Le nuove coppie gay? Sempre piu’ fedeli
Articolo di Andrea Garibaldi tratto da Corriere della sera del 6 giugno 2007
In questi anni stà avvenendo una rivoluzione silenziosa nel modo di vivere e di relazionarsi delle persone omosessuali. Alla paura e al nascondimento, che rendevano difficile il nascere di relazioni stabili, la maggiore tolleranza della società stà portando alla nascita di relazioni omosessuali più stabili e durature. Cerchiamo di saperne di più.
Una volta, seconda metà del '400, l'omosessualità era «vizio nefando». E c'erano, a Firenze, gli «Ufficiali di Notte», incaricati di investigare su chi indulgeva al vizio sodomitico. Dopo quasi sei secoli, oggi vivono nelle città italiane coppie omosessuali che sempre più somigliano a quelle eterosessuali.
Due uomini o due donne che hanno un rapporto paritario, con ruoli intercambiabili, sia sessuali che di vita quotidiana, che portano un anello come simbolo del legame (45 per cento dei gay, 65 per cento delle lesbiche), che si chiamano fra loro «ciccio», «cucciola», «tato», «orsetto».
È dunque questa l'epoca degli «Omosessuali moderni», titolo del libro dei sociologi bolognesi Marzio Barbagli e Asher Colombo, che esce domani con una seconda edizione aggiornata e ampliata (Il Mulino editore). Vanno in minoranza alcuni modelli e stereotipi: il rapporto fra un superiore e un inferiore, un adulto e un ragazzo, un attivo e un passivo. Il maschio effeminato e la femmina mascolina.
I gay che vivono oggi a Bologna («la San Francisco italiana»), a Milano o a Roma sono assai diversi da Benvenuto Cellini, da Pier Paolo Pasolini o dal Michel Serrault del «Vizietto». «Gli omosessuali moderni — si legge — non fanno più l'amore con gli eterosessuali o con le persone dell'altro sesso, ma solo con altri omosessuali.
Non vivono più soltanto nel segreto di un sofferto isolamento e non si incontrano più soltanto in luoghi clandestini». C'è una rete di imbianchini, falegnami, posatori di moquette, fotografi, agenti di viaggio che si rivolgono esplicitamente a una clientela omosessuale.
In questo importante passaggio di costume, Barbagli e Colombo approfondiscono le differenze fra gay e lesbiche. Fra il 58 e il 70 per cento delle lesbiche hanno una relazione fissa, contro il 40-49 per cento dei gay.
«Il primo rapporto dei gay ha carattere prevalentemente fisico, quello delle lesbiche è di solito romantico e sentimentale». Le lesbiche frequentano meno dei gay i locali «di genere» e non esistono per le lesbiche le «dark room» dove fare l'amore con sconosciuti.
Un'altra differenza sta nella relazione con la Chiesa. Esempio: fra i 18 e i 24 anni, non va mai a messa il 51 per cento delle lesbiche e il 43 per cento dei gay, mentre in tutta la popolazione italiana i dati sono al contrario, 35% degli uomini e il 24% delle donne.
Anche nella dimensione moderna la vita omosessuale resta densa di ostacoli. Prendiamo il coming out, la rivelazione di non appartenere alla «normalità». Il 51% delle madri — raccontano Barbagli e Colombo — reagisce negativamente alla notizia dell'omosessualità della figlia, ma se si tratta dell'omosessualità del figlio questa reazione si riscontra solo nel 40 per cento dei casi. Tra i padri la reazione negativa verso l'omosessualità delle figlie femmine — come quella verso i maschi — scende al 35%.
L'ultimo capitolo della nuova edizione tratta delle norme introdotte per riconoscere e regolare la vita delle coppie omosessuali, a partire dalla Danimarca (1986), alla Norvegia (1993), a tutti gli altri paesi del mondo occidentale, con l'eccezione di Italia e Grecia e Portogallo e dell'est Europa.
Crescono tuttavia, negli ultimi tredici anni, gli italiani che pensano che le copie omosessuali debbono potersi sposare (dal 28 al 40 per cento), convivere con i vantaggi delle coppie sposate (dal 39 al 56), ereditare l'uno dall'altro (dal 50 al 58). Quanto al diritto per gli omosessuali di adottare figli, gli italiani proprio non ci stanno: si è passati dal 14 per cento appena al 19.