Non credo che la chiesa cattolica saprà aprirsi ai gay. Sarò felice di essere smentito
Risposta di Michele Serra alla lettera aperta di Gianni Geraci, portavoce del Guado di Milano, 12 maggio 2011
Gentile Gianni Geraci, ho letto la sua “lettera aperta” relativa a una mia Amaca (La Repubblica, 7 maggio 2011) di qualche giorno fa.
Ne è seguito – in rete – un dibattito non sempre ragionevole e non sempre cordiale, ma si sa che internet serve ad alcuni soprattutto per dare libero sfogo all’insulto e all’emotività. Pazienza, sono problemi loro. Al contrario, i suoi argomenti sono importanti e civili, e mi fa piacere discutere con lei.
Credo che alla radice delle critiche sollevate dal mio breve articolo ci fosse soprattutto un avverbio, “giustamente”, riferito alla decisione della Curia di Palermo.
Ma, come spiegavo subito dopo, quel “giustamente” non era certo riferito alle mie opinioni in materia, quanto alla conseguenzialità (ferrea) tra la chiusura della Curia e il dettato delle massime autorità cattoliche.
Per la Chiesa romana l’omosessualità e colpa e vizio, malattia da curare, comportamento “contro natura” perché confligge con la Regola (una regola storicamente determinata, non certo evangelica) della Famiglia Tradizionale.
Questo atteggiamento personalmente mi ripugna, perché è escludente e anti-umanistico. Ma è così radicato nelle gerarchie, da far considerare con ostilità perfino una veglia di preghiera per le vittime del’omofobia.
Non sono cattolico. Ma se lo fossi – omosessuale o no – tanto mi basterebbe per non desiderare di fare parte di una comunità così ossificata nei suoi pregiudizi.
Capisco che per un cattolico omosessuale la questione non sia così semplice. Per altro, sono stato profondamente toccato, molti anni fa, dal suicidio di un mio giovane amico, appena ventenne, che si tolse la vita proprio perché non riusciva a sopportare una discriminazione, dolorosissima, tra la propria identità umana e la propria fede.
Ne dedussi che non meritava di morire a causa di pregiudizi non suoi, di colpe (queste sì, colpe) non sue, e che da cristiano avrebbe potuto e dovuto trovare altri approdi di fede, nelle tante comunità cattoliche di base che non praticano la discriminazione, oppure (come ho scritto nell’Amaca) presso le tante altre professioni di fede cristiana (valdesi e metodisti, per esempio) che in campo etico sono di qualche secolo più avanti rispetto a Roma.
Mi dispiace che qualcuno si sia sentito offeso, non era certo questa la mia intenzione. Ribadisco la mia convinzione che a certe chiusure, e a certe offese, si può anche reagire con il buon vecchio criterio del “non mi meritano”.
Bussare alle porte di un’Istituzione il cui statuto non prevede l’accettazione dell’omosessualità mi sembra – lo ripeto – umiliante. So che per molti cattolici la Chiesa non è solo istituzione, è comunità, condivisione, esperienza di fede. Mi riesce difficile immaginare, però, che una battaglia come la vostra (trovare un varco in quel muro) possa avere successo.
Sarò felice di essere smentito. Vi faccio un augurio fraterno per la vostra battaglia e per la vostra vita. Con amicizia. Michele Serra
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