Padre James Martin: “Gesù accoglierebbe anche i gay”
Riflessioni di padre James Martin pubblicate sul quotidiano “La Stampa” del 14 giugno 2021, pp.18-19
Il testo è uno stralcio dell’intervento del gesuita James Martin – consultore del Dicastero vaticano per la Comunicazione, da molti anni impegnato sulle tematiche dei cattolici Lgbt e autore di un libro intitolato Un ponte da costruire (Marcianum Press) a Torino Spiritualità su «Il desiderio di essere “noi”. Un ponte da costruire tra Chiesa e persone Lgbt». Il gesuita James Martin rilegge tre storie del Vangelo: un modello di accoglienza verso chiunque desideri incontrare Dio.
Vorrei prendere in esame tre passi della Bibbia, dei Vangeli, che ci aiutano a far luce su come la Chiesa possa operare con le persone Lgbtq. In tutto questo, è necessario guardare a Gesù perché Gesù è il modello per sapere come trattare chiunque nella Chiesa e come fare qualunque cosa.
A Cafarnao Gesù viene avvicinato da un centurione romano a capo di 100 uomini. Questo soldato gli dice che il suo servo è malato. Gesù si offre di andare a casa sua e l’uomo gli dice che non ce n’è bisogno, perché basta che lui lo dica e il suo servo guarirà. Spiega anche a Gesù di avere molte persone sotto la sua autorità, che obbediscono a tutti i suoi ordini. Gesù è esterrefatto e afferma di non aver mai visto una fede così in nessun luogo in Israele. Alla fine del brano, Gesù guarisce il servo dell’uomo.
Questa storia, per la maggior parte dei cristiani, mostra il potere di Gesù capace di guarire le malattie con le sue sole parole. Ma c’è un altro significato che a volte ci sfugge. Il centurione romano è del tutto estraneo alla società ebrea. Non è ebreo. Non è monoteista. Non crede in un unico Dio. Probabilmente è politeista, crede nella religione di Roma. Eppure, Gesù non condanna questo personaggio, nonostante non sia di cultura ebraica, né gli chiede di convertirsi prima di rivolgersi a lui. Al contrario, lo ascolta e lo incontra. Lo ascolta attentamente e poi gli fa un grande favore, guarendo il suo servo. Questa è una prima indicazione di come Gesù tratta le persone ai margini, e credo sia una grande lezione, per tutti noi nella Chiesa e nella società, su come trattare le persone che desiderano incontrare Dio e che desiderano avere una relazione con Dio. È esattamente ciò che vuole il centurione romano: chiedendo il suo aiuto, dichiara di volere una relazione con Gesù. E Gesù lo aiuta, lo tratta con rispetto, compassione e sensibilità.
La seconda storia è quella della donna al pozzo, o la Samaritana. Al tempo di Gesù, ebrei e samaritani erano in contrasto per motivi soprattutto religiosi. Si tende a interpretare la parabola del buon Samaritano come un invito a essere sempre brave persone e ad aiutare il prossimo, ma quella storia ha un significato ulteriore per la gente del tempo perché i samaritani erano «gli altri», il gruppo odiato. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù è in Samaria, la regione in cui vivono gli oppositori del giudaismo, e a mezzogiorno incontra una donna samaritana presso un pozzo.
Più avanti nella storia, comprendiamo perché quella donna era al pozzo a mezzogiorno, nonostante il grande caldo: è stata sposata più volte e ora vive con un uomo che non è suo marito. Probabilmente, quindi, è stata esclusa dalle altre donne e forse si sente ostracizzata. Gesù inizia a parlarle nonostante sia una donna samaritana. E, al posto di condannarla o criticarla, ascolta la sua storia e i due portano avanti una delle conversazioni più lunghe di tutti i Vangeli. Anche in questo caso, come nella prima storia, Gesù tratta una persona ai margini – una donna samaritana che vive con un uomo che non è suo marito – con rispetto, compassione e sensibilità. La incontra, la ascolta, crea un’intimità rivelandosi a lei.
La terza storia, l’ultima, è quella che preferisco: è la storia di Zaccheo – invito a interpretare questo personaggio come un esempio, un emblema di persone Lgbtq nella Chiesa – e si trova nel Vangelo secondo Luca.
