La mia omosessualità tra solitudine e medicina
Testimonianza inviataci da Alessandro B.
Salve a tutti, sono Alessandro. Sono omosessuale e ne sono cosciente da quando avevo già due anni. Fino alla fine delle scuole elementari ho vissuto il mio modo di essere in modo sereno, senza la paura di confidare le mie simpatie. Ero un bambino sognatore, disegnavo ed ero estremamente creativo con carta e forbici.
Quando iniziai le scuole medie avvertii i primi pregiudizi, il senso di gruppo ragazzi vs ragazze e rimasi terrorizzato; intanto anche dentro di me mi chiedevo “Come sono veramente?”: domanda banale dato che conoscevo la risposta, ma tutto era dettato dalla paura.
Legavo la bellezza agli aspetti esteriori della persona e, dal momento che in famiglia si viveva una chiusura terribile verso l’esterno, cercavo di essere ai miei occhi brutto per timore di divenire come Narciso.
Il bullismo, le derisioni,essere evitato e messo in disparte erano diventati la mia orribile routine, quella di ogni giorno scolastico: ricordo il peso dello zaino, le spalle curve, gli occhi impauriti e la voglia di piangere ma non di scoppiare.
A diciassette anni tra le lacrime confidai a mia madre che ero omosessuale… Ricordo la sua reazione: subito telefonò al mio psicoterapeuta allarmata e arrabbiata e lui replicava mettendo davanti la mia normalità. Dopo pochi giorni fu la volta di Francesco, mio fratello gemello e là “Che la Madonna ti illumini!”.
Non accorgendomi avevo nutrito nel tempo odio nei miei confronti, non tanto per la mia omosessualità, ma per il mio aspetto fisico in balia dei cambiamenti adolescenziali… Mi sentivo un mostro e volevo sparire dalla terra.
Poi cominciai a non riuscire più a studiare e a nascondere i miei libri, i miei unici compagni di evasione, sotto i cuscini: avvertivo una lancinante angoscia, il battito del cuore impazzito e guardavo di sera, spesso sotto la pioggia autunnale, le auto, gli autobus, il movimento normale degli esseri umani con malinconia e nostalgia giacché sentivo che presto li avrei abbandonati.
Ero inesperto del mondo e temevo le persone…Non sapevo muovermi e raggiungere un luogo…Ero sempre stato dentro le mura di casa con il vivo desiderio di una vacanza e di conoscere il mondo con i miei genitori; dai tredici anni mio padre mancava e mia madre trascurava nella propria disperazione e solitudine i figli.
Lo stress aumentava a dismisura fino a sfociare in problemi psicologici molto gravi, mi vennero dati farmaci che anziché arginare i problemi me ne procurarono degli altri.
Nell’abbandono da parte del medico di base mi fu imposta la psichiatria: reparto, clinica, cure pesantissime e antiquate alle quali sono sopravvissuto miracolosamente; lo scopo del “dottore” era “spegnere il motore per poi farlo ripartire”, interpretando la mia omosessualità come un delirio e accogliendo a braccia aperte la sofferenza di mia madre.
Undici anni sono passati da quell’inferno e sono passato al servizio di salute mentale della città vicina a me. Ma i problemi segnati da anni e anni di psicofarmaci e di diagnosi spaventose hanno segnato la storia dei miei familiari, che sembravano spaventati che io guarissi: la “malattia” era diventata ormai un alibi per giustificare anche la loro solitudine, dichiarando che essi avevano votato la loro vita per seguirmi nella malattia.
Le uniche cose piacevoli di cui parlavo con mia madre erano questione teologiche: “Ma Dio esiste?”, “Dov’è?”, e “Le sue creature dove vanno dopo la vita terrena?”, “Perché la sofferenza?”… E io mi appassionavo a tali argomenti ragionando e utilizzando il mio bagaglio filosofico liceale brillante.
Ancora oggi sono invischiato in quella branca della medicina quando tutto si risolve in un’estrema solitudine e in ventotto anni di inesperienza col mondo esterno.
Ci sono anche i sentimenti molto forti e le delusioni che accrescono la disillusione verso la vita trascorsa tra le pagine del mio “Caro diario”, la vista dei miei libri universitari non utilizzati e lo sguardo verso l’esterno della finestra, filtro tra me e il mondo.
I disservizi sono tantissimi e crescono a dimisura, il senso di impotenza aumenta, mentre guardo alla natura con occhi pieni di fascino, di distacco verso il fluire della gente e trattenendo la tristezza mentre scrivo un po’ della mia storia.
“Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.” (Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe)