La questione della “ricezione” del Sinodo nella chiesa cattolica
Articolo di Massimo Faggioli* pubblicato sul sito del mensile cattolico progressista Commonweal (Stati Uniti) il 4 novembre 2015, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Il “processo sinodale”, termine introdotto da papa Francesco, è diventato uno dei simboli del suo pontificato. Fino ad ora il concetto di “ricezione” non era mai stato applicato ai sinodi, bensì riservato più che altro al Vaticano II, e in generale ai concili ecumenici: un processo che si misura in decenni e generazioni, non in mesi o anni.
Ma di fatto è appropriato parlare di “ricezione” del sinodo recentemente conclusosi [quello sulla famiglia del 2015, n.d.t.], in quanto si è respirata un’atmosfera conciliare: discussioni libere e sincere, nessun discorso preconfezionato, e nessuna conclusione scontata.
Il Sinodo dei Vescovi è una istituzione che non ha più di cinquant’anni di vita, e non abbiamo dati sulla ricezione dei vari sinodi (il primo è stato celebrato nel 1967), tranne forse nel caso del Sinodo Straordinario del 1985 sulla ricezione del Concilio Vaticano II. Per tutti gli altri sinodi possiamo parlare solamente di ricezione delle esortazioni apostoliche che ne sono seguite, documenti che non erano necessariamente frutto dei dibattiti sinodali, e certamente non erano frutto di un processo sinodale lungo due anni, come quello appena concluso.
Prima di Francesco, la ricezione dei sinodi era nelle mani di un episcopato in gran parte nominato dal Papa che scriveva l’esortazione. Oggi la situazione è abbastanza diversa.
La prima differenza è che oggi il processo sinodale si identifica con Francesco, e con il suo ruolo nella Chiesa odierna; la ricezione del sinodo rischia quindi di essere in realtà la ricezione (o non ricezione) di questo pontificato, sia a livello di Chiesa locale che nazionale: quasi un referendum sulla figura del Papa.
La seconda differenza è che la ricezione di questo sinodo richiede sinodalità (come Francesco ha spiegato nel suo discorso ai vescovi il 17 ottobre 2015), ma nella Chiesa Cattolica odierna ci sono pochissime occasioni, per i cattolici di diverse “convinzioni” e di diversi cammini di vita (possiamo chiamarli vocazioni o ministeri), di lavorare insieme.
Stiamo testando la sinodalità ai livelli massimi, tra i vescovi e con il Papa, ma certamente non nelle nostre Chiese locali. Non si sa se il discorso di Francesco sulla sinodalità diverrà mai realtà.
Per di più, negli Stati Uniti la ricezione del processo sinodale avrà luogo in un Paese in cui i vescovi e i teologi hanno smesso da molto tempo di parlarsi, e dove i laici sono molto frammentati. Tutto questo ha un grosso impatto sull’equilibrio, ecclesiologico ed ecclesiale, delle voci e delle forze interne alla Chiesa, e nella Chiesa americana più che in ogni altra, dato il parallelismo tra il sistema politico bipolare e i conflitti teologici interni al cattolicesimo americano. Conforta la constatazione che, a livello globale, il caso del cattolicesimo statunitense è un’eccezione.
La ricezione dei concili e del Magistero deve coinvolgere i laici e il sensus fidelium: nella Chiesa sinodale, senza i laici non c’è ricezione. Sarà però interessante capire in che misura la ricezione di questo sinodo e dell’esortazione postsinodale, e delle relative decisioni, sarà frutto del lavoro dei vescovi.
Sappiamo che, negli ultimi due anni, il lavoro dei vescovi è stato definito in maniera molto diversa che in passato: da modelli di obbedienza a un pontefice, basata su una serie ristretta di temi di estrema importanza, dovrebbero passare a uno stile più pastorale ed “evangelico”.
Il modo in cui saranno ricevuti il sinodo e l’esortazione postsinodale, soprattutto su questioni pratiche come la Comunione ai divorziati risposati, rivelerà molte cose sullo stato della Chiesa.
La storia della ricezione comprende casi esemplari di non ricezione: basti pensare alla Humanae vitae di Paolo VI, la cui non ricezione è stata ascritta vuoi al sensus fidelium, vuoi all’insubordinazione al Magistero. Il linguaggio che utilizzeremo per descrivere le varie posizioni di fronte alle decisioni di Francesco rivelerà molto sull’esercizio del primato petrino, e di come viene recepito.
* Massimo Faggioli insegna teologia e studi religiosi alla Villanova University di Philadelphia. La sua opera più recente è “Joe Biden e il cattolicesimo negli Stati Uniti” (Morcelliana, 2021). Seguitelo su Twitter: @MassimoFaggioli
Testo originale: The Question of the Synod’s ‘Reception’