dove essere talmente a mio agio con me stesso da non preoccuparmi di cosa pensano gli altri.
Una cosa che ho imparato dei cristiani, se fai coming-out con loro, è che sentono di avere il bisogno di confessare i loro peccati, e sentono di essere più onesti sulla loro vita sessuale; ho dovuto educare molti più etero di quelli che avrei ritenuto possibile sull’uso del preservativo, ho recevuto confessioni su aborto, sesso extraconiugale, pensieri sporchi e così via, e quello che ho capito è quanto la Chiesa abbia bisogno di iniziare a parlare di sesso.
Non stando sul pulpito e sputando gli stessi controsensi che continua a dire da quando un segmento della comunità cristiana ha deciso di farlo diventare l’argomento centrale della fede dei tardi anni ’80. Voglio dire un dialogo vero e franco con Scritture e scienza e le nostre esperienze sul sesso, su cosa significa e su quando dovremmo farlo. Specialmente su cos’è una sana vita sessuale.
Il matrimonio non è una cura per la lussuria umana, non è una promessa di immediato benessere sessuale, e anche le persone sposate hanno bisogno di sapere come vivere una sana vita sessuale. La Chiesa sta facendo un enorme disservizio perché non riesce ad essere un posto dove le persone possono portare davvero tutto quello che sono e che hanno dentro, dove possono essere oneste e vulnerabili, perché non riesce ad essere un luogo dove tutti possono crescere – il rifiuto della Chiesa di parlare della sessualità umana non ferisce solo le persone queer, ma anche quelle etero.
La paura di discutere del sesso non ha niente a che fare con il sesso stesso, ma con la paura della vulnerabilità. Il dono che il nostro essere queer porta alla cristianità è quello della vulnerabilità, che spazza via le pretese, rischia la vergogna, supera la paura di costruire relazioni che sono più forti e sane proprio a causa della reciproca debolezza. Che è proprio come il sesso, in cui le parti devono rischiare, abbandonare le proprie pretese, rischiare la vergogna, superare la paura e sopportare ogni cosa per costruire relazioni più forti di quel che erano prima.
Non vale nemmeno la pena avere relazioni senza essere vulnerabili, ma succede che siano anche le più difficili da mantenere perché amare qualcuno gli dà il potere di ferirti. La vulnerabilità mette in mano all’altro una pistola carica di tutte le tue insicurezze e puntata verso di te, mentre speri che la persona che impugna tutto ciò che ti fa pauta scelga di non ferirti. Comunque gli dona anche tutti i tuoi lati positivi, permettendogli di vedere la tua bellezza, la tua intelligenza, i tuoi doni e il tuo potenziale e credi che il conoscere tutte queste cose permetterà alla persona in questione di tirartele fuori nel miglior modo possibile, come tu fai con lei.
Come il sesso, questo affidamento reciproco crea un luogo dove le parti possono essere felici, come il sesso può andare male, si può essere egoisti e rovinare tutto, è un rischio – ma un rischio che vale la pena di correre. In tutte le situazioni rischiose c’è una possibilità di crescita, una possibilità di diventare migliore di quello che eri prima.
* Questo post fa parte del Queer Theology Synchroblog, il cui tema di ques’anno è il sesso e il corpo… di cui è imbarazzante scrivere.
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Testo originale: Sexuality & Vulnerability