La mia danza con Dio. Pensieri su un corpo e un’anima in transizione
Riflessioni di Emily Rintoul pubblicate su Queer Theology sychroblog (USA) il 16 dicembre 2015, liberamente tradotte da Benedetta Protano
Il corpo è il vaso dell’anima. Tommaso d’Aquino ha tenuto un dibattito molto interessante dal quale è emerso che senza un corpo, un’anima è incompleta. Un’anima, secondo lui, non è una persona in sé, l’anima si realizza quando è in unione con il corpo. L’anima senza il corpo non ha modo di sperimentare la parola. I nostri corpi sono essenziali non solo per la nostra abilità di vivere il dono del mondo di Dio, ma anche per compiere il lavoro di Dio. Il mio corpo può inginocchiarsi in preghiera e lasciarsi andare nell’acqua del mare che arriva in profondità sotto la mia pelle. Il mio corpo può poggiare le mani su quelle che soffrono, il mio corpo può testimoniare la guarigione di un altro. Il mio corpo può accogliere un altro con calore e ospitalità.
Il mio corpo è un dono di Dio e io provo ad amarlo nel migliore dei modi possibili, ma il mio corpo è omosessuale. Il mio corpo è omosessuale in una cultura che rifiuta di riconoscerlo. Ogni volta che devo scegliere in quale bagno entrare oppure quando devo selezionare una casella, mi viene in mente che la mia cultura non ammette il mio corpo come il recipiente che è, per un’anima che rifiuta di essere etichettata come maschio o femmina.
Tale cultura definisce la mia identità dalla forma del mio corpo, dagli organi che mi porto addosso. La mia omosessualità, di un genere e di una sessualità che si rifiuta di essere qualsiasi cosa tranne che instabile, è parte del mio corpo, eppure vengo respinto dagli amici e dalla società. Perché loro credono che trasformo la realtà, che voglio solamente attenzione, che sono confuso. L’unica cosa che sto trasformando è il mio viso con un rossetto color perla. Voglio attenzione, sì. Voglio che la gente veda chi sono realmente e che riconosca la mia vera natura omosessuale. L’unica cosa sulla quale sono confuso è il motivo per cui la gente insista nel decidere al mio posto, quale sia la mia realtà. Credetemi, abbiate pure domande e curiosità su tutto ciò che riguarda l’omosessualità, ma non sono confuso sul fatto di essere omosessuale a tutti gli effetti.
Ultimamente ho riflettuto sui modi giusti per entrare in maggiore sintonia con il mio corpo, per entrare in sintonia con il modo in cui voglio che il mio corpo sia. Per farla breve, ho pensato di continuare con T, di testosterone. Ho immaginato quali strani suoni potessero uscire dalla mia gola, come la mia carne potesse poggiarsi diversamente sulle mie ossa. Dovrei seguire questo percorso? Sarei attraente? Sarei ancora in grado di inseguire le mie passioni? Queste sono le domande che mi saltavano e mi ronzavano nel cervello quando vedevo qualche uomo vestito di tutto punto che camminava in città. Io volevo vestire come loro e avere un corpo che si adattasse a quei vestiti lì. Ammetto l’idea che la strada che Dio mi ha disposto potrebbe non essere facile. Ammetto di avere dubbi e di non avere tutte le risposte. In ogni modo, sono disposto a riconoscere che l’alchimia del mio corpo è giusta, per me e per Dio.
Ma noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché l’eccellenza di questa potenza sia di Dio e non di noi stessi (2 Corinzi 4:7).
“Skeuoß” è la parola greca per vaso e la stessa usata nei Corinzi. Era una metafora comune in Grecia, il vaso di creta inteso come corpo-recipiente per l’anima immortale. Mi chiedo come una luce così splendente possa essere contenuta in un vaso tanto permeabile.
Nel corso degli anni ho lavorato con la creta. Mescolandola, modellandola, stendendola, spalmandola, sgretolandola per caso o per uno scopo. E’ un dono affondare le mie dita nell’appiccicosa creta rossa, farla rotolare in qualunque cosa possa immaginare il mio cervello. Penso al mio raccoglitore, al mio bottone sulle camicie e le cravatte, e agli ormoni. Penso a modellare me stesso, così il mio vaso può essere in pace con la mia anima. Mi viene in mente Kintsukuroi, l’arte di aggiustare con l’oro i vasi frantumati. Mi chiedo se posso aggiustare me stesso in qualche maniera con dell’oro magnifico. Mi chiedo se sono frantumato tanto da dover essere aggiustato.
E’ stato detto spesso, e non mi soffermerò qui nei dettagli, che il problema con i Cristiani è che noi percepiamo il nostro Dio come un essere che è al di sopra ed esterno a noi. Ripenso a quel verso nei Corinzi. Credo che Dio sia presente nei nostri corpi. Il mio corpo inteso come contenitore di Dio, un involucro di grazia. Che cosa significa portare quella luce dentro di me? Come brilla quella luce attraverso di me?
Di recente l’unica volta in cui mi sono sentito davvero in pace con me stesso è stata quando danzavo da solo in una stanza con della musica pop molto tranquilla. Sentivo i miei tendini distendersi e i miei muscoli essere in armonia con le mie ossa, sentivo un sorriso attraversare il mio viso. Tutto questo nei pochi momenti in cui non avevo pensieri, solo sensazioni. In quei momenti il mio corpo non viene classificato o legato da costruzioni sociali. Il mio corpo si muove e basta. E’ la sensazione più vitale della vitalità in persona, e di questo io ne sono grato.
Mi piace pensare che in quei momenti c’è il mio Spirito Santo, la mia Pentecoste personale. La parte più eccentrica della Trinità è quella alla quale mi sto avvicinando come l’anno giunge al termine. Quello spirito di fuoco che scende tremolante dopo il buio, mi invita a far festa nella gloria di Ogni Cosa, mi invita a pregare con sudore e sospiri, con ossa e pancia insieme. Quella è stata la volta in cui ho amato veramente questo mio vaso di creta.
Non so se intraprenderò mai un percorso di transizione. Non so se la strada sarà mai davvero spianata per me. Ma sono sicuro che cammino con Dio. Quando vengo travolto metto un po’ di musica e danzo con Dio, perché il mio corpo è meraviglioso e degno di lode. Quando mi sento coinvolto, danzo per amare me stesso. Mi muovo in nome dell’amore di Dio, che mi accetta per tutto quello che sono. Danzo per il mondo, anche se non lascio mai la mia stanza.
Testo originale: Body thoughts