La preghiera di tutti è importante, ed è paradossale che i laici lo debbano ricordare ai vescovi
Riflessioni di Irene Agovino
È bastato un virus, un piccolo virus, per dare ragione agli oppositori di Paolo VI e dei papi successivi. Per dire che, signori miei, la messa la fa (solo) il sacerdote. Tipo le Vestali o i Sacerdoti del Levitico o i sacerdoti del dio Baal. Io alzo il calice da solo e dico la messa.
Beninteso la partecipazione attiva del credente laico non si esaurisce con la Liturgia Eucaristica, eppure quella è la fonte. Se non c’è o se c’è con lo streaming, la cosa ha sapore diverso. E se è buono è giusto fare le lodi al Pc – anzi salvifico per non restare soli con il proprio dolore – ci sembra quantomeno singolare dir messa passivamente.
E a quanto pare si stanno sfregando le mani quelli della Messa in Latino, del prete profumato e del fedele che può starsene a casa, magari con una mano alla tastiera ed un’altra alla chat della scuola, cantando in gregoriano.
“I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale“.
Questo dice la gerarchia. La gerarchia! Ora, io non penso che siamo nella Russia del bolscevismo del 1917, né nel Cile di Pinochet, dove a Santiago, dopo l’opposizione dell’arcivescovo e di parte del clero, dovevi essere perquisito prima di svolgere come sacerdote le attività proprie del culto, ma comunque è – almeno in Italia- un unicum.
E non mi si venga a dire che siamo come i primi cristiani che non si recano in Chiesa. È molto diverso: in primis perché non vi erano edifici di culto cristiano e poi perché ci si poteva comunque riunire senza particola consacrata, ma con semplice pane e vino.
Se io lo facessi incorrerei nelle ire del governo per assembramento e in quelle ecclesiali per aver detto da me messa senza il presbitero.
Sono in parte contenta che la CEI si sia svegliata e abbia cercato almeno di capire il perché di tali norme. Avrei preferito che lo facesse anche quando si è cercato di limitare il volontariato cattolico, perché poveri ed Eucarestia non sono l’uno contro l’altro. Lo diceva anche San Vincenzo che quando ricevi Cristo e sai di un povero alla tua porta, devi dare anche all’indigente la priorità.
Ma come dico sempre io, se siamo cattolici e quindi universali, la preghiera di tutti e la liturgia di e con tutti sono essenziali quanto l’aiuto al nostro prossimo. E che ai laici lo debbano ricordare i signori vescovi è quantomeno paradossale.