Ormai è troppo tardi. L’Irlanda cattolica che non esiste più
Articolo di Fintan O’Toole* pubblicato sul sito del quotidiano The Guardian (Gran Bretagna) il 23 agosto 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Scegliendo il nome Francesco per il suo pontificato, Jorge Mario Bergoglio ha chiesto ai cattolici di collegarlo al rivoluzionario medievale Francesco d’Assisi. All’inizio del suo itinerario spirituale il Francesco originale udì l’immagine al momento forma di crocefisso della chiesa di San Damiano dirgli “Francesco, Francesco, va’ e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!”.
Quando il Papa arriverà in Irlanda troverà una Chiesa Cattolica che non solo è tutta in rovina, ma che sotto molti aspetti è inutile sperare di restaurare. Sarà salutato con gioia dai fedeli, ma pochi tra loro si aspettano che sia in grado di rimettere in piedi un’istituzione scossa dalle fondamenta.
Nonostante questo, per strano che possa sembrare, quando Francesco atterrerà sul suolo irlandese sarà solamente la seconda volta che un Papa regnante visita l’isola. I Papi non hanno quasi mai visitato l’Irlanda, perché non ce n’era bisogno. Dopo la divisione [tra Eire e Ulster] e la fondazione della Repubblica d’Irlanda nel 1922, non c’è stato nessun luogo più graniticamente cattolico. Più del 90% della popolazione aderiva al cattolicesimo e, cosa ancora più degna di nota, quasi tutti i cattolici erano praticanti. La Chiesa controllava la maggior parte delle scuole e degli ospedali, i governi le obbedivano, quindi niente divorzio, niente contraccettivi, niente aborto e niente libri “sporchi” (compresa la maggior parte della letteratura irlandese moderna). Un Papa che visita l’Irlanda sarebbe apparso come in nessun altro luogo uno che predica ai convertiti.
Da bambino servivo Messa quasi tutti i giorni nella chiesa vicina alle nostre case popolari, nella parte ovest di Dublino. Era vasta e aveva un soffitto molto alto, tre altari e file su file di lunghi banchi in legno. La domenica c’erano sei messe, dalle 7 del mattino a mezzogiorno: tutte facevano il pieno, o quasi. In ogni momento c’erano sette o otto preti, che erano molto indaffarati: durante la settimana c’erano le Messe mattutine, i Vespri la sera, le organizzazioni di beneficenza, i matrimoni, i funerali e le confessioni. Per la maggior parte di noi, la parrocchia era una seconda casa.
E ora? C’è un solo prete, che da solo cerca di mandare avanti la baracca. La chiesa parrocchiale sembra un abito tagliato per un uomo obeso che ora è dimagrito drasticamente. I banchi sono quasi tutti vuoti, persino alla Messa domenicale. Gli alti soffitti fanno eco al vuoto. Il locale è freddo in inverno, perché la parrocchia non può permettersi il riscaldamento e non c’è più il calore dei corpi ammassati. I fedeli rimasti sono quasi tutte donne anziane.
Non dappertutto è così. Le parrocchie rurali generalmente resistono meglio, anche se molte di esse sono guidate da parroci africani: il vigoroso movimento missionario di un tempo si è capovolto. Alcuni quartieri periferici, abitati dalla classe media, hanno ancora parrocchie ben frequentate e con buone risorse.
La Chiesa Cattolica gestisce ancora la grande maggioranza delle scuole elementari e la sua influenza sul sistema sanitario è ancora enorme. Ma il declino è molto forte: nel 1979, quando Giovanni Paolo II compì la prima visita di un Papa, l’80% dei cattolici andava a Messa regolarmente; ora siamo sul 35%. C’è poi la perdita di potere politico, esemplificata dal referendum sull’aborto dello scorso maggio.
Un certo declino sarebbe avvenuto comunque. L’assoluto dominio del cattolicesimo in Irlanda era un fenomeno abnorme, che fu possibile in quanto la resistenza alla Riforma è stata il modo più efficace con cui gli autoctoni hanno potuto resistere all’assimilazione promossa dal potere britannico, ovviamente definito dal protestantesimo.
