Sono una transgender. Un corpo e un’anima unite insieme da Dio
Testimonianza di Erin Swenson tratta da The Other Side (Stati Uniti), del maggio-giugno 2001, liberamente tradotta da Sara M.
Oggi, benché gruppi di molte confessioni e fedi lottino potentemente sulle questioni della sessualità e della fede, pochi hanno anche solo scalfito la superficie delle molte questoni che circondano l’identità di genere. E tuttavia le questioni intorno alle nostre nozioni di genere sono potenzialmente ben più complicate dei temi sulla sessualità, poiché il dibattito intorno all’identità di genere tratta molto meno di come noi ci comportiamo, ma molto di più di ciò che noi siamo. L’identità di genere è distinta da l’orientamento sessuale. La percezione di essere un maschio o una femmina precede l’attrazione affettiva. Chi noi siamo è più basilare di ciò che facciamo o verso chi siamo attratti. Perciò, è per molti versi un tema più esplosivo e pericoloso per le chiese e le comunità che valorizzano l’omogeneità.
Diversi anni fa, ho affrontato l’ordalia di dover difendere la mia stessa ordinazione come ministra Presbiteriana. Questa sfida ha avuto luogo perché ho deciso, dopo ventitré anni di ministero ordinato come uomo, di cambiare il mio genere. Dopo sedici mesi di discussione controversa e dibattito, ad ottobre del 1996 il Presbytery of Greater Atlanta [assemblea decisionale composta dagli anziani e dai ministri della congregazione, N.d.T.] ha votato il sostegno alla mia ordinazione, rendendomi il primo ministro protestante di una grande congregazione a sottoporsi ad una transizione di genere e a mantenere l’ordinazione.
Per tutta la mia vita, ho aspirato a ciò che appariva come un modello di vita normale nella disperata speranza che nessuno vedesse la terribile verità che mi riguardava – che volevo essere femmina. Questo desiderio sembrava contro ogni logica e contro tutto ciò che mi sembrava giusto e buono. Non sapevo spiegare questi sentimenti, ma sapevo che venivano dal centro più profondo del mio essere. Pregavo per essere liberato da questi strani desideri, ma nulla accadde.
Da giovane, ero profondamente coinvolto nella chiesa e fui eletto nel consiglio giovanile del mio presbiterio, dove venni incoraggiato ad aspirare al ministero professionale. Facevo parte della squadra di wrestling della scuola superiore e prendevo parte a molti passatempi tradizionali maschili come la carpenteria e l’elettronica.
Tuttavia non riuscivo a scrollarmi di dosso questa sensazione che la realtà del modo in cui conoscevo me stessa era in contraddizione con il corpo maschile in cui ero nata. Ho speso enormi risorse nel cercare di essere l’uomo che la chiesa e la società volevano che fossi. Mi sono sposato relativamente giovane, sperando invano che questo avrebbe finalmente “risposto” ad alcuni dei miei bisogni e che mi avrebbe liberato dal fardello del mio genere.
Non solo sono entrata in psicoterapia, ma sono anche diventata io stessa una terapista, cercando di capire e affrontare la mia situazione.
Ho lottato contro la depressione, seppellendomi nel lavoro e nella responsabilità per potermi nascondere dalla terribile verità che portavo dentro. Mi sono dedicata con la massima diligenza al compito di vivere e lavorare come un maschio e ci sono riuscita per molti anni. Mi ero addirittura autoconvinta che avrei potuto tenermi dentro la verità per una vita intera, che avrei potuto morire con il mio segreto ancora intatto. Ma la depressione e il rinnegamento hanno chiesto il conto alla mia salute.
Ad un certo punto, il mio matrimonio è naufragato, non a causa del mio “problema di genere”, ma a causa della mia volontà di negare la verità e di conseguenza distruggere la mia autostima e la stima della mia compagna. Alla fine ho deciso che non potevo sostenere più a lungo quella menzogna.
Per ironia della sorte, negli anni seguenti alla mia decisione – presa ad un alto costo personale – di porre fine alla mia vita falsa e dedicarmi a vivere una vita che io sentissi più autentica e sincera verso me stessa e verso Dio, sono stata spesso accusata di falsità.
Mi è stato detto che le mie azioni erano una negazione sia del chiaro insegnamento della Scrittura che della bontà della mia stessa creazione. Che stavo mentendo a me stessa e a Dio. Che stavo portando vergogna sulla chiesa e confondendo altri cristiani che magari stavano combattendo contro la propria identità sessuale.
