“Non avevo nessun posto dove andare”. Dalla strada alla scuola, la storia di un giovane gay
Testimonianza di Daryl “Dee” Balliet pubblicata sul sito di Arcus Foundation (USA) il 2 luglio 2015, liberamente tradotta da Siena R.
Daryl “Dee” Balliet è stato nominato uno dei “40 dei Quaranta”, un progetto Arcus sopportato dalla Fondazione True Colors che fornisce un supporto a lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer, e chiede ai giovani che hanno sperimentato la vita da senzatetto o l’instabilità abitativa di parlare di se stessi. Più del 40% dei giovani senzatetto negli Stati Uniti sono persone LGBT.
Balliet vive a Columbus, Ohio (USA), dove lavora come competente culturale e istruttore per lo sviluppo della forza-lavoro per gli operatori sanitari. Si è laureato di recente al Colorado Technical University (Università Tecnologica del Colorado) e ha una laurea triennale in amministrazione sanitaria e infermieristica, e un associate degree (n.d.r. titolo di studio non convertibile in Italia) in Business Administration (Amministrazione aziendale), e un certificato come assistente medico. Ecco la storia di Balliet raccontata da lui.
Ho vissuto nell’instabilità abitativa da quando avevo 16 anni, (sono stato cacciato di casa) dopo aver fatto coming out con mia madre e il mio patrigno. C’erano delle volte che avevo un posto in cui andare, ma non era casa mia. E c’erano periodi in cui vivevo come senzatetto e non avevo alcun posto in cui andare.
Ero al secondo anno delle superiori e passavo il tempo in posti frequentati da adolescenti gay o noti come gay, lesbiche, bisessuali o transessuali. Non mi sentivo a mio agio quando mia madre mi faceva domande del tipo “Passi il tuo tempo con lui ed è gay, come fate a rimanere amici?”. Col tempo arrivai ad un punto in cui dissi “Questi sono i miei amici; mi hanno accettato nella comunità gay. Questi sono i miei amici omosessuali. Io sono omosessuale”. Tirai fuori tutto in una volta.
Era una cosa sconcertante da accettare per mia madre. Ricordo che quel giorno disse, “Insomma, non sei gay, perché è impossibile. Non puoi essere tu. Questo non è mio figlio”. E ricordo di averle detto “Ebbene sì, lo sono. Cosa dovrei fare?” Non rispose realmente, tranne dirmi “Bene, se sai che questo sarà lo stile di vita che avrai, farai meglio a trovarti un altro posto in cui vivere”. E lì finì la discussione.
Sembrava si fosse arresa su di me. Ed era doloroso da accettare, non è stato facile nemmeno telefonarle soltanto per dirle “Hey, possiamo parlarne, cosa dovrei fare?”. Mio padre era un medico e lavorava in Africa, quindi non era facile raggiungerlo per dirgli che ero omosessuale. Viene dalla Colombia, perciò molti dei suoi famigliari sono del Sud America. Non è facile dire per telefono “Hey, ho bisogno di aiuto”.
Ho fatto coming out con mio padre un anno dopo, avrei voluto farlo molto prima, perché la sua reazione non fu altro che di cura e di accettazione. Quando gli spiegai che ero stato un senzatetto dall’anno precedente, penso che fosse più arrabbiato per il fatto che non lo avessi raggiunto, che per il fatto che gli avessi detto che ero gay.
Per un periodo sono stato molto solo nella comunità dove vivevo, a Columbus, Ohio. Anche se è la capitale dello stato, non c’erano molte possibilità per un maschio gay, ancora meno per un senzatetto maschio gay, soprattutto se minorenne. Per circa un anno e mezzo sono stato un po’ ovunque: vivevo a casa di amici o da familiari che non sapevano ancora che fossi omosessuale.
Ci furono moltissime volte in cui dormii nella mia auto, e quando non avevo l’auto ricordo di aver dormito in un parco per circa due giorni – Schiller Park, nella parte meridionale di Columbus. In quelle due o tre notti, pensavo non ci sarebbero mai stati giorni migliori; ricordo di aver perso la speranza, che la mia vita non valeva la pena di essere vissuta, perché non avevo nessuno.
Ma una settimana dopo, un mio amico mi raggiunse. Sospettava che qualcosa non andava, e mi disse “Hey, il mio coinquilino si è appena trasferito e apprezzerei se venissi a vivere con me”. Rimasi con lui per circa un mese e risparmiai abbastanza denaro per potermi permettere il mio primo appartamento, nella parte est di Columbus, ed è stato probabilmente circa quattro mesi prima del mio diciottesimo compleanno.
La parte più difficile era sentire che non c’era veramente qualcuno a cui rivolgersi e che avesse capito la mia situazione, del perchè fossi senzatetto. Pensavo che forse, se non avessi mai detto di essere gay, avrei ancora avuto un posto in cui stare. Ma forse quel luogo non sarebbe stato adatto a me, così come non lo era essere senzatetto, se nascondevo chi ero veramente.
Fino a quando mio padre morì nel 2011, avevamo buoni rapporti. Mi ha incoraggiato a continuare i miei studi. Se non fosse stato per lui, non sarei forte come sono ora. Mi diplomai presto alle superiori e iniziai il college un anno prima, a 17 anni. Ho fatto la mia strada grazie al college e smisi di essere un senzatetto. Ora ho buoni rapporti con mia madre.
Fu un’esperienza piuttosto umiliante per me essere nominato ai “40 of the Forty” (40 dei Quaranta), ma mi ha dato anche un po’ di orgoglio. La mia storia importava a qualcuno, importava abbastanza per dire che un giovane ragazzo ha vissuto un’instabilità abitativa da senzatetto, ed è riuscito a rialzarsi.
Dopo che la mia storia per “40 of the Forty” è stato pubblicata nei social media, potevo condividerla con amici, colleghi, persone che non averebbero mai saputo che sono stato un senzatetto. Le risposte che ho ricevuto sono state più gratificanti di qualsiasi certificato, cerimonia, o onoranza pubblica che avrei potuto ricevere.
Poi, un reclutatore mi chiamò e mi disse, “Stiamo cercando degli infermieri per la nostra clinica per l’HIV”. Aveva letto il mio curriculum online e visto un articolo riguardo il “40 of the Forty” e letto la storia. Una sorprendente svolta degli eventi.
Oggi, spero che i programmi orientati verso la gioventù LGBT si concentrino di più sui senzatetto. Lottare per i senzatetto vuol dire anche lottare contro altri problemi legati alla gioventù LGBT: promiscuità, l’HIV, malattie sessualmente trasmissibili, abusi di sostanze. Non sono in molti quanti pensano che essere senzatetto porta a queste cose.
Spero che la consapevolezza aumenti fino al punto in cui qualcosa sarà fatto per i senzatetto LGBT. Molti programmi per i giovani senzatetto stanno facendo buoni progressi, ma è necessario che i giovani abbiano una casa, un posto sicuro e dei contatti, perchè non vivano per le strade.
Testo originale: I Had No Place to Go” – How Gay Teen Dee Balliet Got off the Streets and Into School