Io, credente omosessuale, e il ‘’mio’’ Vescovo. Un incontro atteso da sempre
Testimonianza inviataci da Roberto
Una volta chiesero ad un Vescovo, vicino ai gruppi di credenti, omosessuali quanti gay avesse conosciuto “pienamente” nel corso del suo ministero. E lui scusandosi confessò che purtroppo erano stati “solo tre”. Questo per dire come molti Vescovi di persone omosessuali e di omosessualità sanno poco o nulla, se non quel poco che gli arriva dai giornali e dai documenti della chiesa cattolica. Ma negli ultimi anni qualcosa è cambiato, sempre più spesso singoli o gruppi di credenti omosessuali vanno ad incontrare i loro Vescovi, per fargli conoscere le loro storie, i loro volti, cosa pensano e cosa si aspettano come credenti e omosessuali dalla loro chiesa. Questa è la storia dell’incontro, atteso da sempre, di Roberto con il “suo” Vescovo.
Sul treno riflettevo su cosa avrei dovuto dire e chiedere al Vescovo. Mi era stato consigliato di essere solo me stesso. Avevo deciso, infatti, nell’affronto di certe questioni, di partire dalla mia vita, dal mio percorso di ricerca umano e dal rapporto col mio compagno.
Avevo portato con me una lettera in cui formulavo dei quesiti e alla fine dell’incontro l’avrei consegnata nelle sue mani. Partivo fiducioso, avevo già avuto con lui uno scambio di corrispondenza che mi spalancava ad una aspettativa positiva.
Per me, inserito nella realtà ecclesiale locale, essere accolto, potermi raccontare e confrontarmi con un vescovo era estremamente stimolante ed importante. Tutto il mio percorso umano, in fondo, è stato finalizzato a potermi sentir dire un giorno: “Sii in pace con te stesso e vivi secondo come ti è stato dato di vivere”.
Certe persone dicono che la Chiesa non modificherà mai il suo giudizio sull’omosessualità; io credo, invece, ad un mutamento lento che in futuro non potrà prescindere dalle attuali conoscenze scientifiche e da un nuovo approccio con le Sacre Scritture.
Certo, occorrerà del tempo, ma sarà inevitabile, prima o poi, un approccio nuovo, più prudente e sereno con la realtà omosessuale: se non avessi avuto questa speranza, non avrei potuto intraprendere un viaggio di circa 900 km per un colloquio durato poco più di un’ora. Mentre viaggiavo, questi ed altri pensieri si accavallavano ordinati nella mia mente.
Prima dell’incontro, ritenni opportuno confrontarmi col responsabile del gruppo credenti del posto e chiedergli qualche consiglio sulla modalità dell’approccio e, soprattutto, se avessi potuto accennare alla realtà del loro gruppo di omosessuali credenti e proporre al vescovo un eventuale incontro.
La mattina successiva, prima di recarmi all’appuntamento, sostai in preghiera nel duomo e chiesi al Signore, con il cuore, che tutto ciò che stava per capitare fosse fruttuoso per me, per noi, per tutti, ed aprisse uno spiraglio ad un dialogo costruttivo.
Non feci anticamera, fui introdotto dal segretario direttamente nella stanza preposta ed il vescovo sopraggiunse di lì a poco: ebbi la netta percezione che mi stava aspettando e ne fui estremamente contento. Ero a mio agio e questo favorì un colloquio sereno ed amicale che durò ben oltre il tempo stabilito.
Mi chiese del mio impegno ecclesiale ed io raccontai del mio ritorno alla fede, della mia caritativa, della mia passione per i presepi nata dopo il mio pellegrinaggio in Terra Santa.
Non mi posi in atteggiamento di sfida o come chi va a confrontarsi con la controparte, sollecitando rivendicazioni varie. Raccontai di me stesso. Solo ed esclusivamente di me. Lui, da parte sua, fu semplice, paterno, accogliente e attentissimo.
Prese almeno due pagine di appunti sulla sua agenda mentre parlavo e cercavo di introdurlo alla realtà di un mondo che non sempre si conosce e rispetto al quale si nutrono infondati pregiudizi.
Un dialogo aperto, ad ampio raggio, un continuo confronto, un incontro intenso: questa fu la sensazione che mi pervase per tutto il tempo che trascorsi con lui. Notavo palesemente nel suo atteggiamento un sana richiesta ad essere aiutato a capire e, al volo, la colsi.
Ci confrontammo, inevitabilmente, sul concetto di natura cosi come è inteso dalla Chiesa; sottolineai come una persona omosessuale “non sceglie” ma può solo riconoscere, accettare e comportarsi, in base a ciò di cui si sente costituito.
Ci soffermammo, successivamente, sulle cosiddette “terapie riparative” e a tal proposito raccontai dei miei falliti tentativi di voler negare una realtà che nel tempo diventava sempre più chiara ed evidente.
Accennai all’insegnamento della Chiesa che riteneva il rapporto coniugale unicamente finalizzato alla procreazione e che solo negli ultimi tempi è stato valorizzato come segno dell’amore di Dio e strumento per rafforzare il legame affettivo.
Parlammo senza remore del rapporto affettivo, del legame tra un uomo e donna, del loro compito specifico nell’accoglienza della vita e nella educazione dei figli e della differenza tra questo legame e quello tra due uomini o due donne. Due relazioni diverse ma figlie dello stesso Dio.
Discutemmo anche di certe manifestazioni di esibizionismo e di attacco alla Chiesa che spesso sono di ostacolo a quella possibilità di conoscenza e di dialogo tanto auspicato e tenni a puntualizzare che non si deve generalizzare, che il mondo omosessuale è molto variegato, e che a volte certi tipi di manifestazioni esigono di essere viste come chi pone delle domande che sollecitano risposte.
Altro tema importante che affrontammo fu la promiscuità ben nota sia nelle coppie etero che in quelle omosessuali, una realtà, disse il vescovo, che non è solo segno di fragilità di rapporti, ma segno che tutto è vissuto in una semplice espressione di appagamento egoistico.
A questo punto colsi l’occasione per parlare del rapporto col mio compagno, un legame fatto di sostegno, fedeltà, condivisione e tenerezze. (L’aver saputo che anche nella nostra realtà è possibile vivere un bel rapporto d’amore, credo che lo avrà fatto riflettere).
Un tema che non poteva sfuggire al colloquio, ruotò intorno al magistero della Chiesa, su certe affermazioni che continuano a provocare sofferenza e sulla necessità di vedere la Chiesa innanzitutto come madre che accoglie.
Accennai, a tal proposito della costituzione di tanti gruppi di omosessuali credenti che dentro le loro comunità vivono il percorso di accettazione e di cammino spirituale, ma anche di amicizia e sostegno alla vita.
Alla fine dell’incontro, chiesi al vescovo se il nostro dialogo sarebbe potuto continuare. Lui rispose di si. E disse anche che si rendeva disponibile ad incontrare il gruppo di omosessuali credenti del posto. Chiesi allora di essere benedetto e lui mi benedì. Tornai a casa mia, sereno.
Sono passati alcuni mesi da quell’incontro e mi chiedo ancora se quell’incontro ha risolto tutto, se tutto si è appianato. Sarebbe sciocco pensare che è cosi. Non è ancora così.
Quale sviluppo potrà avere oggi quell’incontro? Quale utilità per me e per tutti noi? Non ho risposte certe a queste domande, adesso riesco solo ad osservare un mutamento lento di atteggiamenti e a riconoscere che oggi il mio cuore è più libero e in pace.