Da Sodoma a Nazaret. Se Dio scarica chi usa la Bibbia contro le persone LGBT
Dialogo di Katya Parente con Antonio De Caro
Continuano gli incontri della serie “Riprendiamoci la Parola”. Il prossimo contributo on line sarà su “Da Sodoma a Nazaret: e se Dio scarica gli haters?” con Antonio de Caro. Classe 1970, vive a Parma, dove insegna Lettere nelle scuole superiori. Oltre ad aver pubblicato diversi contributi su letteratura didattica, è anche un counselor che si occupa dell’impiego della letteratura nei processi di crescita personale, anche degli adulti. Collaboratore di gionata.org si occupa di promuovere il dialogo fra condizione omosessuale e fede cristiana. La sua opera più recente è “La violenza non appartiene a Dio. Relazioni omosessuali e accoglienza nella Chiesa”.
Sodoma e Gomorra: un testo il cui significato è (stato) ampiamente manipolato in senso antigay. Un “testo del massacro” la cui interpretazione classica è stata smontata da autorevoli studi antropologico-linguistici…
… direi soprattutto filologici ed esegetici. La bellezza dell’interpretazione dei testi è proprio questa: riuscire a trovare la prospettiva giusta per capire un passo. E improvvisamente le tessere del mosaico convergono per formare un quadro coerente e significativo per noi che lo studiamo, anche alla ricerca di modelli e di valori ancora attuali. Avere un corretto approccio (storico, critico, ermeneutico) permette di cogliere nel testo sacro una sinfonia, in cui il singolo dettaglio riceve senso dal disegno complessivo e lo arricchisce a sua volta.
La recente esegesi – anche cattolica! – ha finalmente reso giustizia alle interpretazioni degli ultimi decenni, che provenivano perlopiù dall’area della Riforma. Nel racconto di Sodoma è del tutto assente l’idea che l’omosessualità possa essere una condizione profonda che orienta l’identità della persona e la sua ricerca di relazioni d’amore. Il peccato di Sodoma non consiste affatto nell’omosessualità, bensì nella violenza (anche nella forma dell’umiliazione e della sopraffazione sessuale) contro lo straniero, contro l’ospite e il rifugiato che, inerme, cerca rifugio e protezione e, nello stesso tempo, reca con sé un messaggio di giustizia e di misericordia. Dal racconto di Gn 19.1-29 emerge che questa violenza assume, per giunta, modalità “squadriste” (sono in tanti contro uno, e vogliono imporre la forza fisica sul dialogo ragionevole…).
È un’aggressione spietata contro la dignità, la libertà e l’incolumità umana; è l’opposto del rispetto e della cura. Solo attraverso questa lettura i così detti “peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio” (“peccata clamantia”, li definiscono i vecchi catechismi) all’interno della Scrittura recuperano piena coerenza filantropica – cioè per salvaguardare il bene dell’umanità. Eppure, per una tragica ironia della storia culturale, l’epiteto dispregiativo di sodomiti ha colpito, con costi umani altissimi, proprio le persone omosessuali che in realtà sono state e sono ancora le vittime di questa mancanza di accoglienza, di cura e di rispetto. L’aspetto grave, tuttavia, è che il Magistero continua a fondare su questo passo la condanna delle relazioni omosessuali, anche se la Pontificia Commissione Biblica ne ha stabilito un’interpretazione diversa e filantropica. Nessuno si accorge di questa scandalosa contraddizione, nessuno la corregge?
Secondo te, perché gli haters (ovvero coloro che odiano) che citi nel tuo intervento, si ostinano a travisare il passo biblico di cui parli?
Travisare il testo biblico come strumento di «massacro» serve a creare, per il proprio personale disgusto, un alibi ammantato di sacralità. È molto comodo: così la legge di Dio può fungere da pretesto per giustificare l’odio e la violenza. La secolare condanna della «sodomia», inoltre, dipende da un’idea tossica di virilità, che pensa di affermare la propria forza solo infliggendo danno a chi è ritenuto debole e inferiore.