Nel XIX secolo, con il declino della lingua gaelica, il cattolicesimo è diventato un marchio di identità culturale ancora più significativo. Nel periodo dell’emigrazione di massa, la natura universale e internazionale della Chiesa era di grande conforto: anche quando emigravano in Inghilterra o negli Stati Uniti, almeno la Messa era identica e probabilmente avrebbero trovato un prete irlandese.
Nel 1921 la divisione dell’isola creò due ghetti religiosi, lo “Stato protestante per un popolo protestante” nel nord e il suo gemello cattolico nel sud. Le minoranze dissidenti potevano facilmente venire angariate, sia a nord che a sud.
Non sarebbe durata. A partire dagli anni ‘60 la tardiva modernizzazione dell’economia irlandese creò una società urbanizzata, secolarizzata e molto più istruita; il femminismo mise profonde radici. Quell’istituzione patriarcale e autoritaria che si basava sulla fede cieca e sul potere del conformismo non poteva sopravvivere intatta a quei cambiamenti; anzi, la Chiesa irlandese si trovò ad essere tanto vulnerabile proprio perché il suo potere aveva avuto pochi rivali. Come un bambino cresciuto in un ambiente sterile, aveva un sistema immunitario debole.
Ma ciò che sarebbe potuto avvenire poco a poco e senza scosse, per esempio con metà della popolazione a rimanere credente e l’altra metà a scivolare in una benevola indifferenza, è invece avvenuto molto in fretta e violentemente. I monaci buddhisti in Vietnam si davano fuoco; i vescovi e i cardinali irlandesi l’hanno fatto solo metaforicamente, ma lo shock è stato comunque grande. La benzina che si sono versati addosso è ciò che papa Francesco ha definito “atrocità commesse da persone consacrate”. Il fuoco che si sono appiccati è l’omertà sistematica e la complicità negli abusi di minori da parte del clero.
Queste vicende terribili hanno cominciato a venire alla luce negli anni ‘90 e tre fattori hanno contribuito a peggiorare la situazione. Primo, gli abusi sui minori da parte dei sacerdoti nelle parrocchie è solo una parte degli abusi delle istituzioni cattoliche: ci sono state anche le donne e i bambini internati nelle case di correzione, negli istituti Magdalene, nelle case della madre e del bambino. Tutte queste vicende, che stanno venendo sempre più a galla, gettano una luce sinistra sulla Santa Irlanda Cattolica, perché sta diventando sempre più chiaro che conservava la sua “purezza” attraverso l’uso sistematico del terrore.
Secondo, ciò che molti cattolici irlandesi pensavano fosse un problema circoscritto, frutto di un pugno di sacerdoti indegni e di vescovi deboli, si è rivelato essere un fenomeno internazionale, e perciò insito nella natura stessa della Chiesa istituzionale: un’omertà globale diretta dal Vaticano.
Terzo, la reazione del Vaticano è stata penosa. In una lettera indirizzata ai cattolici irlandesi nel 2010 Benedetto XVI espresse “vergogna e rimorso” e affermò di condividere “lo sgomento e il senso di tradimento”. Questo però significa che, ora che Francesco dice le medesime cose, il loro effetto è attenuato: alle belle parole non è seguito un reale cambiamento. La brillante Marie Collins, sopravvissuta agli abusi, accettò di far parte della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, creata dal Vaticano nel 2014, ma si dimise, perché si rese conto che il potere di questa istituzione all’interno della Chiesa era minimo.
Ormai è troppo tardi per offrire altre scuse e altre promesse. Francesco sembra un’ottima persona, e la maggior parte degli Irlandesi sarà lieta di vederlo; per chi è ancora cattolico, la sua presenza sarà un piacere e un conforto. Ma l’Irlanda nazione cattolica modello è morta e sepolta e non ci sarà resurrezione. Forse, con il tempo, emergerà qualcos’altro, una versione del cattolicesimo radicalmente diversa, la quale si sarà liberata del patriarcato, dell’autoritarismo e dell’omertà istituzionale. Nel frattempo, un’unica omelia può essere autorevolmente pronunciata tra le macerie della Chiesa irlandese: il potere assoluto è assoluto nel corrompere.
* Fintan O’Toole è editorialista dell’Irish Times.
Testo originale: It’s too late. Not even Pope Francis can resurrect Catholic Ireland