La pedagogista Bialetti: «Al primo posto i bambini? No, qui è successo il contrario»
Intervista di Luciano Moia pubblicata sul quotidiano AVVENIRE il 21 giugno 2023, pag.6
«Da cinquant’anni, in tutti i contesti sociali e istituzionali che si occupano di infanzia, non si fa che ribadire l’esigenza di mettere al primo posto il “supremo interesse” dei bambini. In questo caso la procura di Padova ha fatto il contrario. L’interesse dei bambini è finito all’ultimo posto. Credo sia una sconfitta per tutti».
Non fa sconti Alessandra Bialetti, pedagogista sociale e consulente familiare di Roma. Vista dalla parte dei bambini, quella scritta da giudici di Padova le appare proprio una brutta pagina. Bialetti, che da oltre vent’anni accompagna le famiglie omogenitoriali a trovare una loro dimensione sociale, affrontando i tanti ostacoli che si frappongono a una piena accoglienza nel rispetto dei diritti e della pari dignità̀ delle persone, non valuta le scelte di vita dei genitori.
Gli interrogativi etici certamente rimangono e l’esperta, da credente – collabora tra l’altro con l’associazione “Tenda di Gionata”, genitori e figli cristiani lgbt – conosce le fatiche del percorso di accoglienza avviato nella Chiesa. Ma i diritti dei bambini non possono essere mai messi in discussione. Valutare i figli delle coppie omogenitoriali su un piano di profondo rispetto e di pari dignità̀ rispetto a tutti gli altri figli, non significa aprire la strada ad ogni altra forma di genitorialità. E questo perché́ al primo posto ci sono i diritti dei bambini ad aver una famiglia accogliente, non quelli dei genitori ad avere comunque un figlio.
Ma quando i bambini ci sono, vanno assicurati loro tutti i diritti umani e civili adeguati in vista di un’armoniosa crescita psico-fisica. «Proprio per questo – riprende Alessandra Bialetti – mi chiedo che senso può avere un intervento a 6 anni di distanza dalla trascrizione all’anagrafe. Perché intervenire in modo così invasivo nelle dinamiche affettive e relazionali di una famiglia?».
Non è un mistero che dal punto di vista educativo il bambino quanto più è piccolo, tanto più ha la necessità di sicurezza e di tranquillità, soprattutto di riferimenti certi». Di conseguenza il fatto di vedersi cancellato uno dei due cognomi,
di non poter più essere considerato parente di un ramo della propria famiglia, fratelli, cugini, nonni, zii, finirà per avere una ripercussione negativa sul modo in cui questi bambino guarderanno alla propria storia familiare. «Significa che tutti legami di attaccamento costruiti nel tempo sono messi in discussione, creando una potenziale situazione di disarmonia e di incertezza».
Secondo la pedagogista si tratta di una forma di discriminazione istituzionale che potrebbe avere conseguenze sull’equilibrio psicologico di questi piccoli e che contrasta con l’accoglienza sociale ormai, a suo parere, ovunque consolidata. C’è proprio un divario, fa notare, dal piano dei principi a quello dei rapporti personali.
«Quando si ragiona in astratto è facile avanzare dei distinguo, ma quando si hanno di fronte persone in carne ed ossa tante valutazioni cambiano e i pregiudizi vengono meno». La maggior parte delle riserve, fa notare ancora la pedagogista, è determinata da una scarsa conoscenza del fenomeno ma i programmi formativi ormai da anni avviati nelle scuole hanno permesso di consolidare un clima di maggior consapevolezza del problema.
«Le persone – continua – e non parlo solo delle insegnanti, sono molto più preparate di quanto pensano i politici. Nella scuola poi c’è a riguardo un clima di grande serenità, tanto che non sono rari i casi di coppie omogenitoriali che fanno i rappresentanti di istituto».
Uno sguardo diverso che, come nella maggior parte delle situazioni, è frutto dell’esperienza. «Dopo tanti anni di lavoro insieme posso dire che i figli delle coppie omogenitoriali mostrano un livello di adattamento molto positivo, hanno anzi uno sguardo più̀ attento rispetto a tutte le situazioni di emarginazione e di esclusione».
E a chi fa notare il rischio di problemi identitari, l’esperta risponde che, sulle base delle ricerche da lei consultate in questi anni, non risultano difficoltà diverse rispetto al resto dei ragazzi. «Il problema di questa situazione – conclude – sarà quello di spiegare ai bambini “vittime” della decisione della procura di Padova quello che è successo e le conseguenze possibili. E non sarà facile. Possibile che i giudici non lo sapessero?»