La resistenza, infine, rivela anche una grande difficoltà cognitiva ad accettare la complessità del reale e dell’umano. È una forma di ottenebramento: non a caso, nel racconto biblico, i sodomiti perdono la vista. Coloro che credono nella violenza e nella sopraffazione come unico modo per dimostrare la propria superiorità sono in realtà persone profondamente insicure; sono i veri sodomiti, ma non lo sanno.
Gesù è l’anti-hater per eccellenza (cfr., ad esempio, Matteo 5,38-42). Come fanno, alcuni sedicenti cristiani, a spargere odio rifacendosi, come credono loro, alla Parola di Dio?
Le volte in cui, grazie all’esegesi biblica, riesco a indebolire l’interpretazione tradizionale e vessatoria dei «testi del massacro», vedo che gli interlocutori (specie se conservatori o integralisti) si sentono mancare il terreno sotto i piedi e perdono davvero la calma. Come se avessero un insopprimibile bisogno di qualcuno da disprezzare e maledire per accreditarsi come “puri” e “buoni”.
Gesù ha perfettamente descritto questo atteggiamento con l’immagine del fariseo e del pubblicano: il primo, per sentirsi moralmente e socialmente superiore, ha bisogno di paragonarsi al pubblicano che reputa inferiore e sporco. Di solito, infatti, l’idolatria della tradizione e della legge è congiunta con l’idea della Chiesa come istituzione che deve esercitare un potere e non può mai, assolutamente, mostrarsi fallibile.
Gesù, invece, rivelava la presenza amorevole di Dio proprio accogliendo tutti coloro che erano stati sempre emarginati e respinti in forza dei pregiudizi e della legge; e misurava il potere in base alla capacità di mettersi al servizio, di accogliere e di amare. Che è esattamente il contrario della sodomia. Ma anche Gesù ha subito questo odio, dalla sua prima predicazione a Nazaret fino alla passione e alla morte…
Gesù usa l’ironia per disinnescare il pensiero – e le parole – degli haters. Come dovremmo rispondere a chi cerca di circoscrivere, quando non di soffocare manipolandolo, il messaggio salvifico e potente del Vangelo?
L’ironia (ed anche l’autoironia) è un grande dono, che però non tutti possiedono… Personalmente, apprezzo il clima del Gay Pride proprio perché vi respiro un’aria di sorridente leggerezza che spesso mi manca. Ma secondo me il Vangelo ci dà alcuni importanti suggerimenti su come rispondere agli haters. Primo: non rinunciare a proclamare, con serena fermezza, una visione del Vangelo coerente con il messaggio dell’amore e dell’accoglienza che rappresenta il nucleo e il senso dell’annuncio di Gesù.
Cioè: fare formazione, lasciar circolare le idee, decostruire i messaggi ispirati all’odio per diffondere quelli che permettono la costruzione di una civiltà diversa. Secondo: non limitarsi solo all’annuncio; ci vuole infatti anche l’esempio. Se le persone omosessuali escono allo scoperto, nella società e nella Chiesa, mostrando i loro genuini progetti di bene e di relazione, le loro storie e le loro famiglie, ciò tenderà a prosciugare la palude del pregiudizio e a creare condizioni di benevolenza e inclusione.
È quello che sta accadendo negli ultimi anni, dopo l’entrata in vigore di una legge (pur ancora migliorabile) come quella sulle unioni civili. La testimonianza ha un grande potere, quello di trasformare il disgusto in umanità. Terzo: se qualcuno non ti ascolta, non devi fermarti lì. Il Vangelo è dinamico, destinato a muoversi, viaggiare, diffondersi in altre direzioni. Gesù non si è fermato a Nazaret, ha cercato altre persone e altre comunità… o ne ha fondate di nuove. Come stiamo facendo anche noi, persino nello spazio virtuale. L’importante è non essere, e non sentirsi, soli.
Ringraziamo Antonio per questa interessante chiacchierata. A mercoledì per ascoltare il suo intervento: se questo scambio di battute anticipa il tono dell’incontro vero e proprio, si tratterà sicuramente di qualcosa di molto interessante!