Queste accuse spesso erano imbevute di una rabbia che facevo fatica a comprendere. Mi chiedevo perché la mia decisione sembrasse accendere un’opposizione tanto violenta. Molte volte mi sono sentita come se dovessi difendere me stessa dalla rabbia esistenziale dei miei accusatori piuttosto che da un qualche reale argomento teologico. È come se la realtà di ciò che sono, una realtà che riveste la mia anima, minacciasse le fondamenta stesse di ciò in cui crediamo.
Ma mentre lottavo contro queste questioni, ho cominciato a rendermi conto che questa rabbia non è solo la rabbia dei miei accusatori o la rabbia della mia chiesa. Per molto tempo, questa è stata anche la mia rabbia.
Ho passato gli anni migliori della mia vita spremendo abbastanza energia da me stessa per poter continuare ad essere un marito, un padre, un ministro contro una realtà personale che mi sembrava totalmente inaccettabile non solo per gli altri, ma anche per me stessa e per Dio. Mi sembrava di essere stata esclusa dal regno dei cieli, che Dio mi stesse giocando una specie di tiro mancino cosmico. Per la maggior parte della mia vita, ho pensato di essere sola in queste battaglie. Ma nel corso degli anni ho imparato che molte altre persone sperimentano lo stesso intenso conflitto tra le tradizionali aspettative di genere e il loro proprio senso di ciò che sono.
A coloro la cui identità di genere non rientra facilmente nelle rigide categorie che la nostra cultura ha prescritto ci si riferisce con i termini transgender o transgendered.
Non sono così arrogante da credere che Dio in qualche modo mi abbia fatta transgendered per “dare una lezione alla chiesa”. Ma credo fermamente che Dio usi le nostre vite per raggiungere gli scopi di Dio. E credo che la lotta della chiesa contro di me – e contro le altre persone transgendered – vada in parallelo alla lotta della chiesa contro se stessa.
In un certo senso, anche la chiesa sta lottando contro un cambiamento di genere. La realtà del transgender obbliga la chiesa a confrontarsi con questo, che lo voglia o no.
Riconsiderare la comprensione della sessualità nell’Antico Testamento mi ha aiutata a far luce sull’argomento.
Nel mondo antico, gli organi genitali maschili erano ritenuti sacri in modi che trascendevano tutti gli altri aspetti della biologia umana. Nell’atto sessuale, si credeva che il maschio depositasse un microscopico essere umano completo nel grembo della donna, dove sarebbe stato custodito mentre cresceva, nutrito dalla madre, fino alle dimensioni necessarie per la nascita.
Naturalmente, in quanto sorgenti della vita, gli uomini erano venerati. E questa antica visione “scientifica” si adattava perfettamente alla forte cultura patriarcale in cui gli uomini erano il centro della vita sociale e religiosa. Come in molte culture patriarcali antiche, gli antichi ebrei vedevano le donne non semplicemente come cittadine di seconda classe, ma proprio di una categoria del tutto diversa, vite degne di essere possedute ed utilizzate dagli uomini.
Ma l’allontanamento da questo mondo patriarcale comincia già nei primi capitoli delle nostre Scritture. Entrambi i racconti della creazione che ci sono arrivati nella Genesi attraverso i nostri antenati ebraici dicono qualcosa di radicale per quell’epoca. Entrambe le storie, in modi differenti, piazzano gli uomini e le donne gli uni accanto alle altre, sia trattando di loro insieme (“Maschio e femmina li creò”) che stabilendo una chiara connessione biologica tra I corpi degli uomini e quelli delle donne (la costola di Adamo).
In Gesù, Dio si confronta ancora una volta con gli atteggiamenti patriarcali della cultura e della religione.
Le donne, il cui valore prima era considerato solo in quanto oggetti di proprietà e che erano sottoposte alla volontà dei loro proprietari-mariti, erano viste da Gesù come esseri umani degni di rispetto.
Nei suoi discorsi con i Farisei a proposito del divorzio, Gesù continuava a riportare l’attenzione su questo punto.
Ancora più profonde sono l’amicizia di Gesù con le donne e il suo valorizzarle nel suo ministero. E a dispetto degli insegnamenti di Paolo sulla vita familiare, la chiesa delle origini chiaramente aveva cominciato a contare delle donne nelle file della sua leadership. Oggi, due millenni più tardi, stiamo ancora lottando contro il patriarcato. A dispetto di noi stessi, molti – forse tutti – noi continuano a considerare lo status degli uomini superiore allo status delle donne.
