Quarantanni dopo, don Milani continua ancora a insegnarci
Articolo* di Silvano Piovanelli, Cardinale emerito di Firenze, pubblicato su La Nazione del 24 giugno 2007, p.34
Parole di don Lorenzo Milani, raramente citate: «Combattivi fino all’ultimo sangue e a costo di farsi relegare in una parrocchia di 9 anime in montagna e di farsi ritirare i libri dal commercio, sì tutto, ma senza perdere il sorriso sulle labbra e nel cuore e senza un attimo di disperazione o di malinconia o di scoraggiamento o di amarezza.
Prima di tutto c’è Dio e poi c’è la Vita Eterna», Parole che mi piace sentirmi risuonare dentro, perché le celebrazioni di questi giorni, ricordando il 250 di episcopato e il 60’ di sacerdozio, mi avvertono che, nella vita, ho percorso un tratto di strada ormai lungo e non è lontano il momento in cui potrò «far le capriole con gli angeli» come ci diceva don Raffaele Bensi e come ricordava anche don Lorenzo ai suoi ragazzi negli ultimi giorni della sua vita terrena.
Noi, preti ordinati dal cardinal Ella Dal la Costa nel 1947, con don Milani eravamo tredici: undici ordinati il 13 luglio e due, a causa dell’età troppo giovane, ordinati il 20settembre. Oggi ancora in vita siamo due: don Giovanni Conti, par-roco dell’Immacolata a Montughi ed io.
Don Lorenzo Milani è morto il 26 giugno 1967, appena 29 anni dopo l’ordinazione sacerdotale. E’ stato il primo a passare da questo mondo.
Ma egli, fra noi, è stato sempre il primo in tutto. Ci siamo accorti subito che era di una stoffa diversa Proprio come confessava sua madre: «Mio figlio era in cerca dell’Assoluto. Lo ha trovato nella religione e nella vocazione sacerdotale».
Tre anni dopo la morte in una intervista ella diceva: «I primi tempi fu un ragazzo molto felice, felice come l’avevo visto poche volte. Solo in Seminario trovò subito ciò che istintivamente cercava con tutto se stesso: una ragione assoluta per vivere, una disciplina costante dopo vennero i primi urti, le incomprensioni da parte dei superiori. Lui era docile, obbediente come del resto era sempre stato, ma la sua personalità, così singolare, così netta, unica nel suo genere, dovette trovare impreparati coloro che dovevano educarlo.
Però non fu solo un conflitto di uomini: fu soprattutto uno scontro tra concezioni del tutto diverse. La laicità di mio figlio prima della ‘conversione’ era stata sempre rigorosa e coerente, quanto fu la sua religiosità dopo: non poteva venire a patti col mondo, accettare compromessi, con nessuno, per nessun motivo».
Ecco perché ad un giovane che era andato a trovarlo a Barbiana diceva parole che ancor oggi scottano come il fuoco: « Non ci sono rimpianti nella mia vita, né nostalgie. I miei superiori li amo; nessuno può dimostrarmi di essere stato punito o di non aver obbedito.
Della verità non si deve aver paura; sacerdote non ha nulla da perdere; ovunque vada, troverà sempre qualcuno da amare, non a parole che sarebbe un mostruoso misfatto e una ignobile falsità, ma con i fatti. Amare non significa dare qualcosa; significa dare noi stessi, significa essere e i poveri sono quelli che Dio, oggi in particolare, ha gettato sul nostro cammino; essi sono il segno di contraddizione: di fronte a loro bisogna scegliere. Non ci sono vie di mezzo, né possibili compromessi. Non si può vivere senza innamorarsi.
La soluzione che io ho trovato è una delle infinite».
Certamente ancor oggi scotta la lettera scritta a Nicola Pistelli, alla quale lo stesso don Lorenzo dette il titolo «Un muro di foglio e di incenso » e nella quale certe frasi fanno certe frasi fanno ancor oggi sussultare.
Come quando scrive: «Cattolico è chi si ricorda che i cardinali e i vescovi son creature fallibili. Eretico chi mostra per loro un rispettosi ricorda che travalica i confini del nostro Credo»; oppure: «Noi la Chiesa non la lasceremo mai perché non possiamo vivere senza i suoi Sacramenti e senza il suo insegnamento… Criticheremo vescovi e cardinali serenamente visto che nelle leggi della Chiesa non c’è scritto che non lo si possa fare. Il peggio che ci potrà succedere sarà d’essere combattuti da fratelli piccini con armi piccine di quelle che taglian la carriera.
