Le relazioni omosessuali e la comunità cristiana. Tutta una questione di giustizia
Testo della teologa suor Margaret Farley* tratto dal libro Just Love: A Framework for Christian Sexual Ethics, Continuum International Publishing Group (USA), agosto 2005, pagg. 272-278, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Ho scritto in precedenza che, per quanto riguarda le relazioni omosessuali, la domanda da porsi non è se possano essere eticamente giustificabili, ma quali sono le caratteristiche di quelle giustificate. Ho già anticipato la conclusione, basata sui precedenti capitoli, secondo cui l’etica di giustizia appropriata per le relazioni omosessuali è la medesima di quella usata per le relazioni eterosessuali, in altre parole un’etica adatta alle relazioni sessuali cristiane (e, forse, umane in senso generale). Data la mia modesta conclusione, tratta dalle fonti di una possibile etica omosessuale cristiana, a questo punto possiamo trascendere la questione generale (permesse/proibite) e cercare norme specifiche per le relazioni omosessuali, ricapitolando ciò che ho scritto nei precedenti capitoli sulla sessualità, l’amore e la giustizia e sulle caratteristiche centrali della persona umana, che forniscono radici e una direzione alle norme etiche nella sfera sessuale.
Non sarà quindi sorprendente che l’etica applicabile alle relazioni omosessuali, incaricata di metterle in luce, si basi sull’obbligo di rispettare la persona. Rispettare la persona significa rispettare la sua autonomia e la sua relazionalità, vale a dire la sua capacità di autodeterminarsi attraverso la libera scelta e la sua capacità di relazione attraverso la conoscenza e l’amore. Dato che l’autonomia e la relazionalità si combinano per rendere la persona umana un fine in se stessa, la prima condizione della sfera sessuale (come in ogni altra sfera della vita umana) è non danneggiare ingiustamente l’altra persona, che sia eterosessuale, gay o lesbica.
Relazionarsi alle persone come fini in se stesse, specialmente in caso di conflitto tra il sé e il corpo, è la condizione minima ma assoluta per il libero consenso dei partner sessuali. Tutto ciò che va escluso da una relazione eterosessuale (stupro, violenza, utilizzo sbagliato del potere, seduzione e manipolazione di individui con limitate capacità di scelta per via dell’immaturità, una disabilità intellettuale o una dipendenza speciale) va escluso anche da una relazione omosessuale. Ci sono altre due condizioni: dire sempre la verità e sforzarsi di mantenere le promesse fatte. Per rispettare la relazionalità delle persone, le relazioni omosessuali dovrebbero anche basarsi su un grado significativo di reciprocità di desiderio, azione e risposta. È poi necessario un grado ragionevole di uguaglianza per rendere possibile la libera scelta e introdurre un’importante condizione della reciprocità. Inoltre, l’etica omosessuale cristiana richiede e obbliga a una qualche forma di fedeltà e di fecondità. Queste ultime due norme vanno spiegate meglio.
Molti gay e lesbiche, come molti uomini e donne eterosessuali, non solo desiderano ma considerano necessario un certo grado di fedeltà in una relazione sessuale. Come sappiamo, al giorno d’oggi la fedeltà è divenuta problematica, tanto per le persone omosessuali che per quelle eterosessuali, perché viene vista come un chiudere in faccia la porta alla vita, un freno alla libera espressione sessuale, oppure come qualcosa che è quasi impossibile nel mondo odierno; per questo motivo difficilmente può costituirsi come un obbligo nelle relazioni sessuali. Inoltre, gay e lesbiche difficilmente possono essere costretti ad abbracciare la fedeltà se quest’ultima viene identificata con le forme tradizionali del matrimonio eterosessuale, che implicano la procreazione, la crescita dei figli e l’addomesticamento della sessualità. Le persone omosessuali e molte persone eterosessuali non considerano tollerabili né giuste le aspettative culturali sui ruoli di genere e quella asimmetria nelle relazioni di potere che è intrinseca al matrimonio.