Gesù sta attraversando Gerico, una delle più grandi città dell’epoca e ancora oggi la più antica città abitata. A Gerico vive un uomo di nome Zaccheo, che è il capo dei pubblicani, il che all’epoca voleva dire essere il peggiore dei peccatori (essere capo dei pubblicani significava essere
colluso con i Romani, e questo fa sì che Zaccheo si senta estremamente messo ai margini). Zaccheo è descritto come un uomo di bassa statura. Non so se anche in italiano, in genere, valga la stessa cosa, ma in questo caso, nel testo, «statura» significa anche levatura, ovvero il potere o la posizione che si ha nella Chiesa o nella società. Pensiamo a quanto è bassa la statura delle persone Lgbtq all’interno della Chiesa e a quanto, talvolta, si sentono piccole nel mondo della Chiesa.
Zaccheo è descritto come incapace di vedere Gesù a causa della folla. Allo stesso modo, molto spesso è proprio la folla che si posiziona tra la persona Lgbtq (o un’altra qualsiasi persona ai margini) e il desiderio o l’incontro con Dio.
Nella storia, Gesù sta passando e Zaccheo si arrampica su un albero pur di vederlo. Quanto spesso le persone Lgbtq devono fare uno sforzo straordinario per vivere ciò che la folla vive con facilità, e cioè la vista di Gesù? Nel Vangelo di Luca è scritto che Zaccheo voleva vedere chi fosse Gesù. Era questo il suo desiderio, e per cercare di esaudirlo decide di arrampicarsi su un albero, perché tra la folla non riesce a vederlo. E mentre Gesù attraversa la folla, non indica un capo religioso, un rabbino o uno dei suoi discepoli, ma si rivolge a Zaccheo e gli chiede di scendere subito, perché vuole fermarsi a casa sua.
Questo è un segnale pubblico di accoglienza per qualcuno che è ai margini. Zaccheo scende pieno di gioia. Se continuiamo a immaginarlo come emblema di una persona Lgbtq, la sua gioia è paragonabile a quella delle persone Lgbtq quando sono accolte nelle comunità religiose, nelle chiese, come membri a tutti gli effetti. Zaccheo scende e rimane al suo posto. La lingua greca non dice solo che sta in piedi, ma che mantiene il suo posto.
Segue il passaggio che preferisco in tutta la storia: vedendo la scena, tutti mormoravano. Tutti coloro che hanno visto Gesù estendere la sua grazia a una persona ai margini si sono arrabbiati, perché estendere la grazia a chi è ai margini fa sempre arrabbiare qualcuno.
Ma Zaccheo resta al suo posto e dice che darà metà dei suoi beni ai poveri e che se ha frodato qualcuno, allora restituirà il dovuto quattro volte tanto. Ha, dunque, una conversione. E con «conversione» non intendo una terapia di conversione, di cui qualcuno parla in relazione alle persone Lgbtq, ma parlo di conversione, in greco metanoeîn: un cambiamento nel cuore e nel pensiero che l’incontro con Dio produce sempre.
Zaccheo, dopo essere stato accolto da Gesù, vive quindi un’esperienza di conversione, e Gesù gli dice che, quel giorno, in casa sua è entrata la salvezza. Ancora una volta, Gesù non condanna né critica una persona ai margini, ma le dà una sorta di benedizione pubblica.
Per Gesù non esiste un noi e un loro. C’è solo un noi. Gesù voleva portare le persone all’interno, come gli apostoli e i discepoli, verso l’esterno, le periferie, i margini. E portare le persone dai margini all’interno.
Questo è il movimento di Gesù, che voleva creare un unico noi. Un senso sempre più ampio e profondo del noi, di chi siamo. E i cattolici Lgbtq fanno parte di quel noi. Mi sembra, dunque, che esistano due possibili posizioni quando pensiamo a questo ministero nella Chiesa cattolica o qualsiasi ministero con le persone Lgbtq.
Possiamo stare con la folla che mormora vedendo che la grazia viene estesa a chi è ai margini, come nella storia di Zaccheo, o possiamo stare con Gesù e rivolgere amore, grazia e compassione trattando gli altri con rispetto, compassione e sensibilità.
Io sto con Gesù, e vi invito a fare lo stesso.