Ma son armi che non taglian la Grazia né la comunione con la Chiesa.
Il resto tenteremo di non contarlo. Ed ora facciamo un altro passo innanzi: abbiamo mostrato che la critica ai cardinali e ai vescovi è lecita, diciamo ora addirittura che è doverosa: un preciso dovere di pietà filiale. E un nobile do- vere anche, proprio perché adempirlo costa caro. Criticheremo i nostri vescovi perché vogliamo il loro bene, cioè che diventino migliori, più informati, più seri, più umili… Un prigioniero bisogna aiutarlo e liberarlo, e tanto più quando è prigioniero il nostro padre. Se non gli sbraneremo il muro di carta e non gli dissolveremo il muro di incenso, Dio non ne chiederà conto a lui, ma a noi».
Come quando scrive a don Piero una lettera riportata in «Esperienze pastorali»: «Quando quattro anni fa arrivò l’ordine d’essere severi con i comunisti io l’ho ubbidito. Per quel decreto mi sono lasciato odiare, abbandonare, disprezzare da tanti miei poveri figlioli, Non ho alzato un lamento contro il Papa perché sapevo che ha ragione.
Ma ora che sono stato quattr’anni sulla breccia per lui, ora che con tanta sofferenza ho chiarito ai poveri l’assoluto rifiuto del marxismo da parte della Chiesa e mia, e ci ho rimesso tanti miei figlioli, sangue del mio sangue, ora non voglio sentirmi dare del demagogo solo perché vado in cerca delle pecorelle smarrite. Voglio essere trattato alla pari dei missionari. A loro si permette di varcare gli oceani e di addentrarsi nella giungla. Nessuno per questo li accusa di spirito di avventura»,
Parole vere, queste, come tante altre, anche se qualche volta sembra applicato a proposito quanto gli scriveva don Bensi: «Ho letta attentamente la lettera all’Arcivescovo e ne sono rimasto commosso. Mi è sembrata rigurgitante di amore anche se espresso con un linguaggio fiero e senza diaframmi e non facilmente accettabile da persone non abituate.. mi sembra che certe tue dure espressioni andrebbero tradotte in linguaggio corrente».
Don Lorenzo Milani era, come uomo e come cristiano, di una statura eccezionale. Come per tutti i profeti, le sue parole e le sue scelte, i suoi scritti e i suoi gesti sono spesso una profezia ancor oggi valida e stimolante: per una società in cui ogni persona si rispettatanella sua dignità umana e nella sua irripetibile singolarità per una comunità civile che si fa carico del suo domani promuovendo una «scuola che siede tra il passato e il futuro e li tiene presenti entrambi» ed impara sempre meglio «l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di raso io da un lato formare in loro senso della legalità (e in questo somiglia alla funzioni dei giudici), dall’altra la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla funzione dei giudici)»; «il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i ‘segni dei tempi’, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso»; «il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualche cosa e così l’umanità va avanti».
Poco più di un anno prima di morire scriveva ad una giovane: «Se vuoi trovare Dio e poveri bisogna fermarsi in un posto… Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come premio… E inutile che ti bachi il cervello alla ricerca di Dio o non Dio.. – Ai poveri (fai) scuola subito, prima di essere pronta, prima di essere matura, prima di esser laureata, prima di esser fidanzata o sposata, prima di esser credente. Ti ritroverai credente senza nemmeno accorgertene».
Una profezia pungente anche per la pastorale nella Chiesa: «Non accetto di essere messo alla pari di un pretuccio da ricreatorio o da televisione. Dico: non accetto che i nostri metodi siano considerati pari dato che i miei sono palesemente più seri e più degni del nostro Battesimo e del nostro Ordine e della Croce e della Vita eterna che ci attende… Non è per lo scandalo che si dà che non si deve usare metodi in degni della veste che portiamo, non è per gli occhi del povero che giustamente ci giudicano e ci disprezzano, ma per gli occhi di Dio che vuole noi all’altezza della nostra vocazione».
La scuola di Barbiana è chiusa, ma don Lorenzo Milani continua ad insegnare.
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* Sono passati quarant’anni dalla morte di don Lorenzo Milani. Ricordiamo la sua figura di profeta del nostro tempo che non ebbe paura, come prete, di confrontarsi duramente con la sua Chiesa, e di ricordare ai laici che «Cattolico è chi si ricorda che i cardinali e i vescovi son creature fallibili. Eretico è chi mostra per loro un rispetto che travalica i confini del nostro Credo». Parole, oggi, quanto mai attuali.