Nulla mi ha illuminato sull’argomento quanto il mio passaggio dal ruolo sociale di maschio a quello di femmina. Durante i primi mesi in cui ho cominciato a vivere una vita da femmina a tempo pieno, ho avuto dei problemi perché andavo a sbattere contro le persone. All’inizio ho pensato che fosse semplicemente una specie di vertigine emotiva che derivava dall’aver finalmente permesso a me stessa di esprimere pienamente la mia vera identità. Ma ho cominciato a notare che le mie collisioni si verificavano quasi esclusivamente con uomini.
Mi ci è voluta molta auto-analisi prima di capire che uomini e donne navigano diversamente negli spazi pubblici. Gli uomini tendono a dirigersi direttamente verso la loro destinazione e le donne tendono a muoversi con il percorso più tortuoso. Un giorno ho capito improvvisamente, dopo l’ennesima collisione (di nuovo contro un uomo), che gli uomini hanno la precedenza sulle donne nello spazio pubblico. Lo stesso uomo che magari mi tiene aperta la porta in una certa situazione cammina poi dritto verso di me sul marciapiede. Ho capito che gli uomini hanno il diritto di precedenza!
Dopo aver navigato per la maggior parte della mia vita come un uomo, semplicemente stavo continuando a camminare come un uomo in pubblico, ma gli uomini si aspettavano che io navigassi come una donna. Per questo entravamo in collisione!
La mia vita intera è stata piena della lotta, spesso contro Dio, sulla differenza tra ciò che io sembravo – e come venivo trattata dagli altri – e ciò che sentivo di essere dentro di me.
I miei stessi sentimenti patriarcali contribuivano alla mia sensazione che fosse in qualche modo vergognoso che io mi sentissi una donna e volessi disperatamente essere una donna. Sapevo per certo che sarei diventato un miserabile emarginato se mai avessi rivelato la mia terribile verità. Ma nel corso della storia Dio ha chiamato la gente ad abbandonare il mito antico che uomini e donne fossero in qualche modo differenti nella sostanza e quindi profondamente differenti gli uni dalle altre.
Dio ha continuato a portarci lontano dal pregiudizio e dall’ignoranza di cui tutti siamo vittime, verso la luce della verità.
La chiesa, un’istituzione caratterizzata dal suo forte patriarcato (nonostante sia la Sposa di Cristo), è arrivata ad un momento in cui deve affrontare sinceramente la decostruzione del genere in cui l’abbiamo conosciuta.
E la mia richiesta che la chiesa riconosca la mia realtà transgendered giunge in un momento in cui noi, come chiesa, siamo disorientati dal nostro stesso transgenderismo. Mentre le persone di fede continuano a venire a patti con la realtà transgender – e con le molte differenti varietà di espressioni di genere che si trovano tra noi – ci saranno sfide da affrontare.
Molte chiese accoglienti hanno distrattamente aggiunto la ‘T’ alle loro dichiarazioni pubbliche di inclusività per lesbiche, gay e bisessuali senza rendersi conto che le questioni sollevate dalle persone transgendered sono peculiari per molti aspetti. Le chiese che hanno imparato a tollerare le differenze nelle espressioni di affetto che avvengono nel privato della camera da letto potrebbero trovare più difficile comprendere ed accettare quelle espressioni pubbliche di noi stessi che non corrispondono alle espressioni culturali.
Le questioni sul genere, e i miti profondamente radicati che lo circondano, certamente faranno nascere paura e rabbia nella chiesa. Siamo abituati ad avere consapevolezza dei nostri corpi; siamo molto meno a nostro agio a personificare le nostre menti. La realtà transgender mette in discussione tutto questo e potrebbe diventare il centro della lotta nei prossimi anni.
La verità che noi persone transgendered viviamo è una verità che il popolo di Dio fatica a comprendere. Io non sono mai realmente stata un uomo e so che non potrò mai essere realmente una donna.
Io sono una transgender e rimarrò per sempre tale. La mia speranza è che anche la chiesa riconoscerà la sua natura transgendered e scoprirà più pienamente l’amore di Dio per tutti noi – non solo perché siamo maschi o femmine (o qualcosa nel mezzo), ma perché noi tutti siamo figli di Dio.
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Testo originale: Body and Soul United