La fedeltà nelle relazioni sessuali giuste non deve certo spegnere la vita e nemmeno il desiderio sessuale, perché è in grado di nutrire e sostenere la sessualità, di fornirle radici e di trasformarla. Il suo obiettivo minimo deve essere quello di dare un futuro all’amore e alla vita condivisa e di ratificare continuamente una libera scelta che sarebbe altrimenti ondeggiante e fragile. La fedeltà, e gli ambiti in cui si esplica, sono mezzi e non fini in se stessi, ma sono mezzi per l’affermazione della persona umana come fine in se stessa e per la lunga durata dell’amore, per chi vuole che la sua relazione regga. Ecco perché la comunità cristiana continua a considerare la fedeltà il cuore dell’etica per i rapporti e le relazioni sessuali; essa previene l’uso del partner sessuale come puro mezzo per il desiderio e il piacere sessuali e offre la possibilità di integrare la sessualità nella globalità del proprio amore e della propria vita. Solo la fedeltà offre alla sessualità la possibilità di esprimere l’incarnazione trascendente nella forma più nobile di amicizia.
Come ho scritto nel capitolo 6, la fecondità in quanto norma delle relazioni sessuali non deve limitarsi al concepimento di figli; esistono molteplici forme di fecondità: l’amore e la cura per gli altri, rendere il mondo un posto migliore per gli altri e non solo “per noi due”, opponendosi quindi alla sterilità dell’égoisme à deux. A chi disapprova le relazioni omosessuali perché non possono procreare, rispondo che la loro immaginazione è poco sviluppata o la loro esperienza è troppo limitata perché possano apprezzare tutti i modi in cui gli esseri umani danno vita al mondo e tutte le vie attraverso le quali il mondo chiede nuova vita a chi ha ricevuto il dono dell’amore [1]. Nella comunità cristiana il dono dell’amore costituisce una vocazione ed è un dono divino e una vocazione divina tanto per le lesbiche e i gay quanto per le donne e gli uomini eterosessuali. La fecondità è perciò un obbligo e un appello, una condizione e un’opportunità di grazia.
Un’altra norma di qualsiasi relazione è la giustizia sociale. Anche qui andrebbe fatta qualche precisazione in più rispetto a quanto ho già scritto, in quanto i contesti sociali ed ecclesiastici in cui le persone omosessuali cercano di vivere fedelmente i loro rapporti reciproci e l’integrità della loro identità sono tutt’ora drasticamente diversi dai contesti in cui si muovono le persone eterosessuali. La giustizia sociale è la norma che identifica quegli obblighi che la comunità cristiana e la società nella loro globalità hanno verso le persone in quanto esseri sessuali e, nel nostro caso, verso le persone che scelgono di avere relazioni omosessuali. Come gay e lesbiche devono rispettarsi a vicenda, oltre che rispettare se stessi, nella loro autonomia e relazionalità, così devono aspettarsi il rispetto da parte della società e delle Chiese cristiane; in altre parole, le persone omosessuali hanno gli stessi diritti degli altri per quanto riguarda la protezione della legge, l’autodeterminazione e l’uso dei beni e dei servizi disponibili per tutti. Il loro bisogno di integrarsi nella società, di essere protette fisicamente, di godere della sicurezza psicologica ed economica e del benessere minimo costituiscono i medesimi appelli alla cooperazione sociale che tutti noi facciamo. La comunità cristiana in particolare è messa di fronte a questioni serie: se, per esempio, la norma della fedeltà è appropriata per le relazioni sessuali tra cristiani, e se questa norma appartiene anche all’etica omosessuale, allora le problematiche del sostegno istituzionale devono essere ridefinite.
