La nativitá e l’universalità del verbo amare (Luca 2,16-21)
Riflessioni di Giuseppina D’Urso* pubblicate su Adista Notizie n°42 del 7 dicembre 2019
Come ogni 1° di gennaio, ricorrenza di Maria madre di Dio, il riferimento evangelico è al brano di Luca (2,16-21) che narra la visita dei pastori alla mangiatoia in cui è nato e giace il Figlio di Dio. Che solo al termine della breve narrazione, dopo i canonici otto giorni dalla nascita, riceverà la circoncisione di appartenenza al popolo di Israele e il nome di Gesù.
Messia eterodosso, non rispondente al Dio della gloria come potenza terrena dell’immaginario comune, che chiama ad adorarlo quella categoria di esseri umani, i pastori, nella cultura israelita emarginati ed esclusi in quanto considerati gli ultimi degli ultimi, peccatori e malfattori. Simboli di varie categorie di persone relegate nelle periferie del mondo, quando non segregate attraverso muri.
Ma il Dio che l’evangelista Luca vuole raccontare è il Dio della misericordia che non sceglie in base a meriti acquisiti, bensì gratuitamente. E forse non compie nemmeno una scelta, trattandosi di amore che si espande e non guarda la carta d’identità di nessuno.
In ogni caso, Egli, già lasciando nascere il proprio Figlio in un luogo periferico e in condizioni disagiate, indica con chiarezza quale siano le sue preferenze “esistenziali”.
Un Dio che si presenta debole, perché, citando Paolo, «è quando sono debole che allora sono forte» (2Cor 12,10). Un Dio che non lusinga i potenti, che non legittima nessuna forma di oppressione o di emarginazione.
Anzi si pone dalla parte del diverso, di colui che gli stereotipi solo umani vorrebbero rigettare ai margini, negandone l’esistenza.
Un Dio retoricamente umile. Che sceglie la povertà, non perché voglia dimostrare la propria bontà difendendo i poveri, quindi non pensando che questi ultimi siano una categoria ontologica ineliminabile.
Ma che anzi facendosi povero desidera sia fatta giustizia sociale, sapendo che ogni società produrrà sempre degli scarti nei suoi stessi meccanismi di gestione del potere. Dinamiche anche frutto di quella libertà che come atto di amore ha donato all’umanità.
Il messaggio evangelico è sempre di nuovo rivoluzionario, sempre rinnovantesi in ogni momento storico, proprio perché le istituzioni umane tenderanno di continuo a ricreare gerarchie, al cui apice spesso vi saranno la dimostrazione di potenza e di ricchezza.
Dunque, i pastori sono chiamati ad adorare e poi ad annunciare al mondo una venuta. Ma il mondo accoglie l’annuncio con stupore scettico, incredulo dinanzi alla rappresentazione della divinità messa in scena.
Ma, come già accennato, sempre di nuovo ogni anno tale rappresentazione, nella sua profonda natura sovversiva di tutti gli schemi usuali, ci viene offerta proponendoci una perenne metanoia.
Un cambiamento della nostra forma mentis o degli occhi con cui osserviamo e giudichiamo (in senso kantiano) la realtà.
Maria ha fatto propria questa metanoia, e medita, anzi “esamina”, quanto le sta accadendo facendone memoria preziosa. Ponendosi come discepola di Gesù prima ancora che come madre. Anche in questo, figura femminile eversiva rispetto ai modelli che la vorrebbero come donna soprattutto relegata ai ruoli di moglie e di madre.
È quasi banale ricordare l’attualità dei pochi passi di Luca in oggetto. Noi cristiani siamo chiamati a non dimenticarcene, specie quando in nome e in difesa di ristretti confini identitari, e di privilegi dati per scontati, “nazionalizziamo” Dio erigendo muri alti e spessi di esclusione sociale, e quindi emarginiamo in base a radicati pregiudizi intere parti dell’umanità ritenute non degne.
Ma il messaggio evangelico rimane un messaggio di gioia rivolto equamente a ogni essere umano. In modo non confessionale, semplicemente affermando l’universalità del verbo amare. «I pastori, sulla via del ritorno, lodavano Dio e lo ringraziavano per quel che avevano sentito e visto, perché tutto era avvenuto come l’angelo aveva detto loro» (Luca 2,20).
* Giuseppina D’Urso è volontaria de La Tenda di Gionata e del Gruppo Kairòs di Firenze, nonché collaboratrice di Pax Christi Italia