Forse il primo atto che ci si aspetta dalla norma della giustizia sociale è alleviare le conseguenze del giudizio fortemente negativo verso gli atti e le relazioni omosessuali, in quanto tale giudizio negativo, rafforzato e propagato dagli insegnamenti e dai comportamenti religiosi, costituisce un’autentica forza sociale e politica. Sebbene sia vero, per esempio, che alcuni, forse molti, leader ecclesiali si sono perlomeno persuasi a non opporsi alle leggi che assicurano a lesbiche e gay i diritti civili di base, la costante e significativa resistenza della società, soprattutto nei confronti delle leggi sulle convivenze, origina dalla veemenza con cui tale giudizio negativo viene espresso. Questo giudizio è raramente ragionato e il suo potere come forza sociale è quello di un tabù irragionevole, che al tempo stesso origina da e rafforza quella repulsione viscerale che deve essere affrontata se si vuole progredire socialmente e politicamente su queste tematiche [2]. A mio avviso, per affrontare questa reazione negativa viscerale, i cristiani, ma non solo loro, dovrebbero prima di tutto analizzare con occhio critico (alla luce di quanto detto sulle fonti del giudizio morale) le varie ragioni che sono state addotte per proibire le relazioni omosessuali; a questo può seguire lo sviluppo di programmi educativi che contribuiscano a demitologizzare quelle credenze popolari che producono false paure attorno ai comportamenti omosessuali. Tali programmi possono anche esaminare la distinzione, non soddisfacente ma spesso utile, tra orientamento omosessuale e atti omosessuali [3], per poi chiarire l’effettivo significato del welfare e dei diritti civili nella tradizione politica statunitense [4].
Le leggi contro la discriminazione delle persone omosessuali, ma anche quelle sulle convivenze, le unioni civili e il matrimonio possono essere decisive per trasformare l’odio, il rifiuto e lo stigma verso gay e lesbiche, ancora oggi rafforzato dalle dottrine sul sesso “contro natura”, il desiderio disordinato e l’amore pericoloso. Il pestaggio dei gay, come ribadiscono i leader ecclesiali e gli esperti di etica, non è cosa da prendere sottogamba e non esiste isolato, bensì è collegato a varie forme di stigma e violenza. Radicata nei tabù e nei miti, l’aggressione fisica e verbale delle persone omosessuali è un pericolo più grande per la società (in quanto violazione dei diritti umani più fondamentali e intimi della persona e in quanto minaccia all’umana decenza e al bene comune) di qualsiasi paventata approvazione e incoraggiamento degli stili di vita omosessuali. Il cammino di un Paese verso una legge sulle convivenze o su altre forme di partnership comincia con la graduale presa di posizione contro la violenza verso gay e lesbiche, ne è anzi al tempo stesso la premessa e il risultato finale. Il suo obiettivo è rendere giustizia e protezione, obiettivo difficilmente separabile dal provvedere ai bisogni primari.
Oggi una delle maggiori urgenze nel campo pubblico è il matrimonio omosessuale, vale a dire garantire il riconoscimento sociale e legale alle unioni lesbiche e gay, comparandole alle unioni eterosessuali. Questa è una problematica che riguarda le difficoltà che si incontrano quando si ottiene il rispetto per le persone omosessuali e la loro integrazione nella vita ordinaria delle Chiese, ma al tempo stesso si nega loro i paracadute sociali e comunitari disponibili alle persone eterosessuali. La più ripetuta argomentazione contro il matrimonio omosessuale è probabilmente quella secondo cui finirà per indebolire il sostegno al tradizionale matrimonio eterosessuale e al tradizionale concetto di famiglia. È difficile capire il senso di questo ragionamento, soprattutto perché le Chiese non fanno propaganda contro le leggi che permettono il divorzio, che probabilmente costituiscono una minaccia ben più grande al matrimonio eterosessuale. Un punto di vista più persuasivo è che la possibilità del matrimonio omosessuale rafforzerebbe il valore della fedeltà, sia per le coppie omosessuali che per quelle eterosessuali.
Molti gay e molte lesbiche si oppongono all’idea del matrimonio, in quanto tale istituzione è talmente usurata e inadeguata, così ostile verso le persone omosessuali, che sarebbe un errore scimmiottarla con la legalizzazione delle unioni gay e lesbiche; la vera questione, però, è se deve essere negata la possibilità del matrimonio alle persone omosessuali che desiderano sposarsi. Poi ci sono, come ho già scritto, le questioni riservate alle Chiese cristiane: la volontà di gay e lesbiche di integrarsi, come partecipanti a pieno titolo, nelle loro comunità di fede e come possono essere sostenuti nella santità delle loro vocazioni, nella comunità di fede e oltre.
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[1] Non deve essere dimenticato il fatto che molti gay e molte lesbiche concepiscono e allevano i propri figli biologici, come molte persone allevano i figli dei rispettivi partner o di altri.
[2] Un esempio di filosofo che getta benzina sul fuoco del giudizio negativo con il suo linguaggio aggressivo è John Finnis. Dopo aver sostenuto che i rapporti sessuali non possono essere unitivi se non sono coniugali, e che non possono essere coniugali se non sono aperti alla procreazione, Finnis spiega compiaciuto quello che secondo lui è un pensiero degli antichi Greci e che viene spesso messo in dubbio dagli studiosi della civiltà greca, ovvero che i rapporti omosessuali “hanno una speciale somiglianza con la masturbazione solitaria e questi due atti sessuali, ambedue radicalmente non coniugali, sono manifestamente immorali e indegni dell’essere umano”. Secondo Finnis, similmente alla copula tra umani e animali, l’accoppiamento genitale con una persona che possiede i medesimi organi sessuali deve essere ripudiato in quanto non è solamente offensivo, ma distruttivo per il carattere e le relazioni umane. Timoroso dell’influenza sociale di una ipotetica tolleranza, per non dire approvazione, di tali atti, Finnis si oppone a qualsiasi legge antidiscriminatoria, accettando solamente la decriminalizzazione dei rapporti sessuali totalmente privati.
[3] Nonostante insistere su questa distinzione sia insoddisfacente, perché separa l’identità dagli atti e perpetua la visione delle persone omosessuali come in qualche modo svantaggiate nel raggiungimento della piena realizzazione umana, per molte persone costituisce nondimeno il primo passo per mettere in discussione il loro giudizio negativo verso gay e lesbiche in quanto persone.
[4] Le raccomandazioni sull’educazione possono sembrare pacifiche, ma forse Greenberg ha ragione quando fa notare che ciò che attizza l’ostilità verso i diritti omosessuali è il timore che certe idee influenzino le famiglie e in particolar modo i bambini. Diventa più difficile comunicare i propri valori ai figli se si pensa che le loro menti siano minate alla base dagli insegnanti, dai media e così via. “La maggiore preoccupazione dei conservatori non è proteggere i bambini dalle molestie […] ma fare loro da scudo contro la consapevolezza che l’omosessualità esiste e che non è incompatibile con l’intelligenza e la rispettabilità.”
* Suor Margaret A. Farley, nata il 15 aprile 1935, fa parte della congregazione americana delle Sisters of Mercy (Suore della Misericordia) ed è professoressa emerita di etica cristiana presso la Yale University Divinity School dove ha insegnato etica cristiana, dal 1971 al 2007, ed è stata anche presidente della Catholic Theological Society of America (Associazione Cattolica dei Teologi d’America). Il suo libro Just Love (2005), ha avuto numerose critiche e censure da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede per le opinioni morali espresse, considerate divergenti dal magistero cattolico, ma ha ricevuto invece ampio sostegno e approvazione dalla Leadership Conference of Women Religious (Conferenza delle Religiose degli Stati Uniti) e della Catholic Theological Society of America (Associazione Cattolica dei Teologi d’America).